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 2009  ottobre 16 Venerdì calendario

Traviata? solo un miraggio E Noseda commuove Torino- TORINO – Le idee, in buo­na sostanza, sono due, all’ini­zio e alla fine

Traviata? solo un miraggio E Noseda commuove Torino- TORINO – Le idee, in buo­na sostanza, sono due, all’ini­zio e alla fine. La prima, il pas­saggio di un corteo funebre durante il preludio del primo atto, dice che tutto è già acca­duto. Non è inedita (anche la famosa Traviata dello spec­chio di Brockhaus/Svoboda lo sottolineava, vent’anni fa) ma è in linea con l’identità tra la musica degli atti estremi. La seconda dice invece che il fi­nale – il ritorno d’Alfredo, il pentimento di Germont, la va­na speranza di un nuovo ini­zio – è solo un sogno a occhi aperti, perché Violetta muore sola, senza nemmeno un me­dico lì a certificare che «è spenta». Non è veramente fon­data, ma è idea suggestiva. Per il resto l’edizione di Tra­viata che inaugura la stagione d’opera del Regio di Torino, con il debutto italiano del regi­sta Laurent Pelly, è accurata ma più ortodossa di quanto ci si aspettasse da un artista abi­tuato a inventare, spesso ai li­miti del lecito. Sì, fa effetto che l’elemento scenografico trainante sia un’infilata di lapi­di (ma all’occorrenza diventa­no tavoli, letti, scrivanie), di­sposte sghembe come il mo­numento alla Shoah di Berli­no, ma il racconto dice quel che deve e lo dice piuttosto be­ne, complice la disponibilità del cast a lavorare sul perso­naggio, sulla sua gestualità e sul modo di porgere la parola verdiana. E soprattutto per questo va dato atto a Gianandrea Nose­da, direttore musicale del tea­tro, di aver compiuto un lavo­ro come si deve. Tra l’altro l’or­chestra torinese con lui va cre­scendo e di certe fiacchezze del passato non v’è traccia. La sua non è una interpretazione nuova. attenta, precisa, puli­ta. Privilegia tempi vivaci e va bene così, anche perché quan­do accorda spazio ai cantanti e ne asseconda tempi più lar­ghi (un esempio su tutti, l’este­nuante «Addio del passato» di Violetta), il suono, parados­salmente, perde di spessore e di profondità; in altre parole, s’adagia, e il ritmo drammati­co (l’essenzialità, la concisio­ne verdiana) si perde. Cast di tutto rispetto. Lei è Elena Mosuc, Violetta brava e collaudatissima: il suo meglio lo dà nei fraseggi drammatici del secondo atto e in quelli li­rici del terzo, mentre tra le agi­lità del primo non si muove con la stessa disinvoltura, spe­cie dal punto di vista ritmico. Comunque è una prova impor­tante, la sua. Eccezionale quel­la di Carlos Álvarez qual Ger­mont. Nobiltà, peso, calore, fraseggio, eleganza: c’è pro­prio tutto. E buono assai an­che l’apporto di Francesco Me­li. Sembra una voce troppo leggera per Alfredo ma poi il timore viene (quasi) sempre smentito dai fatti. E anche lui, quanto a colore, eleganza e fraseggio, non scherza. Beni­no il coro. Bel successo, spe­cie considerando quanto è tie­pido di solito il pubblico tori­nese.