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 2009  ottobre 16 Venerdì calendario

IL GUSTO IRANIANO DELLA CRUDELTA’

Altre tre condanne a morte, a Teheran. Vanno sulla forca tre «nemici del popolo» accusati di connivenza «col nemico». Come spesso succede laggiù, la «Cupola» è spaccata fra chi vuole la rottura con gli Usa («costi quel che costi») e chi lavora per un compromesso. Maestri dell’arte del «ni» (la taqqia) i gerarchi iraniani han proposto agli americani di riaprire i giuochi: un Paese terzo fornirebbe ai persiani l’uranio arricchito ma soltanto per uso civile - insomma, gli iraniani avrebbero le centrali, non la «bomba». Due anni fa il compromesso venne inopinatamente bocciato dalla Guida Suprema, il Grand’Ayatollah Khamenei. Fragile fisicamente, candidamente barbuto, colmo d’odio per gli infedeli, la Guida è un capo di Stato atipico. Non si è mai recato all’estero, non legge i giornali stranieri poiché non conosce altra lingua se non il persiano, non guarda la tv. Ma è furbissimo e serenamente crudele. Come, del resto, lo era il suo maestro, l’imam Khomeini. L’imam, però, era aggiornatissimo. Entrambi odiavano gli americani giudicati «piagnoni». Dopo la presa degli ostaggi, Khamenei suggeriva di ucciderli «uno alla volta», Khomeini tentò invano di farne merce di scambio. Il presidente Carter ci rimise la Casa Bianca.
Il Vecchio Cronista ha viaggiato un po’ tutto l’Iran: al tempo dello Scià, durante la rivoluzione a mani nude, e dopo. L’Iran è un Paese bellissimo ma intimamente triste; amante dei piaceri mondani, intelligente ma catafratto in un amaro cupio dissolvi. E questo spiegherebbe tante cose, anche il gusto della crudeltà. Vediamo. Lo studente Omar Sharib è arrestato dopo aver ricevuto una lettera da un amico francese. Il procuratore, Mohammed Guilami, gli contesta d’essersi occidentalizzato, di aver studiato «troppo a lungo in Europa», di fumare sigarette americane. E lo manda sul patibolo. All’indignazione dell’opinione pubblica occidentale, ad Amnesty International Khomeini replica secco: «L’Iran islamico non ha ucciso un solo uomo; ha soltanto purificato, imprigionato o eliminato bestie feroci che l’avevano aggredito».
In piena crisi degli ostaggi cinque giornalisti stranieri vennero ammessi nell’umile casa di Khomeini. Ottanta metri quadrati, due stanze, un solo cesso alla turca. Un pagliericcio per terra. Due bottiglie d’acqua di rose. Il Grande Vecchio disse: «Non vi chiediamo di essere dalla nostra parte, vi chiediamo soltanto di comprenderci». Obiettai che anche l’Iran avrebbe dovuto cercare di capire il nostro sdegno di fronte alla cattura degli ostaggi in contrasto col culto dell’ospitalità dell’islam. Sollevando le palpebre corrucciate, Khomeini sillabò perentorio: «Gli ostaggi... non dico sia giusto, ma così è». Il cinismo? Un vezzo intellettuale.