Domenico Quirico, La stampa 16/10/2009, 16 ottobre 2009
FRANCE TELECOM, SUICIDIO NUMERO 25
Venticinque: il primo suicidio fu nel febbraio del 2008, liquidato dalla direzione di France Telecom come «doloroso caso personale». E invece: altre ventiquattro morti volontarie, a provare che quella frettolosa e filistea catalogazione nel privato era una ben fragile scappatoia. Il male di vivere nasceva e cresceva proprio tra i quadri, i colletti bianchi, un tempo evidentemente felici di lavorare in una delle prime aziende di Francia e in settori così moderni e promettenti come i telefonini e Internet. Con posti di lavoro in fondo arcisicuri.
Lo hanno trovato impiccato in casa ieri, questo ingegnere di 48 anni, sposato e padre di famiglia, a Lannion, in Côtes-d’Armor. Lavorava lì, nel centro R&D. «Era in permesso malattia ormai da un mese su consiglio del medico del lavoro» ha spiegato l’amministratore delegato di France Telecom, Didier Lombard, il manager che sindacati e dipendenti pennelleggiano come responsabile, per la sua linea aziendale produttivistica e spietata, di queste morti. Tutti meno il governo che lo ha, finora, mantenuto in sella. Lombard non l’ha detto ma è il secondo suicidio a Lannion: ad agosto un tecnico del centro di ricerca si era ucciso senza lasciare spiegazioni.
E’ stato il numero due dell’azienda, Sthépane Ricard, appena insediato proprio con il compito di voltar pagina, a spiegare: «Era in uno stato di prostrazione a causa di un posto a cui si era candidato ma per cui non è stato scelto». Dopo due anni nessuno in fondo ha ancora risposto alla domanda: perché si uccidono? C’è un imputato, con molti indizi a carico: il modo in cui è gestita l’azienda. Una strategia di persecuzione che avrebbe lo scopo specifico di scoraggiare, mettere al muro e spingere alle dimissioni quei funzionari cui non è possibile applicare i comodi piani di prepensionamento. Quelli che qualcuno ha definito «il management dello stress».
La tensione si è arroventata alla fine degli Anni 90 con la privatizzazione delle telecomunicazioni. Tempi nuovi e difficili di concorrenza e bilanci da far quadrare, dopo le placide ere del trantran pubblico. L’avvento della cultura del profitto ha portato a un terremoto negli incarichi: i dipendenti sono stati costretti a cambiare mestiere da un giorno all’altro, a inventarsi nuove professionalità. Chi resiste è semplicemente «cancellato», messo da parte, fatto rimbalzare da un posto all’altro, spedito in sedi periferiche. Dal 2002 ogni dipendente di France Telecom cambia posto in media ogni 27 mesi e luogo di lavoro ogni 30. Conseguenze: un tasso di dimissioni passato dal 4 al 15,3 per cento, un mese di malattia per dipendente nel 2008. E 25 suicidi.
L’azienda ha atteso di arrivare a quota 24 per sospendere il principio di mobilità automatica dei quadri ogni tre anni e promettere di migliorare le condizioni di lavoro. Ieri Richard ha assicurato: «Metteremo in atto un nuovo sistema con nuove regole e nuove garanzie». Ha fatto anche una timida apertura su una delle richieste dei sindacati: definire «incidenti sul lavoro» queste morti volontarie: «Non ci opponiamo in linea di principio a questa via ma, essendo un tema al di sopra di noi, abbiamo chiesto al ministero del Lavoro di designare un esperto che ci assista».
Quello che France Telecom non intende finora discutere è la poltrona di Didier Lombard. Attaccato dall’opposizione di sinistra, ha tentato di affezionarsi i contestatori offrendo loro la testa del suo numero due, Louis-Pierre Wenes, colui che aveva inventato il sistema di radicale «modernizzazione dell’azienda», il frantumatore dei dipendenti scomodi. Lo ha sostituito appunto Richard, che è un uomo del ministro dell’Economia Christine Lagarde. Sarà lui, alla scadenza del mandato di Lombard, a occupare quella poltrona. Ma aspetterà davvero fino al 2011?