Adalberto Signore, il Giornale 13/10/2009 Francesco Verderami, Corriere della Sera 14/10/2009, 13 ottobre 2009
DUE ARTICOLI SULLE TENSIONI BERLUSCONI-TREMONTI
TREMONTI, LA LETTERA CHE HA IRRITATO BERLUSCONI-
Il genere è per intenditori. Perché, racconta uno dei presenti, cogliere sfumature e immaginare scenari non sempre è facile e non sempre è esente da abbagli. Così, ci sta che qualcuno individui nel «modello Obama» la soluzione alla «lunga transizione italiana» e che altri immaginino un giovane leader «capace di rompere gli schemi e uscire dallo stereotipo».
Di certo, quando Silvio Berlusconi ha saputo della lettera datata 7 settembre 2009 con cui il presidente dell’Aspen Institute Italia Giulio Tremonti invitava a partecipare alla tavola rotonda Costruire il dopo e rinnovare la leadership del Paese ha fatto un salto sulla sedia. Già, perché nella missiva - «riservata e personale» - il ministro dell’Economia delinea così la leadership del futuro: «Implica una rinnovata e forte responsabilità non solo sul piano socio-economico ma anche a livello politico. Rimanda alla creazione, in Italia, di una leadership complessiva sul piano di un consenso che non sia solo immediato e mediatico ». Firmato - «nell’attesa di incontrarti» e «saluti di viva cordialità» - Giulio Tremonti.
L’appuntamento - «a porte chiuse» e non certo «oggetto di alcuna comunicazione verso l’esterno» comeda «metodologia dell’istituto» - è per l’8 ottobre, il day after della sentenza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano. Il giorno dopo l’esordio in pubblico di ItaliaFutura, la fondazione di Luca Cordero di Montezemolo che giura di non avere in mente alcun nuovo partito neocentrista, ma che più semplicemente guarda al «futuro che attende l’Italia di qui a cinque anni». Un caso, visto che l’incontro è programmato da tempo e pure Giuliano Amato - chairman della riunione - invita con una battuta a «non fare accostamenti maliziosi» tra il tema dell’incontro e il momento politico.
La riunione, però, è gustosa. Tanto che uno degli invitati di rango, Gianni Letta, decide solo alla fine di prendervi parte. Il quick lunch va avanti dalle 13 alle 15 e si tiene all’Istituto dell’Enciclopedia Italiana a Roma. D’altra parte, la tavola rotonda è organizzata da Aspen in collaborazione con il Censis di Giuseppe De Rita (relatore della giornata) e il Centro studi dell’Enciclopedia presieduto da Amato. L’elenco dei partecipanti è invitante: da Massimo D’Alema al candidato alla segreteria del Pd Ignazio Marino passando per il senatore del Pd Umberto Veronesi (tutte new entry di Aspen), seguiti da Franco Bassanini, Franco Debenedetti e dal direttore de Il Riformista Antonio Polito. Tra i quasi cinquanta invitati anche il presidente della Bnl Luigi Abete, l’amministratore delegato di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini, il Ceo di Intesa Sanpaolo CorradoPassera, il presidente dell’Autorità garante per la concorrenza Antonio Catricalà e il presidente di Farmaindustria Sergio Dompé (gli ultimi tengono due lunghi interventi). Ci sono anche il ministro Renato Brunetta e il viceministro Roberto Castelli. Insomma, un discreto parterre. Che, scrive sempre Tremonti, dovrà «dar vita a un gruppo di lavoro molto ristretto e altamente qualificato» per «approfondire queste tematiche di rilevanza strategica per il progresso dell’Italia».
Il punto è che quando a Berlusconi arrivano gli echi della tavola rotonda - così almeno la raccontano a Palazzo Grazioli - la telefonata tra i due è piuttosto animata. Anche perché per il premier non è la prima incomprensione con il titolare dell’Economia che continua a respingere le richieste di tutti i dicasteri perché, ripete, «soldi in cassa non ce ne sono» (qualche tempo fa passò con un piattino in mano durante il Consiglio dei ministri per lasciare intendere a Michela Brambilla che per il turismo non c’era un euro).
Ma l’ultimo fronte che si è aperto è quello con Gianni Letta, visto che solo una decina di giorni fa Tremonti ha minacciato le dimissioni (pare già scritte) perché il sottosegretario alla presidenza del Consiglio aveva incontrato il presidente dell’Abi Corrado Faissola nei giorni più caldi della trattativa tra governo e banchesucreditoalleimprese e Temonti-bond. «O io o lui», era sbottato il ministro dell’Economia facendosi alla fine convincere dal Cavaliere che a chiedere il faccia a faccia non era stato Letta e che certo non poteva dir di no.
