Pietro Citati, la Repubblica 16/10/2009, 16 ottobre 2009
LEGGERE CHARLOT COME PROUST
Di Chaplin si può guardare una inquadratura, studiare un´espressione ammirare un capitombolo, come se fossero brani della "Recherche"
Lui esplora la realtà, raccoglie modi di ridere, cadere, saltare D´un tratto i gesti si coagulano e nasce il personaggio
Capì, come nessuno scrittore americano o europeo, cosa erano i "tempi moderni": oppressione e conflitti sociali
Quest´estate, ho passato tutti i pomeriggi a vedere i film di Charlot. Poche cose conoscevo meglio. Tutti i sabati, quando studiavo alle elementari o alle medie, mi facevano vedere alternativamente una comica di Ridolini o una comica di Charlot; e, più tardi, ho contemplato decine di volte Il monello, Le luci della città, e Tempi moderni. Ma non vi avevo mai prestato tanta attenzione. Per la prima volta, leggevo Charlot come avevo letto Proust e Kafka: fermavo continuamente la pellicola, guardavo un´inquadratura, studiavo un´espressione, ammiravo un capitombolo, come fossero brani della Recherche o del Castello. Così ho esplorato un continente quasi sconosciuto, e ne ho tratto una grandissima gioia.
Forse le comiche del 1912 o del 1914, composte quando Chaplin aveva ventitre o venticinque anni, restano le più misteriose, perché in quei giorni si formava un universo. Di solito, un autore di cinema o di teatro inventa insieme un personaggio e i suoi gesti, i quali esprimono la sua anima. Nel caso del giovane Chaplin, invece, le cose sono completamente diverse. Con la sua fantasia mimica rapidissima, egli esplora il mondo: raccoglie modi di ridere, di camminare, di cadere, di picchiare, di saltare, di togliersi il cappello, di far oscillare un bastoncino, di fare la corte a una matura signora; ma il suo personaggio non esiste ancora. Egli lo attende. E, a un certo punto, i gesti si coagulano, si fissano, si collegano; e Charlot nasce, quasi all´improvviso, ad insaputa del proprio autore. I gesti anonimi del mondo hanno trovato il loro signore.
Chaplin si propose di far rinascere la farsa plautina e la commedia dell´arte all´inizio del ventesimo secolo: o le fa rinascere, senza proporselo affatto. Così, in apparenza, non c´è psicologia, ma solo la spettacolosa esibizione di un mimo: questi gesti sono pieni di volontari o involontari significati simbolici, che si ripetono di continuo. E´ un mondo profondamente erotico, dove Charlot (o il suo precursore, in una comica di Mack Sennett) è un libidinoso e vizioso seduttore. Forse per questo è un mondo senza equilibrio, dove tutte le figure vacillano, inciampano, cadono a terra, battono la faccia; e malvagissimo, dove le ostilità nascono senza ragione e il massimo piacere è camminare orgogliosamente sul corpo del nemico. Tutto è sul punto di esplodere, e di saltare per aria: solo la ferrea volontà di Chaplin riesce a ristabilire un equilibrio, almeno apparente.
Continuamente, l´occhio acutissimo di Chaplin cerca nuovi spunti comici; ed è facile osservare come il piede e la gamba abbiano una funzione maggiore del braccio e della mano tradizionali. Non scorgiamo che piedi che balzano o si attorcigliano. Come in Aristofane e nel Plauto aristofanesco, assistiamo allo scontro di due tendenze opposte. Da un lato siamo in presenza di moltissimi oggetti vivi e parlanti: la bombetta e il bastoncino parlano più dei personaggi. Dall´altra, tutto ciò che è umano e vivo diventa burattinesco: e da questo incontro e scontro di opposti nasce una meravigliosa mescolanza di carne e di legno, di labbra e di pietra che, alle volte, ha qualcosa di profondamente mostruoso.
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Il primo gesto, di Charlot è quello di inchinarsi leggermente, alzando un poco la bombetta sul capo: a un signore, a una signora, a una casa, a un albero, a un cane, a un gatto, a un albergo, a un fiume, a un´automobile, a una strada. Così Charlot riconosce l´esistenza della realtà: ne prende nota, la osserva, la rispetta, la venera, ne ha paura, se ne distingue, la allontana. Intanto, egli rivela la sua buona educazione, i suoi modi da gentiluomo ottocentesco, mescolato tra un groviglio di villani e di idioti. E, sopratutto, il suo decoro: il quale può nascere dalla paura (nessuno è più pauroso di lui), ma si trasforma in quella dignità del vivere, che per Chaplin ha un valore maggiore dell´amore e dell´intelligenza. Non importa che Charlot sia coperto di stracci, o trasformi il suo vestito in coperta, o la coperta in vestito. Qualsiasi cosa faccia, egli è un uomo che domanda e merita il nostro rispetto.
