Gianni Mura, la Repubblica 14/10/2009, 14 ottobre 2009
CIAO CORRADO, ARTISTA CHE CANTAVA CALCIO E OLIMPIADI
Non bastasse il dolore, a rileggerlo vengono i brividi. Corrado che parla col medico. Gli ha appena comunicato la diagnosi: mieloma multiplo. il dicembre 2006. «Qui non c´è pareggio. O si vince o si perde», dice il medico. La cura comincia quello stesso giorno. «Voglio aghi nelle vene appena possibile. La autorizzo a ferirmi, a entrarmi nel corpo in ogni momento e modo lei ritenga necessario, a invadermi con sostanze chimiche o strumenti nelle dosi più potenti che la terapia richiede, con le ferite più profonde che le analisi impongono. Nulla mi dev´essere risparmiato. Mi tormenti, mi sgretoli, mi frantumi. Raccolga da me il siero, l´osso, il sangue. Mi nutra delle più devastanti molecole che la scienza abbia inventato. Io voglio dentro di me queste molecole e ho fiducia in questa scienza. Ma questa battaglia devo vincerla».
L´ha combattuta bene, in pubblico e in privato. «A parte il cancro tutto bene» è il titolo del suo libro (uscito nell´aprile 2008). Ha lavorato fino all´ultimo, il pezzo sulla candidatura olimpica di Hiroshima e Nagasaki è uscito lunedì, l´altroieri. Poi tutto è precipitato, senza preavviso. Corrado in un´intervista aveva detto di considerare Hiroshima la capitale della leucemia, la sua nuova patria, e capitato per caso a Offida, nelle Marche, aveva scoperto che lì esiste un vicolo Hiroshima e s´era fatto fotografare con quello sullo sfondo. «Un vicolo corto e stretto, avrebbero potuto dedicare una strada più grande», era stato il suo commento.
Era un bravo giornalista, Corrado, non di quelli che sanno scrivere di uno sport o due, di un argomento o due. Aveva chiuso con l´università a pochi esami dalla laurea in Medicina, s´era formato come cantautore al Folkstudio, con De Gregori e Giovanna Marini, che resterà una delle migliori amiche. Quando lo conobbi ai mondiali in Messico lo feci ridere con una battuta: «Ma allora esisti davvero. Credevo fossi uno pseudonimo di Paolo Pietrangeli». Non se ne ebbe a male. «Sette paia di scarpe», «L´auto in seconda fila», la voce era quasi uguale e uguale l´impasto sociale di quella Roma impegnata, politicizzata. Fu, con Sofri e Deaglio, tra i fondatori di Reporter, quotidiano durato poco ma con una robusta e intelligente sezione sportiva. Da lì sbarcò a Repubblica e credo che per i nostri lettori, nostri dello sport intendo, fosse una firma amata e rispettata.
Rispettarlo veniva istintivo, un marcantonio coi capelli lunghi, il codino. Amarlo anche, per la cultura (una casa piena di libri all´inverosimile), per la civiltà, per l´umanità solida ma non sfrontata, non esibita. Romanista da ragazzo, poi più tiepido, il suo grande appuntamento era l´Olimpiade, ogni quattro anni, e Olimpia aveva chiamato la figlia, nata in un anno olimpico (il 2000). A lei e alla madre, Maresa, va il nostro pensiero in questo momento di estrema tristezza, in cui si continua a dire «mi sembra impossibile», ma così è. Aveva scritto altri libri, Corrado: uno su Lotta continua, uno sul calcio italiano, ma è nel passo del quotidiano che tra giornalisti ci si misura. Corrado era un bravo giornalista approdato allo sport e convinto che fosse un onesto modo per guadagnarsi da vivere, ma senza fanatismi, senza un´adesione assoluta. Nel mestiere, sarebbe stato bravo anche scrivendo di musica, di politica, di società. Se da ragazzo si accompagnava con la chitarra, da adulto era diventato uomo-orchestra. Memorabili certi suoi pezzi sul rugby e sulla pallavolo. Il rugby gli piaceva per l´atmosfera, il clima umano, la pallavolo come sport dalle tante varianti. L´atletica leggera gli piaceva in assoluto e, prima di ammalarsi, sperava di correre una delle maratone importanti.
Con la malattia, la speranza l´aveva cancellata dal vocabolario («è una parola friabile»). La brutta bestia aveva scelto di prenderla per le corna, di renderla pubblica, di battersi in pubblico e in privato. Non è bastato, ma noi sappiamo che ce l´ha messa tutta, lucidamente e generosamente. La stessa generosità che lo spingeva a partire per Nardodipace, uno dei paesi più poveri della Calabria, dove non c´era nemmeno un campo di calcio, e a scrivere un bellissimo articolo. Noi, compagni di lavoro, lo vogliamo ricordare come un bravo compagno di lavoro, di quelli che quando stanno in redazione si fanno venire qualche buona idea e quando partono per un servizio non sanno se sarà pubblicato di spalla o di taglio, e nemmeno gliene frega qualcosa, quello che conta è raccontare quello che vedi e che senti. Quello che abbiamo sentito, da lui, è anche questo: «Modestamente, nella vita non mi sono voluto privare di nulla. Mancava giusto un mieloma».
stato un bel match, Corrado, un grande match, ma con gli occhi gonfi non applaude nessuno. Ti sia lieve la terra, e buon vento a chi resta.