Così, visti anche i rapporti tra i due, ci sta che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio - il «Gran Visir», per usare le parole di un tremontiano doc come Roberto Calderoli - decida di partecipare alla tavola rotonda dell’Aspen solo in extremis. Un incontro nel quale Veronesi e Marino delineano scenari dove è il profilo di Barack Obama la figura chiave di una nuova leadership italiana (un uomo, si è detto, che si preoccupa di costruire il futuro e di consentire a chi non ha risorse di partire alla paricon gli altri), mentre Veronesi punta su «un giovane che sappia rompere gli schemi».Tremonti- che parla molto di crisi e della necessità che si esca dallo schema del Meridione che rappresenta un peso per l’Italia - non sembra troppo d’accordo e si spende in difesa del sistema attuale perché la leadership del presente posiziona l’Italia al livello degli altri Paesi europei. Castelli, da parte sua, insiste molto sulla necessità di mettere mano alle riforme istituzionali, seguito nel ragionamento da Bassanini. Letta, invece, non proferisce verbo e si congeda con un certo anticipo e una battuta vagamente allusiva rispetto al titolo della tavola rotonda. «Devo andare al lavoro, altrimenti rischiamo che il dopo arrivi prima».
Adalberto Signore
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Berlusconi-Tremonti e quelle tensioni sui leader futuri -
Hanno litigato anche ieri, «abbiamo litigato» ha confidato Berlusconi dopo il colloquio con Tremonti. E dal modo spazientito in cui il premier ha raccontato la faccenda s’intuisce che la conversazione dev’esser stata accesa, e che anche ieri il titolare dell’Economia deve aver minacciato le dimissioni: «Giulio minaccia di dimettersi ogni giorno». Ragioni politiche e personali s’intrecciano nell’ultimo episodio di una saga che sta creando tensioni nel governo e nella maggioranza, e che rischia di trasformarsi in qualsiasi momento in scontro aperto. Basta poco. Basta, per esempio, che non venga disinnescata la mina della Banca del Sud, progetto tremontiano già attaccato in Consiglio dei ministri dalla Prestigiacomo e da Fitto, senza che il premier intervenisse.
Ma se il solco tra il Cavaliere e Tremonti si va allargando non è tanto per contrasti su un singolo provvedimento o sulla linea di politica economica. C’è qualcosa di più profondo. Il fatto è che Berlusconi non intende assistere passivamente alle mosse di quanti vorrebbero raccoglierne l’eredità. Insomma è una questione che non riguarda il presente, ma il futuro. «Il dopo», per usare il titolo del recente convegno organizzato dall’Aspen, di cui il Professore è presidente. Se è vero che la sentenza della Consulta sul Lodo Alfano ha alimentato i sospetti del premier, in quel convegno, nella sua lettera di presentazione, laddove c’era scritto che per «il dopo» va creata «una leadership basata su un consenso non solo immediato e mediatico», il Cavaliere ha visto incarnarsi i fantasmi che lo tormentano.
Ed è da allora che non si dà pace. «Leggete, leggete», ha detto Berlusconi a Frattini e Maroni, come cercasse solidarietà: «Leggete cosa mi tocca sopportare. Come posso accettare che si lavori contro di me?». Tremonti non c’era in quel momento a palazzo Chigi, ma è difficile immaginare che non sia venuto a conoscenza dello stato d’animo del Cavaliere. E comunque ieri ci ha pensato il Giornale a informarlo, pubblicando in prima pagina «la lettera della discordia tra Silvio e Giulio». Con tanto di titolo all’interno: «Carta canta». Il colloquio tra il premier e il suo ministro è stato aspro: a fronte di un Berlusconi che sosteneva di non essere stato informato anzitempo dell’articolo, Tremonti opponeva la tesi del «non potevi non sapere».
Sono molte le ragioni che li dividono, sono tanti gli strappi che si susseguono, e sono alcuni dettagli che rendono manifesta la crisi del rapporto. Il Cavaliere combatte contro «il dopo». E siccome sono già tanti i fronti aperti, vuole evitare che se ne aprano di nuovi, che si ritrovi infine circondato per effetto di manovre altrui. Quella frase con cui l’altra sera si è rivolto alla Marcegaglia, «mi piacerebbe averti come vice premier», è interpretata nel Pdl come un segnale contro Tremonti e di apertura alla linea confindustriale che chiede maggiori aiuti alle imprese.
Eppoi certi incontri a due di Berlusconi con autorevolissimi banchieri, le relazioni non conflittuali con il governatore di Bankitalia, sono la prova che il premier su questioni strategiche non intende delegare. C’è poi la politica, l’asse con la Lega che fa muro a difesa di Tremonti, i sondaggi che danno il ministro dell’Economia in testa negli indici di gradimento insieme a Brunetta e Maroni: di tutte queste implicazioni il Cavaliere tiene conto, in attesa di trovare una strategia che lo tiri fuori dalle secche. Ma dalla scorsa settimana ha tirato una riga, per verificare chi sta con lui e chi contro. Sono giorni feroci nell’inner circle berlusconiano dopo la sentenza della Consulta. Gianni Letta era pronto a dimettersi, «sono pronto a fare un passo indietro», ha commentato il sottosegretario quando ha sentito venir meno la fiducia del premier. Eppure, nonostante l’ira, Berlusconi dice di lui: «Gianni è l’unico insostituibile ». L’unico.
Francesco Verderami