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 2009  ottobre 16 Venerdì calendario

BEPPE RINALDI DETTO CITRICO

Beppe per i conoscenti, ”il Citrico’ per gli amici, per tutti Rinaldi di Barolo, profondo cuneese. Chi conosce il vino non può non aver sentito raccontare di un veterinario alla James Herriot, su e giù in moto per il Langashire, con l’enologia nel sangue. Sette ettari di proprietà di famiglia nei cru più prestigiosi del Piemonte, da cui ricava un barolo costantemente glorificato dalla critica. Eppure le aste stellari, il pagani del dio vino, le fiere dedicate, il popolo delle guide ai vini non lo entusiasmano. Anzi. Quando a Verona impazza il Vinitaly, lui e pochi altri tradizionalisti di tutta Italia si riuniscono in una villa palladiana a Isola della Scala per Vini Veri, una fiera a difesa del vino secondo natura. E di un approccio più sensato al vino.

La produzione nazionale aumenta. Brindiamo?
Veramente qui, nelle Langhe, di vino ne vorrei sempre meno…
E perché?
Per tanti motivi. L’altro giorno scendevo a Barolo da Monforte d’Alba: ho solo visto ruspe e nuovi vigneti ricavati a scapito dei boschi. Si paventa la crisi e intanto si abbatte la furia violenta sulle nostre colline per piantar vigne…La monocultura esasperata impoverisce la terra, la geologia, il paesaggio.
Non ha la sensazione che i grandi produttori non siano di questo avviso?
Dalle nostre parti siamo tutti dei piccoli produttori. Dovremmo, tutti, darci una calmata. Se non si ha la dignità della bellezza dei luoghi, della tipicità si finisce per far scelte dettate dal dio denaro. Dobbiamo sapere chi siamo: la produzione nella terra del Barolo è polverizzata. Si è passati dal feudo dei 1200 ettari dei marchesi Falletti a una miriade di piccolissimi vignaioli… Non avremo mai gli Château francesi. Io vendo sei bottiglie per volta a chi mi bussa al portone.
Insomma, dovremmo imparare dalla Francia?
Non ho il mito dei francesi: ma dove non siamo capaci impariamo a copiare. Il Barolo non va presentato in un capannone, con le luci al neon. Provate a percorrere la Côte-d’Or in Borgogna: troverete terra, legno, pietra, buio, candele e ragnatele. Non pareti lavabili, pavimenti da clinica, resina e vasche di acciaio inox. Qui vengono a controllare tutto e se, come nella mia cantina, trovano un antico impianto di ceramica che era una meraviglia me lo fanno togliere, non è a norma. La Toscana sta facendo passi avanti: ha ottenuto deroghe perché certe cantine sono luoghi storici. Qui no.
Allora la troppa pulizia fa male al vino?
Se disinfetti come in ospedale, se la cantina è asettica e il vino non fermenta più! E ti trovi costretto a usare lieviti industriali e, come li chiamano loro, i ”coadiuvanti della fermentazione’, gli additivi. Lavorare nel vino presuppone conoscenze, creatività, eclettismo, esperienza. Invece siamo costretti a dedicare il nostro tempo passar carte e pensare alle norme. Le lobby di chi fa milioni di bottiglie e le caste burocratiche sono unite nel volerci caricare di incombenze inutili. Si appellano alla tutela di chi beve parlano di filiera, di certificazione, di tracciabilità… Per carità.
Salvaguardare il consumatore è forse una bufala?
Quando saltano fuori scandali come quello della Galbani, o le fregature del falso biologico, o del falso biodinamico capisci che sì, è una fregatura.
E come lo intende, lei, il vino?
Ormai è un prodotto elitario, edonistico. Chi fa il vino è un artigiano, e per prima cosa deve curarne la bevibilità e la digeribilità. Al mattino non ti devi svegliare col ”testone’ se hai bevuto la sera prima. Bisogna limitare al massimo l’uso della solforosa, evitare i passaggi violenti in barrique, che rilasciano sostanze difficili da metabolizzare.
Un anticapitalista del vino che parla di consumo elitario…
Che il vino sia diventato bene voluttuario è un fatto. Sento parlare, anche da parte di produttori di eccellenza, di globalizzazione. Di nuovi mercati. Ma perché devo vendere alla Cina, alla Russia, ai nuovi ricchi che non sanno cosa comprano solo per guadagnare di più? Io preferisco continuare a vendere ai clienti di mio padre, con cui ho un rapporto anche personale.
Lei è celebrato in tutte le guide. Le fa piacere o è mercato anche questo?
Sembrerò supponente ma vorrei non sapere di classifiche, premi e punteggi perché, scontatamente, ti coinvolgono. Fanno piacere, certo, ma strumentalizzano, ti senti investito anche da una forma di violenza… Alcuni mi chiamano al telefono e non mi chiedono più, ma vogliono, pretendono il mio vino. Sa cosa mi succede?
No, dica.
Oggi l’utente delle guide viene e mi fa domande come ”Quanto macera?’ o ”Quanto invecchia?’ Io di solito rispondo che macero tutto l’anno, tranne la Quaresima, e che amo le rughe. Gli utenti sciorinano termini tecnici e gergo da iniziati. Ci mancherebbe, la conoscenza non è mai negativa ma ormai ci si parla addosso, c’è autocompiacimento, narcisismo.
Immagino il suo giudizio sulle aste con pezzi battuti a migliaia di euro…
Sono sintomi di decadenza. Mi fa rabbrividire questo eccesso di valore aggiunto su un prodotto di cui ci si può innamorare ma che è solo un vino! Non mi sento all’altezza di questi meccanismi diabolici… Siamo imboniti dal maggior potere dei tempi nostri, la pubblicità. La gente parla solo di mangiare e bere. Forse ci siamo dimenticati che è solo vino. storia, cultura, è piacere. Ma è solo vino.