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 2009  ottobre 16 Venerdì calendario

IL BAROLO

Alla Marchesa di Barolo è legato l’aneddoto che spiega come la fama del vino sia giunta sino a Casa reale: Re Carlo Alberto di SAvoia avrebbe chiesto alla Marchesa perché ”non gli avesse mai fatto gustare quel suo famoso vino del quale tanto aveva sentito parlare”. ”Presto, molto presto” rispose Giulia, quasi sfidando il sovrano. Qualche giorno dopo i torinesi assistettero ad una strana processione: videro passare per via Nizza a Torino e sfilare per le vie delle città una lunga fila di carri, ciascuno con la sua carrà di vino . I carri erano diretti a Palazzo Reale, sede della Corte, e furono fatti sfilare attraverso le vie centrali della città, attirandosi la curiosità di tutta la popolazione: forse il primo esempio di pubblicità del vino barolo… I carri e le relative carrà erano trecentoventicinque, uno per ogni giorno dell’anno, sottratti i quaranta giorni di quaresima (la Marchesa, era molto pia).
Questo vino piacque moltissimo al Re, tanto che ne divenne anch’egli produttore nelle sue terre di Verduno, dirette dal generale Staglieno, già impiegato presso il Cavour. E infatti la frequentazione della corte dei marchesi Falletti e la loro amicizia con le famiglie più nobili fu di enorme giovamento anche al vino che veniva prodotto sulle loro terre di Barolo. I Falletti lo regalavano ai Savoia, lo offrivano ai loro invitati nel loro salotto torinese, ne rifornivano con liberalità gli amici.

Un tempo, questo vino era conosciuto semplicemente come Nebbiolo dall’uva che lo produce. Nelle Langhe, ancora adesso, al di fuori della zona d’origine del Barolo, è chiamato col nome di Nebbiolo d’Alba e di Langhe Nebbiolo. E’ nella seconda metà del secolo scorso che s’iniziò a chiamarlo semplicemente Barolo, dal nome del paese dove aveva i possedimenti la contessa Giulia Colbert Falletti. E’ stata appunto questa nobildonna (cfr sopra) a far conoscere e meglio apprezzare il suo Nebbiolo di Barolo presso la corte dei Savoia a Torino. Tuttavia, una parte di merito spetta anche al grande statista Camillo Benso conte di Cavour che nel castello di Grinzane vinificò per la prima volta, con l’aiuto dell’enologo Oudart, un Nebbiolo più secco, secondo le nuove tendenze dell’epoca. E fu questa nuova tipologia di Nebbiolo a conquistare Torino e poi l’Italia. Già alla fine del secolo scorso il Barolo era considerato il più grande dei vini italiani, anche all’estero, dove iniziava la sua esportazione, soprattutto nelle Americhe.

Fondazione del consorzio per la tutela del Barolo e del Barbaresco

Denominazione d’origine
Fondatori del Consorzio Tutela Barolo e Barbaresco: Davide Germano, Giovanni Gaja, Giuseppe Elampe, Don Giovanni Grasso. Con la costituzione del Consorzio, nel ’34 vennero definite ufficialmente la zona di origine, le uve, le caratteristiche del vino. Dopo una pausa negli anni della guerra, il Consorzio fu ricostituito nel ’47.
Lavorò prima per il riconoscimento della denominazione di origine controllata e poi, in epoca recente, per la denominazione di origine controllata e garantita, portando i due vini di pregio all’ottenimento del massimo blasone previsto per i vini italiani.

Denominazione d’Origine Controllata (DOC) del 23 Aprile 1966.
Denominazione d’Origine Controllata e Garantita (DOCG) del "-V ° Luglio 1980.

Ogni bottiglia deve recare il contrassegno di Stato: una fascetta di carta violetta sul collo della bottiqlia.

Alcuni parametri che si devono rispettare:

* Il vino può essere prodotto solo nella zona d’origine (vedi sotto)

* La produzione massima di uve per ettaro non deve superare gli 80 quintali. La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al 70% al primo travaso e non deve superare il 65% dopo il periodo di invecchiamento obbligatorio di 3 anni.

* Gradazione alcoolica minima complessiva: 13 % Voi

* Acidità totale minima: 5. per mille Estratto secco netto minimo: 23 gr per litro

Il vitigno da cui deriva: il Nebbiolo

Il Barolo è un vino in purezza, ovvero ricavato esclusivamente dalle uve Nebbiolo prodotte negli interi territori comunali di Barolo, Castiglione Falletto, Serralunga d’Alba, ed in parte nei territori comunali di La Morra, Monforte d’AIba, Novello, Verduno, Grinzane Cavour, Diano d’Alba, Roddi, Cherasco.
Gli ettari coltivati sono complessivamente 1250 con una resa di circa 7 milioni 600 mila bottiglie all’anno (catasto vitivinicolo 1998). La Morra, coi suoi quasi 400 ettari vitati, supera il 30% della produzione.
Foglia media o grande, con 3 o 5 lobi abbastanza aperti. Grappolo medio, piramidale-allungato, alato, compatto, con peduncolo medio, per lo più verde. Acini medio-piccoli, rotondi con tendenza all’ellissoide, a polpa succosa, dolce è astringente, con buccia pruinosa (annebbiata), sottile, resistente e tannica, violacea scura con riflessi grigio-argentei della pruina, a maturazione tardiva di quarta epoca.

