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 2009  ottobre 17 Sabato calendario

SEQUESTRATO IL SUPERBOND DA UN MILIARDO DI DOLLARI. AVEVA L’OK DI UNA BANCA


In questo mo­mento è, a valore nominale, il magistrato più «ricco» d’Ita­lia: la gip milanese sta seduta su un bond del valore di un miliardo di dollari. Che ha fat­to sequestrare proprio per­ché lo strumento finanziario non quotato è teoricamente molto vero, nel senso che una banca vera come «il pri­mario istituto di credito elve­tico Credit Suisse» l’ha tra­smesso a un’altra banca vera come Banca Mediolanum, consentendo così sul vero cir­cuito telematico degli stru­menti finanziari il censimen­to del bond, che figura nel portafoglio di una piccola so­cietà (Inprogramme) di un imprenditore torinese (Anto­nio Castelli) che si dice in af­fari con uno sceicco descritto come parente dell’emiro Al Thani del Qatar. Ma anche perché, nel suo essere appa­rentemente vero, il bond mi­liardario ha due caratteristi­che ben curiose: la società in­glese che l’ha emesso risulta costituita appena il giorno prima, e dichiara un capitale sociale di 50 miliardi di sterli­ne di cui però risultano sotto­scritte solo due. Due sterline su 50 miliardi. Eppure, nel pazzo pazzo mon­do degli strumenti finanziari, il bond esiste. Sarebbe potuto essere usato come robusta ga­ranzia per ottenere dalle ban­che ingenti finanziamenti o come sponda per negoziare altre operazioni. Comunque vada a finire, dunque, la noti­zia paradossalmente non è tanto la genuinità o meno del bond dal valore nominale di 1.200 miliardi di lire, quanto il fatto che i pm Stefano Civar­di e Mauro Clerici si stiano ad­dentrando in quest’altra ca­verna della finanza interna­zionale. Con le fioche lucerne di norme giuridiche per forza di cose inadeguate a illumina­re nuove opacità sui mercati.

Il Tribunale del riesame (presidente Pietro Carfagna, a latere Guido Piffer, relatore Tomaso Epidendio) ha infatti confermato il sequestro del bond dopo che due preceden­ti misure, la prima per rici­claggio e la seconda per tenta­ta truffa aggravata, erano in­vece state annullate su ricor­so della difesa dell’imprendi­tore italiano che appare titola­re del bond. Il sequestro, di­sposto dal gip Federica Cen­tonze, adesso resiste invece perché giustificato con l’ipo­tesi di reato di aggiotaggio, per l’«artificiosità di operazio­ni finalizzate ad accreditare sul mercato un valore dello strumento finanziario sensi­bilmente alterato, in modo da aumentare sensibilmente il prezzo al quale poteva esse­re negoziato».

A far propendere i magi­strati per l’«artificiosità» non sono solo i dubbi sull’autenti­cità di una lettera asserita­mente riconducibile a uno sceicco della famiglia regnan­te del Qatar (da dove non è ar­rivato sinora alcun chiarimen­to), ma anche e soprattutto il fatto che, «nonostante le ri­chieste della banca su cui era accreditato il conto titoli, non vi era stata alcuna evidenza del rapporto sottostante una simile negoziazione e tanto­meno della validità dello stru­mento finanziario, la cui effet­tiva inconsistenza risultava anche da una analisi (perve­nuta tramite richiesta di Ban­ca Mediolanum) dello Studio Allen&Overy sulla società emittente il titolo». Società con solo «due sottoscrizioni iniziali di una sterlina ciascu­na a fronte di un capitale so­ciale di 50 miliardi», e per di più «costituita la data prima dell’emissione del prospetto, bozza (senza i nomi degli agents né dei trustees ) non trasmessa ad alcuna autorità competente».