Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 13 Martedì calendario

DUE ARTICOLI SULLE TENSIONI BERLUSCONI-TREMONTI



TREMONTI, LA LETTERA CHE HA IRRITATO BERLUSCONI-

Il genere è per intenditori. Perché, racconta uno dei presenti, cogliere sfumature e immaginare scenari non sempre è facile e non sempre è esente da abbagli. Così, ci sta che qualcuno individui nel «modello Obama» la soluzione alla «lunga transizione italiana» e che altri immaginino un giovane leader «capace di rompere gli schemi e uscire dallo stereotipo».

Di certo, quando Silvio Berlusconi ha saputo della lettera datata 7 settembre 2009 con cui il presidente dell’Aspen Institute Italia Giulio Tremonti invitava a partecipare alla tavola rotonda Costruire il dopo e rinnovare la leadership del Paese ha fatto un salto sulla sedia. Già, perché nella missiva - «riservata e personale» - il ministro dell’Economia delinea così la leadership del futuro: «Implica una rinnovata e forte responsabilità non solo sul piano socio-economico ma anche a livello politico. Rimanda alla creazione, in Italia, di una leadership complessiva sul piano di un consenso che non sia solo immediato e mediatico ». Firmato - «nell’attesa di incontrarti» e «saluti di viva cordialità» - Giulio Tremonti.

L’appuntamento - «a porte chiuse» e non certo «oggetto di alcuna comunicazione verso l’esterno» comeda «metodologia dell’istituto» - è per l’8 ottobre, il day after della sentenza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano. Il giorno dopo l’esordio in pubblico di ItaliaFutura, la fondazione di Luca Cordero di Montezemolo che giura di non avere in mente alcun nuovo partito neocentrista, ma che più semplicemente guarda al «futuro che attende l’Italia di qui a cinque anni». Un caso, visto che l’incontro è programmato da tempo e pure Giuliano Amato - chairman della riunione - invita con una battuta a «non fare accostamenti maliziosi» tra il tema dell’incontro e il momento politico.

La riunione, però, è gustosa. Tanto che uno degli invitati di rango, Gianni Letta, decide solo alla fine di prendervi parte. Il quick lunch va avanti dalle 13 alle 15 e si tiene all’Istituto dell’Enciclopedia Italiana a Roma. D’altra parte, la tavola rotonda è organizzata da Aspen in collaborazione con il Censis di Giuseppe De Rita (relatore della giornata) e il Centro studi dell’Enciclopedia presieduto da Amato. L’elenco dei partecipanti è invitante: da Massimo D’Alema al candidato alla segreteria del Pd Ignazio Marino passando per il senatore del Pd Umberto Veronesi (tutte new entry di Aspen), seguiti da Franco Bassanini, Franco Debenedetti e dal direttore de Il Riformista Antonio Polito. Tra i quasi cinquanta invitati anche il presidente della Bnl Luigi Abete, l’amministratore delegato di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini, il Ceo di Intesa Sanpaolo CorradoPassera, il presidente dell’Autorità garante per la concorrenza Antonio Catricalà e il presidente di Farmaindustria Sergio Dompé (gli ultimi tengono due lunghi interventi). Ci sono anche il ministro Renato Brunetta e il viceministro Roberto Castelli. Insomma, un discreto parterre. Che, scrive sempre Tremonti, dovrà «dar vita a un gruppo di lavoro molto ristretto e altamente qualificato» per «approfondire queste tematiche di rilevanza strategica per il progresso dell’Italia».

Il punto è che quando a Berlusconi arrivano gli echi della tavola rotonda - così almeno la raccontano a Palazzo Grazioli - la telefonata tra i due è piuttosto animata. Anche perché per il premier non è la prima incomprensione con il titolare dell’Economia che continua a respingere le richieste di tutti i dicasteri perché, ripete, «soldi in cassa non ce ne sono» (qualche tempo fa passò con un piattino in mano durante il Consiglio dei ministri per lasciare intendere a Michela Brambilla che per il turismo non c’era un euro).

Ma l’ultimo fronte che si è aperto è quello con Gianni Letta, visto che solo una decina di giorni fa Tremonti ha minacciato le dimissioni (pare già scritte) perché il sottosegretario alla presidenza del Consiglio aveva incontrato il presidente dell’Abi Corrado Faissola nei giorni più caldi della trattativa tra governo e banchesucreditoalleimprese e Temonti-bond. «O io o lui», era sbottato il ministro dell’Economia facendosi alla fine convincere dal Cavaliere che a chiedere il faccia a faccia non era stato Letta e che certo non poteva dir di no.