Le sottovarietà o cloni del Nebbiolo
Si conoscono tre cloni del Nebbiolo: il Lampia, il Michet e il Rose. Quest’ultimo, che dà vini particolarmente scarichi, è quasi del tutto scomparso. Il Michet, anch’esso abbastanza raro, è considerato, secondo recenti studi, il prodotto della virosi sulla sottovarietà Lampia. Dà basse rese, ma elevata qualità. Il clone maggiormente presente nei vigneti di Langa risulta il Lampia.

Maturazione dell’uva Nebbiolo
E’ a maturazione tardiva: mediamente si vendemmia verso la metà di ottobre, mentre nelle annate particolarmente calde e asciutte la sua raccolta può essere anticipata ai primi del mese. Occupa i pendii collinari meglio esposti, da Sud-Est, Sud, a Sud-Ovest, dai 150 ai 400 metri d’altezza. Predilige un terreno magro e composto di marne calcaree, ed un microclima particolare: nella zona del Barolo e del Barbaresco, che presentano al meglio queste caratteristiche, i suoi vini raggiungono la massima complessità aromatica e la massima longevità.

Dopo quanti anni di invecchiamento si può chiamare Barolo?
Il vino deve essere sottoposto ad un periodo di affinamento di almeno tre anni: durante questo tempo deve rimanere come minimo due anni in botti di rovere. La scelta del rovere e della dimensione della botte è lasciata all’esperienza del vinificatore. Cosicché il Barolo matura sia nelle grandi botti tradizionali, sia nelle botti di medie dimensioni, sia nei carati di 225 litri.
Il periodo di affinamento decorre dal 1 ° gennaio successivo all’annata di produzione delle uve.
Esempio: l’annata 1996 può essere commercializzata soltanto dal 1 ° gennaio 2000. Dopo un periodo di cinque anni di affinamento al Barolo può essere aggiunta la dizione: riserva.
E’ consentita l’aggiunta, a scopo migliorativo, di Barolo più giovane ad un Barolo più vecchio derivante dalla stessa vigna o viceversa, nella misura massima del 15%.
In etichetta deve figurare il millesimo relativo al vino che concorre in misura preponderante.
Prima di essere messo in commercio, il Barolo deve superare una prova di degustazione eseguita da un’apposita commissione costituita dal Ministero dell’Agricoltura. Il superamento della prova dà diritto al contrassegno DOCG da incollare sul collo della bottiglia.

Le migliori annate del Barolo
II Barolo è uno dei grandi vini da invecchiamento. E’ difficile dire quanti anni possa rimanere in bottiglia senza perdere le sue caratteristiche organolettiche. Diversi sono i fattori che condizionano la maturazione: l’annata, il cru, la temperatura della cantina, il buio, l’umidità, e via elencando, in genere, nelle migliori condizioni un barolo può superare i 15 anni di invecchiamento.

I grandi millesimi
Negli ultimi cinquant’anni (dal 1949) i grandi millesimi, universalmente riconosciuti, sono:
1958, 1961, 1964, 1971, 1982,1985, 1989, 1990.
Si ritiene che le annate di fine secolo 1996, 1997 e 1998 daranno grandissimi risultati.

Caratteristiche organolettiche del Barolo
[Scaraffamento
Se si tratta di un Barolo giovane, non è il caso di scaraffare. Se il Barolo è d’annata, conviene trasferirlo in una caraffa con la massima attenzione per evitare intorbidamenti. Si scaraffa poco prima di servirlo].
Temperatura di servizio
Intorno ai 18°C
Il bicchiere giusto
Il bicchiere del Barolo deve essere capiente, panciuto, a forma di tulipano, con stelo piuttosto lungo, di cristallo incolore. E’ stato studiato e prodotto il bicchiere "Piemonte".
Colore: rosso granato brillante che assume riflessi arancione percepibili soprattutto nell’unghia (anello esterno della superficie del vino nel bicchiere, a contatto col vetro).
Profumi: intensi e netti, con sentori floreali che ricordano la rosa e la viola nei vini giovani; col trascorrere del tempo prevalgono sentori di frutta quali la ciliegia sciroppata e la prugna cotta, poi sensazioni vegetali di sottobosco e terre bagnate quali il tartufo e i funghi freschi e secchi, infine aromi speziati di pepe, cannella e vaniglia, che evolvono verso profumi animali come il cuoio ed infine odori chimici ed eterei quali il catrame (goudron).
Gusto-finale di bocca: sapore asciutto, pieno, robusto, austero ma vellutato, armonico, avvolgente; struttura forte e complessa; in bocca si percepisce la bacca rossa della marasca e della mora, la liquirizia e la vaniglia, il tabacco e il caffè; l’astringenza dei tannini, più evidente nei vini giovani, va decrescendo ed armonizzandosi con l’invecchiamento.

Il Barolo predilige in abbinamento vivande a base di carni rosse brasate e arrostite, di selvaggina di pelo e di piuma (brasato al Barolo, lepre af civet, fagiano in salmì).
Va accostato a formaggi stagionati e a pasta dura (bra duro, parmigiano reggiano e grana padano, castelmagno erborinato).
Come vino di fine pasto con la pasticceria secca (paste di meliga).