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 2009  ottobre 15 Giovedì calendario

COME TI RICICLO LA CITTA’


Nuova ondata di cementificazione o grossa chance di riflessione sullo sviluppo delle città? Delle due prospettive sul Piano Casa - il rilancio dell’edilizia promosso dal governo per superare la crisi economica, un progetto di incentivazione che sarà vistosamente realizzato sul territorio - scegliamo per il momento la seconda. Optiamo per il punto di vista teorico, per mettere a fuoco la questione urbanistica attraverso lo sguardo degli architetti oggi sollecitati a studiare modalità di intervento e rinnovamento delle città.
Chiarisce bene i nodi del problema uno studio pubblicato dalla «University press» della Facoltà di Architettura Ascoli Piceno (edizioni AAP). Si intitola Architettura parassita. Strategie di riciclo per la città (pp. 328, e25) e lo ha scritto Sara Marini, giovanissima docente di Progettazione Urbana e Territoriale all’Università di Venezia.
Che significano le metafore enunciate nel titolo? La prima - biologica - evoca la figura del parassita: un corpo vivente ed estraneo innestato nell’organismo di un ospite che per sopravvivere dovrà adattarsi, evolversi, alzare il suo sistema immunitario e trovare un nuovo equilibrio. La seconda metafora - economica-ecologica - indica una strategia, il riciclaggio, adottata per il riutilizzo dei rifiuti da recuperare in un nuovo ciclo di vita.
Applicate all’architettura e alla città, le due immagini spalancano uno spettacolo molto vicino alla realtà contemporanea. Modello plastico e mobile. Uno scenario a tre dimensioni o quattro, se ad altezza, ampiezza e profondità dello spazio si aggiunge il tempo che ne determina la trasformazione. Sotto gli occhi ci si apre insomma il panorama metropolitano globale. E, su questo sfondo, la singolarità del paesaggio italiano.
Appare una geografia di aree da sfruttare/preservare, occupare/tutelare, rispettando i limiti di territori e risorse, le identità sociali e culturali, l’esigenza di conservare e rinnovare in base a valutazioni estetiche o funzionali. E la mappa di una penisola dove, spinti da iniziative politiche o trascinati dalla tendenza globale, nuovi complessi abitativi dovranno cercare un difficile compromesso con i centri storici, il patrimonio artistico e con una quantità di edifici di pregio rispetto a cui è finora prevalso l’atteggiamento della museificazione, del restauro dell’originario, del rifiuto dell’estraneo: la rimozione in altre parole (o respingimento?) del parassita.
Dopo l’approvazione del Piano Casa, suona più che mai provocatoria e propositiva la rassegna dei «progetti parassitari» sparsi in tutto il mondo offerta dalla ricerca di Marini. La studiosa mette in luce la forza di soluzioni che «potrebbero prefigurare le trasformazioni che avverranno», dice. Legge i progetti artistici, gli esercizi arditamente concettuali di grandi architetti internazionali come possibili risposte - «magari critiche, polemiche, ma sempre creative» - all’urgenza di trasformare l’esistente.
A chi si preoccupa di tenere kebabbari e ristoranti etnici fuori dai centri storici (a Lucca, si ricorderà, sono stati di recente istituiti precisi divieti) suonerà blasfemo, eppure le capanne gonfiabili «paraSITE», inventate dall’americano Michael Rakowitz come ripari d’emergenza per senza tetto, sono già distribuite in una trentina di esemplari ai coloni delle città di Boston, Cambridge e New York. In Giappone e a Caracas, per ovviare alla crisi degli alloggi, si è offerto un grande spazio urbano - uno stadio - all’autogestione di nuovi inquilini che, nel Sol Levante, vi si sono insediati come dentro un nuovo lotto abitativo e, in Venezuela, ne hanno occupato solo gli spalti lasciando libero all’interno il vasto campo da gioco. « un caso di autocostruzione spontanea ai limiti della legalità e dell’abusivismo», spiega Marini. Ma a Vienna - l’aristocratica, absburgica, imperiale Vienna dove scorre la vena blu del bel Danubio -, già negli anni Sessanta gli architetti del gruppo Coop Himmelb(l)au sfidarono le norme della classicità e i principi borghesi del buon gusto realizzando l’ampliamento di uno studio legale in Falkerstrasse come un’avveniristica calotta poggiata a mo’ di navicella spaziale sul tetto.
Non siamo ai confini della realtà, né lontani dai confini nazionali, se a Roma si rinviene l’archetipo di simili audacie. in via Paisiello ai Parioli, zona «antivernacolare per missione sociale», nota Pippo Ciorra nell’introduzione al testo di Marini, la Sopraelevazione Alatri progettata da Mario Ridolfi e appoggiata nel secondo dopoguerra in cima a un palazzo ottocentesco senza la minima preoccupazione di dissimulare o armonizzare i piani aggiunti al corpo del vecchio edificio.
A conforto dei paladini dell’estetica e dei salutisti allarmati dall’invasione di parassiti annunciata dalle ricognizioni di Marini, va detto che per lo più si tratta di provocazioni d’autore: performance, installazioni che vogliono «estetizzare» il problema reale del rapporto dello spazio con il senso e con il tempo. Una sala da tè innestata su un bunker nazista, una «casa zaino» (Rucksack House) caricata sulle spalle di un palazzo di Lipsia, il giardino pensile (Park up a building) avviticchiato come un rampicante al Centro Galego di Santiago, risaltano come escrescenze su un tessuto che, senza soccombere, ne è anzi messo in risalto nel suo spessore, età, profondità e significato. Rispetto alle misure sanitarie più drastiche - quella europea e diffusa in occidente: «fuori i corpi estranei dalla vecchia mummia imbalsamata»; e quella orientale in uso nei paesi emergenti: «piazza pulita, tabula rasa, abbattiamo quel che c’è e ricostruiamo tutto ex novo» -, la via di mezzo di chi accoglie il parassita disponendosi a modificare per lui il proprio ambiente pare la più lontana da certe mortificazioni letali. Se è vero che nel regno vivente nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma: per tener vive le città, non si butti via niente, meglio riciclare.