Carlo Bonini, la Repubblica 16/10/2009, 16 ottobre 2009
In missione da Bagdad a Kabul le armi segrete dell´intelligence- La Difesa francese: "Sul campo ottimi rapporti con voi" La prudenza di Parigi: "Signori della guerra pagati? Voci che abbiamo sentito molte volte" Mentre i britannici inviano altri 500 uomini, Sarkozy annuncia: "Non un soldato in più" ROMA - L´ammiraglio Cristopher Prazuk, portavoce della Difesa francese, è ufficiale che dimostra di conoscere i modi della diplomazia e che non vuole fare torto eccessivo né alla verità, né al buon senso
In missione da Bagdad a Kabul le armi segrete dell´intelligence- La Difesa francese: "Sul campo ottimi rapporti con voi" La prudenza di Parigi: "Signori della guerra pagati? Voci che abbiamo sentito molte volte" Mentre i britannici inviano altri 500 uomini, Sarkozy annuncia: "Non un soldato in più" ROMA - L´ammiraglio Cristopher Prazuk, portavoce della Difesa francese, è ufficiale che dimostra di conoscere i modi della diplomazia e che non vuole fare torto eccessivo né alla verità, né al buon senso. Alle sette di sera, dal suo ufficio di Parigi, chiosa una giornata complicata con parole che raccontano con che tipo di "segreto" si sia messa a giocare l´intera Alleanza. Dice: «Premesso che i rapporti con il contingente italiano sono ottimi e che il lavoro fatto insieme in questi due anni è eccellente, posso dire che la storia secondo cui i servizi segreti al seguito di alcuni contingenti pagano i signori della guerra è una voce che abbiamo raccolto molte volte. Ma a cui non abbiamo mai trovato riscontro. Se parliamo di soldi, io la direi in un altro modo. Direi che non tutti i denari destinati ai progetti di sviluppo locale finiscono nelle mani giuste e per il giusto scopo. Saremmo ingenui a pensare e sostenere il contrario. Ma non lo siamo e ci sforziamo di evitare che questo accada. Del resto, la polemica sugli italiani non è la prima. Qualche settimana fa, ho letto che il contingente americano e quello tedesco hanno avuto problemi a Kunduz per motivi apparentemente simili a quelli di cui stiamo discutendo ora». Il massacro di Surobi, insomma, sarebbe acqua passata. E riaprire la ferita del passaggio di consegne tra i due contingenti nell´estate del 2008 (dopo l´imboscata in cui rimasero uccisi dieci soldati di Parigi, fonti militari francesi interpellate da Repubblica accusarono il contingente italiano non tanto di aver pagato i signori della guerra senza darne avviso, quanto di aver consegnato una zona che non era stata adeguatamente bonificata nei sei mesi precedenti) non sembra nell´interesse di Parigi. Dunque? I francesi - secondo quanto riferiscono fonti diplomatiche - sembrano convinti che nella voglia di «fonti Nato anonime» di accendere un faro sulle routine dei diversi contingenti nel teatro di operazioni afgano, la questione della compravendita della non belligeranza dei signori della guerra sia in realtà un «pretesto». Anche perché, tanto per dirne una, nella provincia dell´Helmand a questa prassi non sarebbe stati estranei ufficiali di Sua Maestà britannica (come raccontava ancora il 20 settembre scorso su Repubblica Guido Rampoldi), fino al punto di sfiorare l´incidente diplomatico con Washington. La partita, dunque, sarebbe un´altra. Che nulla ha a che vedere con una «campagna anti-italiana», ma molto ha a che fare con l´urgenza dell´Alleanza di assicurare uno sforzo supplementare di uomini nel sud del Paese («tra i 10 e i 15mila soldati», ha spiegato ieri il comandante Nato nella regione Mart de Kruif) e dunque con la redistribuzione dei pesi del conflitto tra gli alleati. A questo proposito, se al nuovo sforzo militare Londra si prepara in questi giorni a contribuire con l´invio di altri 500 uomini, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha invece pronunciato proprio ieri un rotondo no («La Francia non manderà un soldato in più», ha detto in un´intervista al Figaro). Mentre l´Italia non è ancora uscita dall´ambiguità dei colloqui del giugno scorso tra Berlusconi e Obama (in quell´occasione, il nostro ministro della Difesa La Russa spiegò di aver ricevuto «assicurazioni dal presidente del Consiglio che non vi sarà un impegno ulteriore a quello già annunciato di altri 400 uomini»), né ha mai chiarito fino in fondo all´Alleanza i limiti di "ingaggio" nell´impiego dei nostri soldati. In quanti e come stare in zona di guerra non è evidentemente questione da poco. Né è questione di oggi. Ed è questione che sta innanzitutto a cuore alla Casa Bianca. L´Italia ebbe lo stesso problema in Iraq. Sul terreno e nelle operazioni di intelligence, con il pagamento dei riscatti per la liberazione degli ostaggi. E del resto, che il problema torni ad essere proprio Washington è confermato da almeno due circostanze. La prima: nell´inchiesta del Times si riferisce di colloqui riservati del giugno 2008 tra l´allora ambasciatore americano a Roma, Ronald Spogli, e il governo Berlusconi proprio per denunciare, sulla scorta di «intercettazioni di intelligence», le routine «inappropriate» dei nostri servizi segreti militari nel teatro afgano. La seconda: la voluta ambiguità con cui, nella giornata di ieri, fonti diplomatiche americane hanno risposto alle sollecitazioni di Repubblica su questo specifico episodio. E che, a sera, si sintetizza in una breve e significativa dichiarazione di un funzionario del dipartimento di Stato a Washington: «Spogli? Non commentiamo nessun tipo di scambio diplomatico interno che può essere, così come può non essere, accaduto».