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 2009  ottobre 13 Martedì calendario

IN IRAN IL BOIA E’ IL PADRE DELLA VITTIMA


Sono stati i genitori della vittima ad eseguire la condanna a morte del giovane Behnoud Shojaie, a dare per così dire il calcio alla sedia che ha permesso al ragazzo di penzolare senza vita dalla corda che lo ha impiccato. Shojaie era accusato e per questo condannato a morte di aver ucciso Ehsan Nasrollahi quando ancora aveva 17 anni. In Iran la legge è questa, lo prevede la sharia introdotta nel Paese nel 1991: i familiari di una persona uccisa hanno facoltà di decidere della vita del condannato, concedendogli il perdono in cambio di una lauta somma di denaro, o al contrario eseguendo personalmente la condanna, trasformandosi in boia. Le cronache iraniane riportano che l’ultimo perdono risale al 2001 quando la madre della vittima intervenne impietosita dalla lunga agonia dell’assassino del figlio, appeso al patibolo. Per il resto le richieste dei parenti delle vittime sono sempre troppo elevate per evitare la morte del condannato.

Questo è l’Iran col quale parte del mondo occidentale, Obama in testa, vorrebbe dialogare. l’Iran degli Ayatollah e del presidente Ahmadinejad, chiamato quando negli anni ottanta lavorava nei servizi segreti ”l’uomo del colpo di grazia”. L’Iran dove, nonostante l’abolizione ufficiale della lapidazione nel 1992, la pratica è ripresa in grande stile e le pietre, in base alle più ferree regole della sharia vengono scelte né troppo grandi, per non uccidere troppo in fretta, né troppo piccole, per non servire allo scopo. l’Iran che ha firmato la Convenzione internazionale sui diritti dei minori ma che continua a mandarli a morte: ce ne sono almeno 100 nelle carceri del Paese che attendono l’esecuzione per reati commessi quando non avevano ancora compiuto i 18 anni.

Dei diritti umani l’Iran se ne frega. Da qualche tempo nell’annuale classifica delle esecuzioni a morte la repubblica islamica occupa ben saldamente la seconda posizione dietro la Cina. Nel 2008 le impiccagioni furono 356, nei primi 4 mesi del 2009 (ultimi dati ufficiali) se ne contano già 164. Peraltro quasi tutte eseguite nelle piazze pubbliche e per mezzo delle stesse gru utilizzate nell’edilizia, sbrigative ed economiche.

Senza contare le numerose vittime per tortura, perlopiù perseguitati politici, di cui ovviamente non si hanno notizie ufficiali.

Proprio ieri è stata resa nota la quarta condanna a morte per le manifestazioni antigovernative di giugno. La sentenza per Hamed Ruhinejad è arrivata sabato scorso e il suo caso è legato a quello di Mohammad Reza Ali Zamani, il primo condannato del gruppo. I due furono arrestati prima delle elezioni e, secondo i riformisti del Moujcamp, sono stati fatti comparire e confessare nei processi seguiti alle proteste solo per spaventare gli altri imputati».

Ma il vento della repressione non soffia solo in Iran. Sempre ieri la Cina, per non essere da meno, ha condannato a morte sei Uighuri (minoranza etnica islamica) per reati, omicidio e saccheggio, che avrebbero compiuto durante le violenze interetniche del luglio scorso ad Urumqi, nella Cina del nordovest. Una portavoce della minoranza turcofona ha dichiarato che il processo è stato una farsa: « mancato di trasparenza e gli imputati non hanno avuto alcun tipo di assistenza legale».