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 2009  ottobre 17 Sabato calendario

LE «POVERE» SEDIE DI MANZANO E L’AVANZATA SVEDESE IN FRIULI


Tra i paesi friulani di Manzano e Villesse ci sono 19 chilometri. Il pri­mo, ex capitale mondiale della produ­zione di sedie, sta attraversando una crisi senza precedenti: un centinaio di aziende rischiano di chiudere nei prossimi mesi. Il secondo si appresta ad inaugurare mercoledì 21 quello che può diventare il più importante investimento dell’Ikea in Italia e che inizialmente darà più di 300 posti di lavoro tra diretti e indiretti. Da una parte quindi la recessione e la concor­renza cinese stanno mettendo a du­rissima prova un distretto industria­le che ha rappresentato l’Italia nel mondo, dall’altra la multinazionale scandinava dei mobili investe 65 mi­lioni subito - e tanti altri dopo - per creare un mega-centro commerciale capace di servire il Nord Est, la Slove­nia e parte della Croazia. Oggi l’Ikea compra in Friuli il 19% delle fornitu­re italiane ma è intenzione del vi­ce- presidente della Regione, Luca Ci­riani, spingere per un incremento del­la quota. «Agli svedesi non solo chie­deremo di non dimenticare i nostri mobilieri ma proporremo di spostare la sede legale italiana nella nostra re­gione. Siamo a statuto speciale e quindi godiamo di prerogative che anticipano il federalismo fiscale. E quindi se l’Ikea versasse le tasse da noi ne avremmo dei vantaggi recipro­ci ». Meno tasse per gli svedesi e più lavoro per le piccole imprese locali?

Vista da Manzano la situazione è al limite della crisi sociale. «Solo dieci anni fa - racconta Stefano Dezotti del­la Fillea-Cgil - bastava avere un box e lì nasceva un’azienda. I cinesi erava­mo noi. Ma i piccoli invece di creare un marchio doc, di aggregarsi e di cu­rare la distribuzione si sono fatti la guerra tra di loro, così quando è arri­vata la recessione ci ha trovato debo­li e già in crisi». Il distretto, che dava lavoro a 15 mila persone, si è specia­lizzato nel produrre sedie di legno di qualità medio-bassa e di fronte alla concorrenza di prezzo dei produttori asiatici ha perso la leadership. Da 1.100 aziende ne sono rimaste attive 700, trenta hanno chiuso negli ultimi mesi e decine sono quelle a rischio. «Quest’anno non abbiamo nemme­no fatto la Fiera della sedia» commen­ta Dezotti che non nutre grandi spe­ranze sull’effetto-Ikea. «Purtroppo non siamo attrezzati per diventare ve­ri fornitori degli svedesi». E quanto alla possibilità che invece di chiude­re i piccoli imprenditori del Natisone si mettano assieme, alla Cgil sono scettici. « l’ultima cosa che viene in mente ai nostri. Non rientra nella lo­ro mentalità. Il motto dei friulani, fa­sin besoi , facciamo da soli, non si ri­pudia » .

Il presidente dei piccoli di Confin­dustria, Giuseppe Morandini, è udi­nese ed anche lui è pessimista. A suo dire ci sarebbe voluta per tempo da parte di Manzano una visione lungi­mirante. Bisognava «salire di gam­ma » come si dice in gergo, sviluppa­re produzioni più pregiate, attirare capitali di ventura, tenere il cervello dell’azienda in Friuli e magari deloca­lizzare in Croazia le lavorazioni a più basso valore aggiunto. «Non tutte le aziende del triangolo però van­no male. La Calligaris è un ca­so di successo e dimostra che un’altra strada era possibile». Chi preferi­sce guardare alla parte piena del bicchiere (che però non arriva alla canonica metà) è il presidente del­lassociazione che cu­ra la promozione del distretto, l’Asdi-se­dia, Giusto Maurig. Racconta che le azien­de del distretto si stan­no ristrutturando passan­do da artigiane a società di capitali, segnala in zona una ripresa del traffico di mezzi pe­santi e sostiene che i casi di successo non riguardano solo Calligaris ma al­meno un’altra decina di aziende che hanno saputo sviluppare in casa un prodotto più qualificato, assoluta­mente non comparabile con le sedie made in China. Quanto all’Ikea di Vil­lesse la speranza è che aiuti Manzano a ripartire. «Ne parleremo con gli sve­desi ». Trattare con l’Ikea non sarà pe­rò facile. La dirigenza si era già spa­zientita perché non arrivavano i per­messi per costruire l’impianto di Vil­lesse e così ha minacciato di attraver­sare il confine e aprirlo in Slovenia. La pratica d’incanto si è sbloccata.