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 2009  ottobre 14 Mercoledì calendario

IL NOBEL DIMENTICATO A MARCONI


A cent’anni dal conferimento a Guglielmo Marconi del Nobel per la Fisica, uno storico della fisica, Giorgio Dragoni, e Martina Lodi si pongono la domanda: «Fu vera gloria?». A scanso di dimenticarcene, diamo subito la risposta degli autori: «Sì, lo fu».
La ricostruzione della vita di Marconi è offerta sull’ultimo numero de «Il nuovo Saggiatore», bollettino della Società Italiana di Fisica (www.sif.it) e si segnala per l’accuratezza con cui ricostruisce tutti i prodromi e i precursori di Marconi e, in misura molto minore, i suoi epigoni. Altri ne avrebbero scritto una biografia più o meno romanzata e forse non dobbiamo escludere che gli autori ci stiano pensando. Quello che mi preme qui, però, è sviluppare qualche considerazione che prescinda dalla domanda «fu vera gloria?» e inquadri la figura di Marconi nella dimensione che ne ha tramandato la storia e, forse, più ancora la cronaca.
Questa è interessante per chi, come me, ha vissuto l’esplosione della ricerca in fisica nel secondo dopoguerra, quando il ricordo degli strepitosi successi di Marconi (a partire dalla radio) erano ancora da un lato troppo recenti e dall’altro ricoperti da una patina di contaminazioni politiche. E, per dirla proprio tutta, anche da una serie di giudizi, se non viziati dal dubbio, almeno sospesi per quanto riguarda(va) la figura di Marconi come scienziato.
Ricordo valutazioni a mezza bocca, in cui risuonavano toni incerti sulle qualità di Marconi. E’ chiaro che pesava il fatto che venissero formulate in un momento che non era ancora maturo per essere «storia» sia l’essere stato Marconi connivente con il regime fascista sia, infine, che non avesse fatto studi accademici regolari. L’articolo di Dragoni e Lodi sgombra ogni dubbio e rivaluta conoscenze e capacità di Marconi, frutto di un’intensa applicazione.
Molti sono i meriti che gli autori attribuiscono a Marconi, che risulta aver seguito anche studi universitari, seppure non istituzionali. Come dire, che, nel complesso, ne esce molto bene. Ne traspare anche una grande capacità di sperimentatore, oltre che una capacità autopromozionale e imprenditoriale. La cosa che ho trovato più ammirevole, però, è la capacità di autocritica che ne risulta e che è una delle qualità più rare.
Marconi era partito utilizzando onde elettromagnetiche «lunghe», onde la cui lunghezza era nel «range» del km o più. Ricordiamo che le onde elettromagnetiche sono caratterizzate da due parametri, la lunghezza d’onda appunto (dimensioni di lunghezza) e la frequenza (dimensione di inverso di tempo), il cui prodotto, nel vuoto, è la celebre velocità della luce (vicina a 300 mila km al secondo), che interviene a dettare la necessità di utilizzare la fisica relativistica di Einstein. Con onde elettromagnetiche lunghe aveva fatto tutti gli esperimenti dal 1892 in poi che l’hanno reso celebre e che gli hanno portato il Nobel.
All’inizio della Prima guerra mondiale, Marconi si rende conto dell’utilità di usare invece onde «corte» (da 100 a 1 metro). E, malgrado richiedano una tecnologia e strumentazione nuove, lui si butta e fa i cambiamenti necessari. Anzi, quandi è ormai prossimo alla morte (il 20 luglio 1937) stava sperimentando onde molto corte (60 cm), delle cui potenzialità (poi sviluppate da altri) si era cominciato a rendere conto.