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 2009  ottobre 13 Martedì calendario

Santa Fe, l’opera più pazza del mondo- Questa è la storia di un musicista che fonda un festival perché soffre di asma e di un allevamento di maiali che diventa un teatro

Santa Fe, l’opera più pazza del mondo- Questa è la storia di un musicista che fonda un festival perché soffre di asma e di un allevamento di maiali che diventa un teatro. Ovvio che qualcosa del genere potesse succedere solo in America. Un po’ meno che, alla lunga, riguardi anche Torino. Ecco perché. Domani il Regio inaugura la sua stagione con l’attesissima Traviata «di» Gianandrea Noseda e Laurent Pelly (e anche un po’ di Giuseppe Verdi) in coproduzione con la Santa Fe Opera dove lo spettacolo ha debuttato l’estate scorsa. Ora, Santa Fe, vicino ad Albuquerque, New Mexico, America profonda che più profonda non si può, non è esattamente un posto che si associa al melodramma. Se un teatro d’opera è potuto sorgere e prosperare proprio qui, è merito di chi lo fondò e lo diresse per 44 anni. Si chiamava John Crosby e nacque a New York nel ”26, figlio di un facoltoso avvocato. Ma soffriva d’asma e a 13 anni venne spedito a studiare nel clima caldo e secco del New Mexico, in un posto sperduto chiamato Los Alamos che poi divenne famoso in tutto il mondo perché fu sperimentata qui la bomba atomica che poi venne usata per convincere i giapponesi che avevano perso la guerra. Nel frattempo, Crosby era stato due anni sotto le armi in Europa fra la fine della guerra mondiale l’inizio di quella fredda (nulla di eroico: suonava in una banda reggimentale) e aveva contratto il virus dell’operomania: quasi un segno del destino per chi soffriva di guai polmonari, i più gettonati dai librettisti per le lagrimevoli ecatombi delle eroine da melodramma. Come musicista, Crosby era tutt’altro che un dilettante: aveva studiato a Yale, si era laureato alla Columbia e aveva anche avuto dei consigli nientemeno che da Hindemith. Ma l’asma l’obbligò a trasferirsi nel New Mexico, che peraltro gli piaceva e gli poteva offrire tutto quello che gli serviva, tranne un’unica ma fondamentale cosa: l’opera. Però non si è dei ricchi wasp per niente. Se l’opera lì non c’era, si poteva portarla. E Crosby, descritto dagli amici come «un uomo estremamente timido, ma fanatico dei dettagli e genio finanziario», era l’uomo giusto per l’impresa. Per realizzarla, ci mise appena tre anni, travolgendo ogni ostacolo finanziario o logistico. Papà gli prestò 200 mila dollari, con cui Crosby jr. comprò un ranch e lo trasformò in un teatro all’aperto a sette miglia a nord di Santa Fe, fra montagne belle, spopolate e dal nome inquietante: Sangre de Cristo Mountains. Un suggestivo nulla. Però c’era anche l’ultimo ingrediente necessario per cucinare un festival: il pubblico, poiché questa parte di nuovo mondo è sempre stata un ritrovo di artisti un po’ alternativi e fricchettoni, degli hippies anni Cinquanta. Come spiegò Crosby, «c’erano pittori, poeti, scrittori, scultori. Ma, stranamente, la musica non era rappresentata in questa galassia di arti». Almeno fino al 3 luglio ”57, quando Crosby inaugurò con Madama Butterfly. Ma il vero evento fu l’arrivo di Igor Stravinskij per la prima americana della sua Carriera del libertino, circostanza che proiettò subito Santa Fe fra le piazze importanti dell’opera «made in Usa». Il resto è storia. Da allora, il festival propone ogni estate almeno un paio di titoli popolari, doppiati da uno più raro e da un’opera contemporanea o da una prima assoluta. Crosby, direttore-organizzatore, salì sul podio l’ultima volta nel 2000 per dirigere Elektra di Strauss, poi passò la mano. Morì due anni dopo. L’ex porcile, diventato un teatrino di legno da 480 posti, bruciò nel ”67. Fu rimpiazzato da una nuova struttura con il quadruplo dei posti. Nel ”98, è stata inaugurata la nuova Opera House da 2.130 spettatori. Scavato nel fianco di un ermo colle sospeso sull’infinito a 2.200 metri d’altezza, è un teatro all’aperto ma non del tutto: le gradinate del pubblico e il palcoscenico sono coperti, però il fondo della scena e i lati della platea sono aperti, con un’interminata vista sull’immenso nulla che c’è intorno. E il tramonto è uno spettacolo nello spettacolo.