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 2009  ottobre 15 Giovedì calendario

Barack Obama è un vero decisionista nel rinviare - Un tentennante a capo del paese più forte del mondo è una sciagura - La decisione su un eventuale invio di nuove truppe in Afghanistan sarà presa «nelle prossime settimane», ha detto il presidente americano, Barack Obama, durante l’incontro alla Casa Bianca con il premier spagnolo Jose Luis Rodriguez Zapatero

Barack Obama è un vero decisionista nel rinviare - Un tentennante a capo del paese più forte del mondo è una sciagura - La decisione su un eventuale invio di nuove truppe in Afghanistan sarà presa «nelle prossime settimane», ha detto il presidente americano, Barack Obama, durante l’incontro alla Casa Bianca con il premier spagnolo Jose Luis Rodriguez Zapatero. Altre settimane di pacchia? Grazie. Hanno pensato i taliban, le cui offensive sono più violente che mai, da quando furono cacciati dal potere alla fine del 2001. Intanto, si dice che 13mila soldati erano già stati inviati in Afghanistan, oltre ai 21mila decisi da Obama dopo il suo insediamento. Novità confezionata su misura per il vice presidente, Joe Biden, contrario alla richiesta di Stanley McChrystal, il generale comandante delle truppe alleate in Afghganistan, che vuole almeno 30-40mila soldati in più. «Caro Stanley, 13 mila li hai già avuti, te ne diamo altri diecimila ed è grasso che cola». Sarà verosimilmente questa la posizione di Biden, per portare Obama a decisione gravitante verso il suo vice. L’incremento di truppe più modesto di quanto il generale McChrystal desideri, imporrà anche gli obiettivi: le basi di Al-Qaeda lungo il confine tra Afghanistan e Pakistan, con un maggiore impiego di aerei senza pilota e di forze speciali. In ogni caso è difficile che le ultime performance di Obama abbiano giovato al buon umore del generale Stanley McChrystal. In particolare, il conferimento del premio Nobel per la pace e, subito dopo, la comunicazione della Casa Bianca che ai gay si spalancano le porte dell’esercito americano sono, per i tempi e i modi, come due docce gelate sul Pentagono. Dopo la notizia del Nobel è arrivato il discorso di Obama alla più rappresentativa associazione di gay, la Human Rights Campaign, che ha sostenuto la sua elezione con aggressività. Ai suoi ospiti il presidente ha fatto molti complimenti e quasi nessuna promessa, tranne una: l’apertura delle caserme ai gay senza alcuna preclusione; un contentino agli omosessuali, ma a spese dei militari, che attendono tutt’altre risposte e proposte per l’Afghanistan. Quale strategia, quali forze, quali obiettivi? Domande tuttora in sospeso dopo il Nobel per la pace, anzi ancora più pressanti. Se Obama si sentirà obbligato a compiacere la giuria del Nobel, la sua richiesta agli alleati di inviare più truppe risulterà ancora più debole, mentre i rinforzi statunitensi rimangono appesi alle manovre di corridoio dei 13mila che sarebbero già stati inviati. Nel frattempo i Taliban, molto poco commossi dal premio Nobel e dal discorso di sabato sera, hanno attaccato nel fine settimana il quartier generale dell’esercito pakistano a Rawalpindi, il Pentagono pakistano, per capirci. Non è stata una scaramuccia, ma una vera e propria battaglia, durata 22 ore, con morti e feriti da entrambe le parti. Questo è accaduto mentre le truppe di Islamabad lanciavano un’offensiva contro i talebani nel Waziristan meridionale. Insomma, il Pakistan è pienamente nell’ingranaggio della guerra, giustificando l’espressione «AfPak», che agghiaccia le autorità pakistane.  un quadro niente affatto rassicurante, con riverberi negativi sugli alleati europei, scoraggiati sia a fornire rinforzi sia a far combattere i propri soldati in Afghanistan, mentre Obama tentenna, portando persino gli inglesi verso il disimpegno, esacerbando il dibattito a Londra sull’opportunità e sulla misura di partecipazione al conflitto. I democratici vogliono la sicurezza che non si realizzi un nuovo Vietnam. Ne sono ossessionati. Churchill direbbe loro che in guerra la ricerca della sicurezza porta al sicuro disastro.