Ciò che importa, nel Monello o nelle Luci della città, è l´incantevole lago di tenerezza suscitato, nel cuore di Charlot, da un orfanello o da una fioraia cieca. Nessuno è più dolce di quest´uomo coi piedi piatti: nessuno ha, come lui, una sensibilità paterna o materna più profonda verso un ragazzo di otto o di dieci anni, di cui ammira l´astuzia o l´intelligenza. Perciò soffre così terribilmente gli scherni che deve subire, nelle Luci della città, da parte di piccoli banditi di strada, che lo colpiscono con la cerbottana.
Come Socrate, Charlot si meraviglia: tutto ciò che accade suscita, in lui, stupore. Non capisce mai. Chiede. Domanda. Interroga. Ma, nello stesso tempo, dietro questa meraviglia c´è una conoscenza completa e profonda dei mali e dei crimini degli uomini. Sa tutto: anche la ragione delle sofferenze alle quali va incontro. Eppure non è mai amaro. La tristezza non lo acceca. Quel mondo malvagio è pieno di gioia e di luce; ed egli ripete, al suo ricco amico ubriaco, che domani canteranno gli uccelli. Il male e il delitto non riescono a distruggere la sostanziale armonia del mondo, e la bellezza delle albe che qualcuno prepara per noi.
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Con i meravigliosi Tempi moderni, Chaplin-Charlot toccò il culmine della propria arte: quale profondità, ricchezza, gioia, fluidità narrativa, rapidità, astrazione. Come nessuno scrittore americano ed europeo dei suoi giorni, Chaplin comprese cosa erano i tempi moderni: i conflitti sociali, le lotte di classe, l´oppressione, la dominazione, la vendetta. Non ci sono più le lentezze, i languori e le lacrime delle Luci della città. Le ruote dell´industria cominciano a correre: nessuno può arrestarle, e i tempi sono così veloci da travolgere sia chi li domina sia chi ne è vittima. E, per esprimere questa rapidità del mondo, il comico diventa sempre più veloce, astratto, filiforme, vertiginoso, con danze ebbre e corse con pattini sull´orlo dell´abisso e canti senza parole. Tutto è festoso e terribile: non sappiamo mai se ridere follemente; o lamentarci, a terra, come un pezzo di carne vilipeso e ferito.
Con i piedi nudi, gli occhi crudeli e brillantissimi, le guance sporche, appare Paulette Goddard, il più ardente personaggio femminile di Chaplin. Niente può opporsi al brillio demoniaco dei suoi occhi. Quasi per la prima volta, incontriamo un amore felice: i due si stringono la mano, camminano, corrono, abitano insieme un Eden grottesco, fingono di comportarsi da marito e moglie; Charlot dimentica la timidezza e i rossori di una volta. Ma non c´è la minima traccia di Eros: né Eros né il pathos appartengono ai tempi moderni. Qui vive soltanto la gioia: la gioia che può stringere insieme due ragazzi scatenati e felici, che assaltano il mondo e vogliono possederlo, come un gioco che soltanto essi conoscono.
La città è piena di carceri, dove Charlot, innocente o colpevole, viene rinchiuso ogni settimana. Ma le carceri si riaprono con la stessa velocità, e i due, mano nella mano, fuggono nello sterminato paese dell´alba, mentre il sole sta per levarsi. Dietro di loro non ci sono poliziotti, né magistrati, né uomini politici, né sacerdoti, né operai né scioperanti. La furia di Charlot e di Paulette li ha cacciati per sempre. Siamo entrati nel regno della libertà assoluta, dove tutte le case e le architetture sociali sono scomparse.
L´arte del mimo è portata al parossismo della furia e della grazia. Ma, per la prima volta in Chaplin, viene ascoltata la parola. Nel ristorante, dove ha compiuto le gag più esilaranti, e le anatre arrosto scompaiono e ricompaiono e tornano a scomparire, Charlot si trasforma da cameriere in cantante. Dimentica le parole delle canzoni: Paulette gliele scrive sui polsini: i polsini volano via nella foga della danza; e Charlot inventa una stupenda canzone con parole che non esistono in nessuno dei vocabolari che conosciamo. Il canto porta con sé la felicità, che il mimo non riesce a raggiungere; e, per essere felice, non deve avere senso, o deve avere tutti i sensi che l´immaginazione degli ascoltatori riesce a scoprire.