Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 17 Sabato calendario

IL LABORATORIO DEL VENETO


Dice Galan che «so­lo i leghisti vo­gliono essere go­vernati dai leghi­sti e nemmeno tutti quanti» e dunque lui non la capisce la decisione del Cavaliere di cedere alla Lega la guida del­la Regione Veneto, non an­cora ufficiale ma ormai data per scontata nonostante le assicurazioni opposte ribadi­te fino a pochi giorni fa. un vanesio capriccioso con­vinto d’esser insostituibile e aggrappato alla poltrona sul­la quale è assiso da quindici anni? Se è così, è bene che Berlusconi e Bossi lo mandi­no a spasso: di tutto ha biso­gno, la politica italiana, me­no che di altri uomini della Provvidenza. Dietro l’impun­tatura del governatore ri­schia di esserci però qualco­sa di più di una cocciutaggi­ne personale.

Il quadro, apparentemen­te, è chiarissimo. Di qua il Carroccio, che sa di essere assolutamente indispensabi­le al governo, vuole una grande regione settentriona­le e il Veneto è quella in cui, per numero di sindaci, presi­denti provinciali, radicamen­to territoriale e voti rastrella­ti alle ultime europee (28,4% contro il 22,7 in Lombardia e il 15,7 in Piemonte) si sen­te più forte. Di là Berlusconi, che via via si era adattato al­l’idea di dover sacrificare un governatore e oggi è un po’ più esposto dopo la boccia­tura del Lodo Alfano, ha as­solutamente bisogno del Se­natur per far qualunque pas­so in tema di giustizia. E an­che se era rimasto scottato l’unica volta in cui aveva ac­cettato di puntare su un can­didato comune leghista (l’Alessandra Guerra travol­ta da Illy in Friuli Venezia Giulia, riconquistato solo con un pidiellino) le terre se­renissime sono da sempre così generose con la destra da lasciar pochi margini a brutte sorprese.

Apparentemente, però. Anche a Vicenza pareva im­possibile che la destra per­desse il municipio: ha sba­gliato candidato e l’ha per­so. una terra strana, il Ve­neto. Dove alle inquietudini comuni ad altre aree del Pae­se e all’orgoglio (sia pure ammaccato oggi dalla crisi) per il prodigioso riscatto do­po secoli di povertà, si som­ma da sempre una certa dif­fidenza, se non qualche osti­lità, verso i «foresti» che «decidono da fuori».

Come dimenticare che il Nordest ha avuto negli ulti­mi dieci anni, compresi Bru­netta, Zaia e Sacconi, 5 mini­stri su 131 nei vari esecutivi di destra e di sinistra pur avendo un nono della popo­lazione, un settimo della ric­chezza prodotta, un sesto delle industrie manifatturie­re, un quinto dell’export?

Non è dunque un caso che le prime reazioni, ieri, abbiano avuto un tema do­minante: dove si deciderà chi sarà il candidato della de­stra alle prossime regionali di marzo: a Roma, a Milano o in Veneto? Il punto non è secondario. Lo dicono le quasi mille firme raccolte in questi mesi tra i sindaci, am­ministratori ed elettori pi­diellini in calce a una lettera che chiede al Cavaliere di la­sciare le cose come stanno. Lo dice una storia di insoffe­renze verso non solo i roma­ni ma anche i milanesi che, senza risalire alla battaglia di Maclodio, ha visto cicli­che invocazioni al partito di tipo bavarese fin dai tempi di Toni Bisaglia e perfino ra­ri tentativi (repressi) di rivol­ta interna leghista contro l’egemonia lombarda. Lo di­ce infine la risposta dell’Udc che in Veneto è da sempre a destra ma oggi, oltre a tuo­nare «col Carroccio al timo­ne mai», lancia l’idea di un listone aperto a tutti quelli che non ci stanno. Scelta che potrebbe poi pesare sul­le alleanze nel resto del Pae­se. Come finirà? Mah... Cer­to è che la Lega si trova da­vanti a un paradosso: non può permettersi che la scel­ta veneta appaia fatta a Ro­ma. E neppure a Varese.