Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 16 Venerdì calendario

Dal maxi-processo alla benzina, ecco il papello- Una copia delle richieste dei boss consegnata da Ciancimino jr

Dal maxi-processo alla benzina, ecco il papello- Una copia delle richieste dei boss consegnata da Ciancimino jr. C’è anche un manoscritto dell’ex sindaco PALERMO – Le condanne definitive nel maxi-processo di Palermo arrivarono a gennaio del 1992, e da lì si scatenò la ven­detta di Totò Riina contro lo Sta­to. A marzo fu assassinato Salvo Lima, a maggio saltò in aria Gio­vanni Falcone, e dopo la strage di Capaci la cancellazione di quel verdetto timbrato dalla Cas­sazione viene messa al primo punto delle richieste mafiose al­lo Stato per fermare l’offensiva terroristica. «1 - Revisione sentenza ma­xi- processo» è scritto in cima al papello finito nelle mani dell’ex sindaco corleonese di Palermo, Vito Ciancimino, e consegnato ai carabinieri del Ros (il colonnello Mario Mori e il capitano Giusep­pe De Donno) che andavano a far­gli visita per carpire notizie utili alla cattura dei latitanti. Almeno nella loro versione. Secondo Mas­simo Ciancimino invece, figlio di «don Vito» e prin­cipale testimone di questa vicenda, gli ufficiali dell’Ar­ma avevano avviato con suo padre una vera e propria trattati­va, dopo Capaci e pri­ma della strage di via D’Amelio in cui morì Paolo Borsellino, il 19 luglio ”92. Pure questo è un punto in cui le rico­struzioni non coincido­no, uno dei nodi cruciali dell’indagine in corso a 17 anni dai fatti. A riprova di quello che racconta, Ciancimino jr ha fatto avere l’altro giorno ai pubblici ministeri di Paler­mo una fotocopia del famige­rato papello. un foglio di carta bianco, con dodici pun­ti scritti a mano, in stampatel­lo, senza errori di ortografia tranne uno (fragranza invece di flagranza), con calligrafia chiara. Che non sembra quella di Riina, né di Bernardo Proven­zano. Secondo i racconti del gio­vane Ciancimino, lui lo ritirò chiuso in una busta, in un bar di Mondello, dal medico condanna­to per mafia Antonino Cinà. Lo portò a suo padre e poi lo rivide nelle mani del misterioso «si­gnor Franco», o «Carlo», l’uomo mai identificato dei servizi segre­ti o di qualche altro apparato che pure partecipò alla trattativa. L’intermediario disse a Vito Cian­cimino che poteva andare avanti, e l’ex sindaco ordinò al figlio di combinare un altro appuntamen­to con Mori e De Donno. A loro diede il papello, e a riprova di ciò – sempre secondo Ciancimino jr – sull’originale del documen­to è applicato un post-it scritto a mano dal padre dove si legge «Consegnato in copia spontanea­mente al col. Mori, dei carabinie­ri dei Ros». I magistrati non hanno ancora l’originale, e per adesso studiano il contenuto della fotocopia giun­ta via fax all’avvocato di Massi­mo Ciancimino, che l’ha portata in Procura. Dopo il maxi-proces­so i mafiosi si preoccupano di abolire il «41 bis» che prevede il «carcere duro» per i mafiosi, la revisione della legge Rognoni-La Torre e di quella sui pentiti. Poi, al punto 5, compare un argomen­to che solo anni dopo sarà tratta­to dai boss di Cosa Nostra, come possibile via d’uscita dagli erga­stoli: «Riconoscimento benefici dissociati (Brigate rosse) per con­dannati di mafia». Con evidente riferimento alla legge fatta per gli ex terroristi. strano che già se ne parli nel ”92, quando i capi sono tutti latitanti, ma questo ri­sulta dal papello. Al punto 7, dopo la richiesta degli arresti domiciliari per gli ul­trasettantenni, s’invoca la chiusu­ra delle carceri speciali. Poi ci si concentra sui rapporti con i fami­liari: dalla detenzione vicino alle abitazioni delle famiglie all’esclu­sione della censura della posta, fi­no all’esclusione delle misure di prevenzione per mogli e figli. C’è poi la proposta di procedere al­l’arresto «solo in fragranza di re­ato », come se le manette potesse­ro scattare durante una riunione tra mafiosi o subito dopo l’esecu­zione di un omicidio, mai in altri casi. Una sorta d’immunità per i boss, come per i parlamentari. Con l’ultimo punto ci si preoc­cupa di tutt’altro argomento: «Le­vare tasse carburanti, come Ao­sta ». Improvvisamente, dalle condizioni di vita dei detenuti (e dei loro parenti) e dalle riforme del codice penale, si passa a que­stioni economiche come la defi­scalizzazione della benzina. E in­sieme al papello Massimo Cianci­mino ha consegnato alcuni fogli manoscritti dal padre dove, fra varie argomentazioni di tipo poli­tico- programmatico, si cita l’abo­lizione del monopolio del tabac­co. In quelle carte compaiono an­che i nomi di Nicola Mancino e Virginio Rognoni. Il primo diven­ne ministro dell’Interno il 1˚ lu­glio 1992, il secondo fu ministro della Difesa fino a quella data. En­trambi hanno sempre detto di non aver mai saputo nulla della «trattativa» con la mafia, ma il ri­ferimento a Rognoni viene consi­derato dagli inquirenti un altro indizio che il confronto tra lo Sta­to e i boss (tramite l’ex sindaco di Palermo) sarebbe cominciato dopo la strage di Capaci ma pri­ma di quella di via D’Amelio. E che forse Paolo Borsellino morì anche perché era diventato un ostacolo da rimuovere.