Massimo Gaggi, Corriere della Sera 9/10/2009, 9 ottobre 2009
LO CHOC DEL DEFICIT USA. VALO COME LA SPAGNA
Millequattrocento miliardi di dollari, un decimo (9,9% per l’esattezza) della ricchezza prodotta dal Paese in un anno: gli Stati Uniti hanno registrato nel 2009 (l’anno fiscale si è chiuso il 30 settembre) il disavanzo pubblico più elevato dalla fine della seconda guerra mondiale. Si sapeva che questo sarebbe stato un anno tremendo per i conti pubblici americani, appesantiti dagli oneri del salvataggio delle banche e, poi, dai tentativi di trainare l’economia fuori dalla recessione. Ma i numeri del consuntivo fanno ugualmente impressione: una cifra di poco inferiore al Pil di un Paese come la Spagna.
La cosa curiosa – ma anche, come vedremo, assai poco incoraggiante per il futuro – è che, davanti a un simile deficit, il governo Usa può perfino mostrare un certo sollievo: in estate, quando aveva trasmesso al Congresso un progetto di bilancio 2010 che prevede un deficit ridotto ma ancora elevatissimo (8% del Pil), Peter Orszag, l’«uomo dei numeri» di Obama, aveva mostrato infatti di condividere la previsione del Cbo (l’ufficio contabile del Parlamento) di un disavanzo destinato a toccare i 1600 miliardi. «Ma noi – si era difeso – siamo partiti, a inizio anno, con un enorme fardello lasciato da Bush: un deficit di 1.300 miliardi » per i salvataggi delle banche e di Fannie & Freddie, le due grandi finanziarie dei mutui-casa. Ora lo stesso Cbo certifica che le cose sono andate un po’ meglio del previsto. E il Tesoro tira un sospiro di sollievo perché, con l’aiuto della Fed, è riuscito a collocare senza troppe difficoltà un volume enorme di titoli del debito pubblico.
Ma è un sollievo momentaneo: un deficit così ingente è sostenibile solo se dura poco: un anno, 18 mesi al massimo. Obama lo sa e aveva rassicurato mercati e contribuenti: meno «deficit spending» già nel 2010 e «incidenza del disavanzo sul Pil dimezzata entro la fine del mio mandato».
Ma la perdurante debolezza dell’economia, la disoccupazione che continua a crescere nonostante e i conti da bancarotta di diversi Stati dell’Unione, suggeriscono ora altre misure d’emergenza che rischiano di far impennare anche il deficit 2010. Il credito d’imposta per le imprese che assumono fa molto discutere perché gli Usa non usano stimoli di questo tipo dagli anni ”70. La misura proposta da Obama è molto onerosa (diverse migliaia di dollari di sgravi e contributi per ogni nuovo assunto) fa disacutere per i rischio di abusi, ma è solo il primo di vari costosi interventi che potrebbero essere adottati nei prossimi mesi. Con le quotazioni immobiliari che continuano a scendere, cresce, ad esempio, la richiesta di sostengi a favore di chi compra casa per la prima volta. Una campagna guidata dal leader della maggioranza al Senato Harry Reid che è eletto in Nevada, uno Stato letteralmente devastato dalla crisi immobiliare. Difficile dirgli di no.
Sui conti federali si addensano, poi, altre due nubi minacciose. La prima è l’emergenza-Stati che, per evitare la bancarotta, licenziano dipendenti pubblici e alzano le tasse: l’opposto di quello che servirebbe per ridare fiato all’economia. Fin qui il governo di Washington ha resistito, ma prima o poi dovrà probabilmente soccorrere finanziariamente almeno le aree – come California, Michigan e Alabama – dove la crisi è più grave. L’altra riguarda la gestione dei disoccupati: gli incentivi posso servire a bloccare l’emorragia di impieghi, ma chi ha già perso da tempo il posto non solo fatica a trovare un nuovo lavoro, ma sta per esaurire i sussidi che non sono stati disegnati per sostenere una disoccupazione di lungo periodo. Anche qui una scelta drammatica tra le compatibilità di bilancio e l’abbandono di migliaia di americani alla povertà. Di tornare a numeri di deficit come quelli pre-crisi (il 3,2% sul Pil del 2008) per adesso non parla nessuno.