Così, visti anche i rapporti tra i due, ci sta che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio - il «Gran Visir», per usare le parole di un tremontiano doc come Roberto Calderoli - decida di partecipare alla tavola rotonda dell’Aspen solo in extremis. Un incontro nel quale Veronesi e Marino delineano scenari dove è il profilo di Barack Obama la figura chiave di una nuova leadership italiana (un uomo, si è detto, che si preoccupa di costruire il futuro e di consentire a chi non ha risorse di partire alla paricon gli altri), mentre Veronesi punta su «un giovane che sappia rompere gli schemi».Tremonti- che parla molto di crisi e della necessità che si esca dallo schema del Meridione che rappresenta un peso per l’Italia - non sembra troppo d’accordo e si spende in difesa del sistema attuale perché la leadership del presente posiziona l’Italia al livello degli altri Paesi europei. Castelli, da parte sua, insiste molto sulla necessità di mettere mano alle riforme istituzionali, seguito nel ragionamento da Bassanini. Letta, invece, non proferisce verbo e si congeda con un certo anticipo e una battuta vagamente allusiva rispetto al titolo della tavola rotonda. «Devo andare al lavoro, altrimenti rischiamo che il dopo arrivi prima».

Adalberto Signore


*


Berlusconi-Tremonti e quelle tensioni sui leader futuri -


Hanno litigato an­che ieri, «abbiamo litigato» ha confidato Berlusconi dopo il colloquio con Tremonti. E dal modo spazientito in cui il pre­mier ha raccontato la faccenda s’intuisce che la conversazione dev’esser stata accesa, e che an­che ieri il titolare dell’Econo­mia deve aver minacciato le di­missioni: «Giulio minaccia di dimettersi ogni giorno». Ragio­ni politiche e personali s’intrec­ciano nell’ultimo episodio di una saga che sta creando ten­sioni nel governo e nella mag­gioranza, e che rischia di tra­sformarsi in qualsiasi momen­to in scontro aperto. Basta po­co. Basta, per esempio, che non venga disinnescata la mi­na della Banca del Sud, proget­to tremontiano già attaccato in Consiglio dei ministri dalla Pre­stigiacomo e da Fitto, senza che il premier intervenisse.

Ma se il solco tra il Cavaliere e Tremonti si va allargando non è tanto per contrasti su un singolo provvedimento o sulla linea di politica economica. C’è qualcosa di più profondo. Il fatto è che Berlusconi non in­tende assistere passivamente alle mosse di quanti vorrebbe­ro raccoglierne l’eredità. In­somma è una questione che non riguarda il presente, ma il futuro. «Il dopo», per usare il titolo del recente convegno or­ganizzato dall’Aspen, di cui il Professore è presidente. Se è vero che la sentenza della Con­sulta sul Lodo Alfano ha ali­mentato i sospetti del premier, in quel convegno, nella sua let­tera di presentazione, laddove c’era scritto che per «il dopo» va creata «una leadership basa­ta su un consenso non solo im­mediato e mediatico», il Cava­liere ha visto incarnarsi i fanta­smi che lo tormentano.

Ed è da allora che non si dà pace. «Leggete, leggete», ha detto Berlusconi a Frattini e Maroni, come cercasse solida­rietà: «Leggete cosa mi tocca sopportare. Come posso accet­tare che si lavori contro di me?». Tremonti non c’era in quel momento a palazzo Chigi, ma è difficile immaginare che non sia venuto a conoscenza dello stato d’animo del Cavalie­re. E comunque ieri ci ha pen­sato il Giornale a informarlo, pubblicando in prima pagina «la lettera della discordia tra Silvio e Giulio». Con tanto di ti­tolo all’interno: «Carta canta». Il colloquio tra il premier e il suo ministro è stato aspro: a fronte di un Berlusconi che so­steneva di non essere stato in­formato anzitempo dell’artico­lo, Tremonti opponeva la tesi del «non potevi non sapere».

Sono molte le ragioni che li dividono, sono tanti gli strap­pi che si susseguono, e sono al­cuni dettagli che rendono ma­nifesta la crisi del rapporto. Il Cavaliere combatte contro «il dopo». E siccome sono già tan­ti i fronti aperti, vuole evitare che se ne aprano di nuovi, che si ritrovi infine circondato per effetto di manovre altrui. Quel­la frase con cui l’altra sera si è rivolto alla Marcegaglia, «mi piacerebbe averti come vice premier», è interpretata nel Pdl come un segnale contro Tremonti e di apertura alla li­nea confindustriale che chiede maggiori aiuti alle imprese.

Eppoi certi incontri a due di Berlusconi con autorevolissi­mi banchieri, le relazioni non conflittuali con il governatore di Bankitalia, sono la prova che il premier su questioni strategiche non intende delega­re. C’è poi la politica, l’asse con la Lega che fa muro a difesa di Tremonti, i sondaggi che dan­no il ministro dell’Economia in testa negli indici di gradi­mento insieme a Brunetta e Maroni: di tutte queste implica­zioni il Cavaliere tiene conto, in attesa di trovare una strate­gia che lo tiri fuori dalle sec­che. Ma dalla scorsa settimana ha tirato una riga, per verifica­re chi sta con lui e chi contro. Sono giorni feroci nell’inner circle berlusconiano dopo la sentenza della Consulta. Gian­ni Letta era pronto a dimetter­si, «sono pronto a fare un pas­so indietro», ha commentato il sottosegretario quando ha sen­tito venir meno la fiducia del premier. Eppure, nonostante l’ira, Berlusconi dice di lui: «Gianni è l’unico insostituibi­le ». L’unico.

Francesco Verderami