Filippo Ceccarelli, la Repubblica 15/10/09, 15 ottobre 2009
La scomparsa di Maria Angiolillo: il suo salotto consacrava il potere - Se n´è andata Maria Angiolillo, e adesso nessun appagato ospite salirà più i gradini che conducevano non tanto a un salotto, ma a una specie di tempio di pretesi ottimati, un sancta sanctorum di meraviglie del possibile, un santuario per devoti del Potere, e aspiranti tali
La scomparsa di Maria Angiolillo: il suo salotto consacrava il potere - Se n´è andata Maria Angiolillo, e adesso nessun appagato ospite salirà più i gradini che conducevano non tanto a un salotto, ma a una specie di tempio di pretesi ottimati, un sancta sanctorum di meraviglie del possibile, un santuario per devoti del Potere, e aspiranti tali. Rampa Mignanelli numero otto: a mezz´aria rispetto alla scalinata di Trinità dei Monti, uno dei posti più belli di Roma, forse lo stesso villino settecentesco intitolato a Giulia nel quale d´Annunzio diede dimora ad Andrea Sperelli Fieschi d´Ugenta, il protagonista de Il Piacere. Ma nessuna atmosfera peccaminosa regnava lì dentro, essendo il comando generalmente monogamico. Lei, Maria, vedova del fondatore e direttore del Tempo Renato Angiolillo, si comportava da perfetta padrona di casa, anche se in realtà officiava da sacerdotessa in quelli che nell´era dell´immagine finivano per configurarsi come veri e propri rituali di consacrazione. Dall´ombra o dal buio della salita, all´entrata e all´uscita che rispettavano tempi prestabiliti, spuntava il fotografo Umberto Pizzi a immortalare l´ascesi dei fedeli, sempre documentando l´espressione trionfante delle new entry, gli ultimi arrivati alla liturgia quasi idolatrica degli appetiti e delle imminenti poltrone. A sorvegliare la soglia, sotto Natale, c´erano dei pupazzoni con tanto di turbante e candelieri; dentro, la tavola era arredata secondo codici stagionali, magnifiche foglie d´autunno, conchiglie d´estate. Pare si mangiasse molto bene. Bruno Vespa, che non mancava mai, ha lasciato pagine indimenticabili sui «profumi prorompenti del giardino», «le porcellane preziose», «i cristalli d´epoca», i camerieri descritti come «fantasmi operosi e silenti» che versano «rispettosamente» nei calici una stroardinaria annata di Chambertin Louis Latour». Quest´aura sacrale e sensoriale non è (solo) una trovatella giornalistica; né si spiega con l´influenza che i presunti e godibili segni del prestigio esercitano sulla grande provincia italiana. Più riservato di Porta a porta, più esclusivo del "Bolognese", più intermittente di casa Letta, il Salotto Angiolillo, non a caso designato come «il quarto ramo del Parlamento», ha svolto sul serio un ruolo di camera di compensazione, di mutuo riconoscimento e anche, se è consentito, di intimità istituzionale. Questo anche spiega come ieri l´avvocato Consolo, che pure si può considerare un habituè, abbia ritenuto di dar notizia della scomparsa dell´Angiolillo in un´aula del Parlamento, quello vero; e anche perché il presidente Napolitano, che non risulta abbia mai piede nel Villino Giulia, abbia espresso il suo cordoglio per questa «signora d´altri tempi». Maria Angiolillo lo era, indubbiamente, d´altri tempi; e tuttavia aveva saputo ben adattarsi al presente. Se proprio bisogna dire, più un personaggio della Seconda Repubblica che della Prima, durante la quale in verità, alla metà degli anni settanta, cominciò a ricevere ospiti per conto del gruppo Rizzoli-Tassan Din. Dopo una dovuta pausa gli inviti parvero rispondere a un richiamo vagamente andreottiano, poi bisagliano, poi lib-lab, poi berlusconiano, ma di rito rigorosamente lettiano. In seguito il promettente cenacolo si pose al servizio di Lamberto Dini, per aprirsi quindi alle aspirazioni sociali dei giovani, accomodanti leoni del post-comunismo. Quando arrivò D´Alema, scrisse più o meno Vespa che il muro era caduto una seconda volta. Delle visite di Veltroni, Fassino e Bertinotti, con rispettive signore, fanno testo le suddette foto di Pizzi. Poco dopo l´Angiolillo contribuì a depurare l´alone militaresco e mezzocalzettistico di tanti missini, sperimentò la ruvida gentilezza di Bossi e così via. Eppure tutto lascia credere che Maria «Saura», come la ribattezzò Roberto D´Agostino, guardasse al di là delle appartenenze per cogliere la dimensione riposta e insieme universale del potere. Detta altrimenti: si lasciava guidare dall´intuito e le piaceva un sacco fare la talent-scout. Chi passava la selezione era da ritenersi affidabile e come tale, in quelle operazioni di alchimia umana e politica che si tenevano nel Villino Giulia, poteva buscare qualche beneficio dagli altri devoti. D´altronde, in una città promiscua e sgangherata qual è Roma i circuiti di perpetuazione delle élites coincidono da qualche secolo con la pratica dell´«attovagliamento». Pochissimi potenti hanno resistito e detto no alla Angiolillo. Uno è Craxi; Prodi sbagliò giorno, e lei gli andò ad aprire in vestaglia. In fondo era curiosa come una bambina e sapeva anche sorridere. In questo giorno vale ricordare una delle sue rare considerazioni che allora nessuno prese sul serio: «Sì, il potere mi intriga, ma lo guardo con distacco perché so che niente è duraturo e allora divento scettica e non mi faccio mai coinvolgere troppo. Tanto, tutto finisce».