Giulio Genoino, ItaliaOggi 13/10/2009, 13 ottobre 2009
Com’è iniziato il caso Mondadori- Carlo De Benedetti perse la partita per ingordigia e precipitazione, come con la belga Sgb Dopo 19 anni: il lodo è stato «molto probabilmente» acquistato Il quarantacinque Terry Wallis, americano, si è risvegliato dal coma profondo 19 anni dopo l’incidente stradale che lo aveva inchiodato in un letto, ai margini dell’altro mondo
Com’è iniziato il caso Mondadori- Carlo De Benedetti perse la partita per ingordigia e precipitazione, come con la belga Sgb Dopo 19 anni: il lodo è stato «molto probabilmente» acquistato Il quarantacinque Terry Wallis, americano, si è risvegliato dal coma profondo 19 anni dopo l’incidente stradale che lo aveva inchiodato in un letto, ai margini dell’altro mondo. Se è stato possibile un simile miracolo (come prima parola della sua nuova vita, Wallis ha detto ”mamma!” ) è in fondo anche possibile che la giustizia civile italiana abbia impiegato 19 anni per dire: «Molto probabilmente». Cioè che il «lodo»Mondadori è stato comprato «molto probabilmente» da Berlusconi ed ha «molto probabilmente» danneggiato la Cir nella misura, molto probabile, di 750 milioni di euro. Si vedrà se tutto questo è proprio vero nei prossimi gradi di giudizio - anche se viene soltanto da ridere, se si riesce a non piangere, pensando ai diciannove anni del primo grado_ Quel che però, nel day-after della sentenza, pochi hanno ricordato è da cosa nacque la «Guerra di Segrate», da cosa partì il tutto e cosa sarebbe successo appunto se quella lotta senza esclusione di colpi tra Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti non si fosse mai scatenata. Ed è sbagliato non ricordare, perché, nelle origini dei grossi guai, c’è anche il seme delle loro conseguenze. La «guerra di Segrate» nasce tutta dall’arroganza e dalla miopia di Carlo De Benedetti (attenzione, cari pm: né arroganza né miopia sono ingiurie, ma aggettivi qualificativi che denotano caratteristiche certo negative ma non infamanti, che come tali si ha il diritto di critica di indicare!) cioè dagli stessi difetti che hanno connotato l’atteggiamento politico della sinistra italiana D’Alemian-Prodiana, non a caso del tutto succube di De Benedetti e del suo «gruppo Espresso», che negli ultimi quindici anni ha goffamente tentato di contendere il potere a Berlusconi. Fallendo, perché la sua controproposta politica è sempre stata debole, confusa e – appunto – arrogante come il suo mentore ideologico-editoriale. Ma andiamo con ordine. Lo zampino nell’editoria, l’Ingegnere lo aveva messo nell’84, chiamato dall’allora capo della casa editrice Mario Formenton, genero del fondatore Arnoldo di cui aveva sposato la figlia Cristina. La Mondadori era nei guai per avere tentato di contrastare proprio Berlusconi nella corsa alla tv commerciale, fondando l’emittente Retequattro (che successivamente proprio De Benedetti avrebbe affidato alla Mediobanca di Enrico Cuccia perché fosse venduta a_ Berlusconi, il quale, oggettivamente, la risanò). Alla morte di Mario Formenton, nell’87, De Benedetti iniziò una manovra di avvicinamento ai suoi eredi, in particolare alla vedova Cristina e al figlio Luca, proponendosi come loro garante, tutore e manlevadore imprenditoriale. E pattuendo con loro un prezzo molto vantaggioso al quale, entro la fine del ’91, avrebbe rilevato da loro il controllo dell’Ame Finanziaria, piccola holding che deteneva il 51% del capitale ordinario della Mondadori. Dimenticando che, nel frattempo, il cugino di Luca, Leonardo Mondadori, estromesso (per la solita miopia e tirchieria dell’acquirente!) dalla gestione della casa editrice proprio in seguito all’accordo unilaterale tra l’Ingegnere e i cugini Formenton, aveva trovato un tutore, a sua volta interessato ovviamente, in Silvio Berlusconi. in questa situazione non solo precaria sul piano contrattuale ma soprattutto mefitica su quello umano e relazionale che l’Ingegnere non trova di meglio che farne una delle sue: «Ho il controllo della Mondadori!», proclama nel settembre del 1989, interpellato dai giornalisti ai margini dell’assemblea Olivetti, verbalmente incontinente e arrogante come sempre. Non che la cosa fosse falsa ma era ancora riservata e tale avrebbe dovuto restare, avvolta com’era da una patina di ipocrisia con la quale De Benedetti aveva illuso soprattutto Cristina ma anche il figlio Luca di non volerli privare di qualunque ruolo a Segrate e di voler essere loro ”amico” (per Cristina più che amico) e non loro successore. Quel proclama invece lo auto-sbugiardò. Non gli era bastata la lezione dell’anno precedente, quando s’era illuso di aver scalato il colosso belga Sgb e, nel pieno dell’assemblea degli azionisti di quella holding, aveva sentenziato «La ricreazione è finita» finendo impallinato dalla reazione dell’ estabilishement francese. E del resto: a sinistra fanno tutti così. Non fu persino il gracile Piero Fassino a esclamare: «Allora abbiamo una banca!», quando in realtà l’Unipol non aveva ancora un bel niente? E non fu Massimo D’Alema a a definire «capitani coraggiosi» gli scalatori che avrebbero affossato la Telecom sotto un macigno di debiti da centomila miliardi di lire? Tornando alla Mondadori, la spacconata di Ivrea costò carissima a De Benedetti, perché diede la spallata finale ai tentennamenti nei quali già viveva Luca Formenton, infastidito dall’atteggiamento ambiguo dell’Ingegnere verso la madre, indispettito dalla spocchia con cui veniva trattato, convinto di aver pattuito un prezzo troppo basso per la sua quota e incuriosito da questo personaggio così diverso – e infinitamente più simpatico: Berlusconi – al quale s’era invece legato il cugino Leonardo. E così, in poche settimane, i Formenton cambiarono bandiera e ricontrattarono con Berlusconi un accordo di vendita della quota in Amef per loro molto più vantaggioso, che prevedeva una ricucitura con Leonardo e una miglior «sopravvivenza» manageriale ai vertici di Segrate. Quando il voltafaccia divenne ufficiale, scoppiò la guerra di Segrate, che andò avanti un anno e mezzo. Il resto è storia, anzi storia giudiziaria. Ma va ricordato che, all’origine del pasticcio, ci fu l’arroganza di De Benedetti. E che l’obiettivo dell’Ingegnere, se fosse riuscito a conquistare la Mondadori, era l’unificazione formale con l’Espresso e una forte campagna d’espansione, sia in Italia e all’estero, la stessa che Berlusconi aveva attuato nelle televisioni e che avrebbe proseguito con Telecinco in Spagna e con il fallito tentativo di La Cinq in Francia. Come dire, gli scopi imprenditoriali dei due erano simili, solo che il Cavaliere aveva scelto un mezzo più rischioso ma molto più moderno, la tv, mentre l’Ingegnere aveva preferito stare sul sicuro. E ancora: il Cavaliere è riuscito in quasi tutti i suoi progetti d’espansione, l’Ingegnere in quasi nessuno. Il primo era ed è simpatico, il secondo non lo è mai stato, neanche ai suoi alleati. Le stesse differenze che passano tra il centrodestra e il centrosinistra. Fin quando quest’ultimo non s’affrancherà dal «patronage» dell’Ingegnere resterà sempre perdente.