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 2009  ottobre 13 Martedì calendario

La strategia per separare le carriere I pm dentro l’Avvocatura dello Stato- ROMA – Da quando è tornato al governo Silvio Berlusconi lo ripete ogni volta che parla delle possibili ri­forme della giustizia: vuole i pubblici ministeri inquadrati in un ordine di­verso da quello dei giudici

La strategia per separare le carriere I pm dentro l’Avvocatura dello Stato- ROMA – Da quando è tornato al governo Silvio Berlusconi lo ripete ogni volta che parla delle possibili ri­forme della giustizia: vuole i pubblici ministeri inquadrati in un ordine di­verso da quello dei giudici. Con carrie­re separate, dice, e obbligati a «bussa­re prima di entrare, presentarsi col cappello in mano, dare del lei» ai ma­gistrati che dovranno decidere sulle loro inchieste. Li vuole chiamare «av­vocati dell’accusa», per equipararli an­che nella definizione a quelli della di­fesa. Il suo ministro Guardasigilli, Ange­lino Alfano, all’inizio della legislatura chiese ai responsabili dei suoi uffici di mettere a punto una riforma del co­dice congegnata secondo la stessa im­postazione: sostituire la dizione «pub­blico ministero» con «avvocato del­l’accusa » e verificare che cosa ne fos­se venuto fuori. Gli spiegarono che l’idea era impraticabile, se non altro perché bisognava passare da profon­di mutamenti costituzionali. Ma Ber­lusconi e Alfano la ripropongono di continuo. Il premier l’ha detto ancora domenica scorsa, nel suo intervento a Benevento, e ieri il ministro della Giu­stizia l’ha seguito a ruota: «La nostra opinione è quella di giungere a un or­dine doppio, da un lato gli avvocati dell’accusa, dall’altro quelli della dife­sa ». Una vera e propria rivoluzione, il cui eventuale cammino potrebbe pe­rò essere facilitato, almeno nelle in­tenzioni, dall’aggancio della nuova struttura riservata ai pubblici accusa­tori a una già esistente: l’Avvocatura dello Stato, cioè l’organo che rappre­senta – appunto – lo Stato nei giudi­zi e nelle vertenze più disparate. Nei palazzi della politica e delle istituzio­ni c’è perfino chi ritiene che la scelta degli argomenti con cui l’Avvocatura ha difeso il Lodo Alfano davanti alla Corte costituzionale, così vicini a quelli degli avvocati di Berlusconi, non siano estranei al possibile svilup­po di quest’ipotesi. Che del resto ha avuto in passato sponsor importanti. Nomi che ritornano nelle cronache più recenti come quello di Luigi Maz­zella, già Avvocato generale dello Sta­to e oggi giudice costituzionale. Nel novembre 2002 Mazzella era di­venuto ministro della Funzione pub­blica nel secondo governo Berlusco­ni, e contribuì al dibattito sul destino dei pubblici ministeri con questa co­struzione teorica: «Non c’è bisogno di trovare una nuova casa ai pm, perché c’è già. Potrebbe essere l’Avvocatura dello Stato». Consapevole della com­plessità della riforma, Mazzella ag­giungeva che avrebbe richiesto «una modifica della Costituzione e il pas­saggio dell’Avvocatura dalla pubblica amministrazione in senso stretto al­l’ambito delle Autorità indipendenti in senso generale». Otto mesi più tardi l’avvocato dello Stato divenuto ministro aggiustò il ti­ro, proponendo di creare per i pubbli­ci ministeri un nuovo organismo «ge­mello » dell’Avvocatura «quanto a or­dinamento strutturale e status giuridi­co ed economico dei rispettivi mem­bri; un’istituzione indipendente che derivi il potere direttamente dalla leg­ge, collocata al di fuori dei tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giu­diziario), con organi nominati dal Par­lamento e con il solo limite che siano scelti tra i pm in carriera». Da allora sono passati sei anni, e al­tri governi si sono succeduti, sino al­l’attuale guidato di nuovo da Berlu­sconi. Di cui Mazzella, salito nel frat­tempo al palazzo della Consulta su in­dicazione del centrodestra, è tanto amico dall’aver pubblicamente riven­dicato il diritto di ospitarlo a cena a casa sua. Anche quando, com’è suc­cesso nella primavera scorsa, il pre­mier ricopriva il ruolo dell’imputato beneficiario di una legge già all’atten­zione della Corte di cui Mazzella (co­me un altro invitato alla stessa cena) faceva e continua a far parte. Le voci e le polemiche intorno a quel convivia­le incontro si rincorsero, e più d’una riferì che a tavola non si parlò tanto del destino del Lodo Alfano, quanto delle possibili riforme da mettere in cantiere. Forse anche della vecchia idea del padrone di casa di inglobare i pubblici ministeri nella struttura che pure a lui è toccato di guidare. O quantomeno di equiparare le due ca­tegorie: avvocati dell’accusa, quindi avvocati dello Stato.