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 2009  ottobre 15 Giovedì calendario

L’ACCADEMIA DEL MOTORE

Perché non si mette l’acqua al posto della benzina?
chiedono i bambini. Poi crescono, magari si iscrivono a ingegneria. La domanda, però, rimane più o meno la stessa. La fissazione per l’auto è sempre lì. E anche il sogno è ancora quello: trovare il modo per farla andare bene, al minor costo, senza emissioni nocive. In fondo, quel ragazzino che vuole mettere acqua anziché benzina non è affatto ingenuo. Piuttosto, è un piccolo genio. Probabile che pensi (già) all’elettrolisi dell’idrogeno con cui si può alimentare una macchina a fuel cell.
La ricerca fa il suo giro. Parte dalla curiosità, passa per le università, i grandi pensatoi internazionali, le aziende, e finisce in prodotti innovativi da lanciare sul mercato, messi a disposizione di tutti. Allora si spiega, eccome, l’ultima passione che, dagli Stati Uniti, ha contagiato gli studenti delle facoltà di ingegneria del mondo intero: rendere possibile l’utopia, in altre parole realizzarla davvero la vettura del sogno.
Nei laboratori universitari (specialmente in Italia: siamo o no il paese dei motori?) è tutto un fiorire di progetti sull’auto del futuro. Barack Obama, con il suo invito a fare un passo indietro sul fronte degli sprechi energetici e con i suoi investimenti concreti per la mobilità sostenibile ( 2,4 miliardi di dollari solo per l’accelerazione dei programmi sulle batterie e i veicoli elettrici), ha dato la carica. Ma negli atenei la febbre dell’auto alternativa era già esplosa da tempo. Si studiano i materiali per alleggerire i pesi e l’aerodinamicità per ridurre le dispersioni di energia. Si fanno esperimenti sui motori convenzionali per abbattere i consumi. Infine c’è il campo delle fonti pulite: elettrico, idrogeno, solare.
Era bello il contrasto, giovedì 8 ottobre, al Centro ricerche Casaccia dell’Enea, sul lago di Bracciano. All’interno si svolgeva il convegno «Università-Industria: le eccellenze nascoste e l’ambiente come opportunità di business», organizzato dall’Ata ( Associazione tecnica dell’automobile). Ricercatori (Giovanni Lelli, commissario dell’Enea,in testa),rappresentanti dei ministeri, rettori, imprenditori appartenenti ad Assoknowledge (l’organizzazione confindustriale dei servizi innovativi e tecnologici) discutevano dell’arretratezza italiana e dell’incapacità di fare sistema per agganciare la «svolta obamiana». Fuori, nei box, intorno ai loro prototipi, si agitavano i team studenteschi che partecipavano alla Electric & Hybrid Italy, gara internazionale per veicoli ecologici. A inizio settembre, all’autodromo di Varano de’ Melegari (Parma), si era svolta la tappa italiana della Formula Sae (Society of automotive engineers), una sorta di Formula 1 riservata a monoposto a benzina sviluppate negli atenei e con un tetto di spesa fissato in 25mila dollari. Vi hanno partecipato squadre provenienti da 11 nazioni, la metà delle quali italiane, e le iscrizioni via internet per i 45 posti disponibili si sono chiuse in un minuto: una sessantina di " scuderie" sono rimaste in lista d’attesa. Complessivamente, le due manifestazioni italiane hanno coinvolto duemila studenti.
«Attenzione, non è solo un gioco », si affretta a precisare Nevio Di Giusto, amministratore delegato del Centro ricerche Fiat: «Dentro questi progetti c’è tanta, ottima tecnologia ». Come dire: persino noi, che abbiamo a disposizione una struttura di 2.200 persone proprio per studiare le nuove soluzioni, teniamo le orecchie dritte su quello che questi ragazzi sfornano. Basti pensare ai problemi che ancora ostacolano l’affermazione dell’auto elettrica: la durata delle batterie, ma principalmente i costi, che per gli utenti al momento rimangono troppo alti. La maggior parte dei progetti studenteschi si concentra esattamente su questo aspetto: come rendere competitiva l’opzione elettrica. Per carità, dalla sperimentazione alla produzione di serie ce ne corre. Ma è evidente che "dal basso" proviene una straordinaria ricchezza di idee. Poi ci sono gli accorgimenti di autentica avanguardia. «Il kers, il famoso sistema di recupero dell’energia dispersa, è stato montato prima sulle vetture dei ragazzi che sulla Ferrari » sorride Gianni Bella, professore di ingegneria meccanica all’Università di Tor Vergata.
Insomma, nelle facoltà di ingegneria l’auto è tornata al centro delle attenzioni come lo era stata negli anni Venti e Trenta. Si respira aria di innovazione. Di più, di svolta epocale. La sensazione è che dal punto di vista strettamente tecnologico studenti e università abbiano molto da insegnare alle stesse aziende, "distratte" dalla dura lotta per la sopravvivenza. «Un fatto è certo – spiega Maurizio Romanazzo, responsabile del programma Mobilità sostenibile dell’Enea ”: lì dentro si sta affermando una visione dello sviluppo, si prova a progettare il futuro. In questo i nostri giovani sono senza dubbio più avanti della politica e delle istituzioni». Già, i ragazzi del Politecnico di Torino come del-l’Università del Salento la ricerca la praticano, non la predicano.