Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 15 Giovedì calendario

LE LEGGI PEGGIO DELLE ESCORT


L’imprenditore brianzolo va all’estero a proporre il suo design e si sente eccepire: saranno anche belli i suoi mobili, ma questa storia delle escort... e il lodo Alfano... e le dieci domande di Repubblica... Forzando un po’, ma neanche tanto, è questa la scena che ha illustrato l’altro giorno Berlusconi a Monza parlando agli industriali: «La campagna contro di me getta discredito anche sulle imprese e sul made in Italy», ha detto.
Povera Brianza e povera Italia. Siamo vittime, oltre che della bolla dei mutui americani, anche del Times, del Guardian, dell’Economist, di Newsweek e del País, giornali che vanno a ruota della stampa italiana, che è «di sinistra al 72 per cento»? Cerchiamo risposte fra gli imprenditori della Brianza, del Comasco e del Varesotto: terre dove il centrodestra ha percentuali bulgare e dove la stampa radical chic non gode di molte simpatie. «Io sono di centrodestra», ci dice ad esempio Silvio Santambrogio, titolare della Tre-P Tre-Più di Birone di Giussano, provincia di Monza e Brianza. Ha 140 dipendenti e produce porte di grande pregio per appartamenti. Vende negli Usa, in Giappone, in Cina, in Russia. Adesso vende un po’ meno: Federlegno Arredo ha diffuso i dati sulle esportazioni di quest’anno, rispetto al 2008 siamo sotto del 30 per cento. «Io sono di centrodestra», ci dice appunto Santambrogio, «e non mi piacciono questi attacchi a Berlusconi su fatti privati. vero che i giornali stranieri ci denigrano. Ma credo che questo con la crisi non c’entri niente. che da un anno è cambiato il mondo, negli Usa nessuno costruisce più case, e i russi vanno a comperare gli arredi in America perché spendono meno che non venendo da noi. Insomma se esportiamo di meno non è per gli scandali della politica, all’estero sono molto concreti, guardano professionalità e convenienza, non i pettegolezzi».
Poco più a Nord, a Inverigo, sempre Brianza profonda, c’è la Poliform, quattro fabbriche con 550 dipendenti. Produce arredamento completo per la casa: il 50 per cento del fatturato è all’estero. Ha avuto un calo contenuto: meno cinque per cento. Ma la crisi si sente. «Sì, qualche battuta sulle escort ce la fanno», dice Aldo Spinelli, l’amministratore delegato, «e penso anch’io che sarebbe ora di finirla, Repubblica dovrebbe piantarla. Ma non credo che la nostra immagine all’estero sia screditata per questo. L’immagine si scredita se faccio mobili brutti, i nostri clienti se ne fregano della politica». gente concreta, insomma: come i brianzoli.
Se la passa peggio il tessile. A Como una delle aziende storiche è la Mantero Seta: 65 per cento del fatturato all’estero; Francia in primo luogo, e poi Stati Uniti. «Penalizzati dalla campagna contro Berlusconi? Non ci risulta nel modo più assoluto», dice Massimo Brunelli, amministratore delegato. Ma è vero o no che l’Italia non gode di un’immagine ideale? «Certo che è vero. Ma non per le polemiche sul premier. La nostra immagine non è ideale perché, ad esempio, le nostre strade sono quelle che sono e i trasporti carissimi. Un cinese che sbarca a Malpensa quanto ci mette per arrivare a Como? E ancora, ci penalizza la variabilità delle leggi. Quelle sì che sono un problema per l’Italia. Come fa uno straniero a pianificare investimenti nel nostro Paese se dopo un anno o due cambia gran parte della normativa fiscale?». Perfino alcuni grandi marchi italiani non si fidano più e scappano. «Solo per stare nel nostro settore della moda», dice Moritz Mantero, presidente della società, «Zegna, Gucci e Fendi hanno già portato le sedi operative qualche chilometro più in là, in Svizzera, dove ci sono leggi semplici e certe. Un imprenditore ha bisogno di stabilità».
Più si parla con gli imprenditori, più si vede che le preoccupazioni vengono dal fronte interno, non dall’estero. «Non ci siamo accorti», dice Brunelli, «di interventi del governo per fronteggiare la crisi. Ha lanciato grandi opere? Non mi pare. Ha ridotto le aliquote? Non mi pare. Ha introdotto ammortizzatori sociali per le piccole imprese? Non mi pare. Dicono: ha ridotto le tasse sugli utili, ma quando c’è la crisi non ci sono gli utili. In compenso, nonostante le promesse di ben due campagne elettorali, c’è ancora l’Irap, un’imposta atroce che colpisce il produttore al momento della produzione».
«La politica non appoggia le imprese in alcun modo», sostiene anche Rina Garda, presidente della Yamamay di Gallarate, intimo femminile e costumi, 200 dipendenti. «Dal credito all’Irap, non è cambiato niente. E tutto quello che ha chiesto Emma Marcegaglia è stato disatteso». La Yamamay è una di quelle aziende che da anni hanno portato all’estero la produzione. «E siamo stati costretti a farlo», dice Rina Garda, «per poter restare competitivi. Qui i costi sono insostenibili». «Un sacco di volte», continua, «i colleghi stranieri mi dicono: ma che politici avete? Io minimizzo, rispondo che abbiamo una classe politica creativa. Ma mi creda, l’imprenditore italiano è stimato e viene giudicato per i suoi prodotti. a livello politico che l’immagine dell’Italia sta peggiorando. Non per i gossip: per questioni più serie. I giornali stranieri non parlano bene dell’Italia, ma noi forniamo loro buoni argomenti».