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 2009  ottobre 10 Sabato calendario

La congiura contro Honecker- La congiura contro Honecker prende forma all’indomani della bandiera bianca delle forze dell’ordine dinanzi ai 70mila manifestanti di Lipsia

La congiura contro Honecker- La congiura contro Honecker prende forma all’indomani della bandiera bianca delle forze dell’ordine dinanzi ai 70mila manifestanti di Lipsia. Durante la lunga ed estenuante riunione del Politbüro del 10 e 11 ottobre si cristallizzano chiaramente due fronti, escono allo scoperto i falchi e le colombe dei vertici della Sed. Egon Krenz, il "principe ereditario" del leader maximo, e Günter Schabowski, membro dell’ufficio politico del partito, cospirano per farlo fuori e chiedono «dialogo». Una parola detestata dall’irriducibile dittatore della Ddr, provocatoriamente mutuata da Krenz dai comunicati e dai volantini dell’opposizione. Mancano sette giorni alla fine di Erich Honecker. Già durante le grottesche celebrazioni del 40° anniversario della Ddr, Krenz e Schabowski hanno osservato attentamente la mimica e hanno seguito ogni gesto del segretario generale del Pcus, Gorbaciov. Mentre assiste alla parata, soprattutto, mentre parla con Honecker. Incoraggiati dai piccoli ma inequivocabili moti di fastidio del "Grande Riformatore" nei confronti del dittatore della Ddr, esaltati dal suo aggrottar di ciglia, dallo sguardo impaziente sull’orologio durante la sfilata dei carri armati, dall’espressione cupa dinanzi a Honecker che guarda sfilare i suoi giocattoli militari col petto gonfio di un bambino, i due cospiratori preparano la resa dei conti. Neanche ventiquattr’ore dopo le solenni celebrazioni dell’ultimo compleanno del regime, al segretario generale della Sed viene sottoposto un testo da rendere pubblico sul Neues Deutschland il 12 ottobre. Krenz ha già l’appoggio di mezzo Politbüro. L’articolo fa infuriare Honecker. Al di là della trita retorica propagandistica, delle accuse agli «attacchi controrivoluzionari» delle piazze che «disturbano l’ordine e la quiete pubblica senza mostrare alcun senso di responsabilita» e agli strali contro l’«imperialismo della Germania Ovest», appaiono parole inedite che sembrano una risposta ai movimenti di opposizione. Per la prima volta si parla di «dialogo» nel contributo che apparirà tre giorni dopo sul quotidiano di regime. E, con riferimento alla famosa invettiva di Honecker contro i rifugiati di Praga espatriati in occidente, l’articolo parla con rammarico della fuga in massa dei cittadini della Ddr verso la Germania. Quell’8 ottobre per l’ennesima volta, il dittatore si mostra insensibile alla valanga che sta travolgendo il paese. Reagisce con violenza a Krenz, lo accusa di aver redatto una «dichiarazione di capitolazione» e minaccia di mettere velocemente fine alla sua carriera. Honecker è sempre tentato dall’involuzione brutale, dalla repressione nel sangue dei movimenti di opposizione, dalla "soluzione cinese". E alcuni commenti al "day after" di Lipsia dimostrano che non è ancora solo. Il ministro dell’Interno, Friedrich Dickel, parlando con i capi della polizia, constata d’un lato che «non si poteva far altro» che rinfoderare i manganelli, dinanzi a 70mila persone sfilavano pacificamente per la città sassone. D’altro lato, aggiunge, «la cosa che mi piacerebbe di più è picchiare personalmente quelle canaglie finché non entrano più nei vestiti. Ero io il responsabile qui a Berlino nel 1953 (quando i carri armati sovietici repressero duramente un’ondata di scioperi e di manifestazioni nella Ddr, ndr). (...) Nessuno mi può insegnare come vanno trattati i nemici della classe operaia. (...) Sparare, cari compagni, e mandare i carri armati davanti alle sedi delle amministrazioni provinciali e a quelle del Comitato centrale, sarebbe la soluzione più semplice». Ma, conclude, «è una soluzione così complicata dopo 40 anni di Ddr?». La riunione fiume del Politbüro del 10 e 11 ottobre si apre con il consueto, sempre più surreale rapporto di Honecker sui grandi successi della Ddr e del partito. La discussione che ne segue verte all’inizio sulla straordinaria importanza della distribuzione dei beni nel paese, si parlamenta di cartone per i tetti, telefoni, insalata e reggiseni. Ma per la prima volta qualcuno azzarda davanti al segretario generale un preoccupato commento sulla «irrequietezza» che sta agitando il partito e una critica al «silenzio» dei vertici. Poi è il turno di Krenz. Nel suo discorso si annidano tre stilettate all’indirizzo di Honecker, già anticipate dall’articolo per il Neues Deutschland che il delfino gli ha sottoposto, anzi, imposto, il giorno prima. La prima è la richiesta di un «dialogo» all’interno del partito - per il secondo giorno di seguito il dittatore deve ascoltare una parola odiata come la peste. La seconda è la considerazione che occorra dispiacersi per i flussi di tedeschi orientali in fuga verso l’Occidente. La terza è un riferimento critico alle leggi elettorali. Honecker dovrà aspettare la fine delle quindici ore di discussione per restituirgli lo schiaffo. Chiederà «misure severissime contro brogli elettorali». Una minaccia diretta all’uomo che era stato l’architetto della clamorosa falsificazione dei risultati delle elezioni comunali del 7 maggio dell’89 (partecipazione al voto: 98,77%, di cui voti favorevoli 98,85%). Nel corso del vertice, si delineano due fronti. Il primo è capeggiato dal responsabile dell’informazione, Joachim Herrman e dal ministro dell’Economia, Günter Mittag (e quando quest’ultimo abbandonerà Honecker, da lì a poco, sarà il segnale inequivocabile della fine del segretario generale della Sed). Sono convinti che sia pericoloso cedere alle pressioni dal basso, che occorra rispondere con durezza all’opposizione e alle manifestazioni. il fronte dei falchi, dei sostenitori della repressione. Alla fine, avrà tuttavia la meglio il partito delle "colombe", passerà la loro linea. Un fronte capeggiato non a caso dalle persone con più "antenne" nel paese e dunque più polso della realtà. Ne fanno parte il capo della sicurezza Krenz e Schabowski, ma c’è anche il terribile numero uno della Stasi, Erich Mielke. Anche i segretari provinciali del partito sono in subbuglio. Da loro verrà la richiesta di anticipare la riunione plenaria del Comitato centrale a fine ottobre invece che a inizio dicembre. Ed è grazie a loro, che l’11 ottobre dopo verrà letto un annuncio di quindici minuti alla televisione, alla Aktuelle Kamera, che parla della necessità di «trovare insieme una risposta su come conciliare gli ideali umanistici del socialismo con le sfide non facili del decennio che abbiamo dinanzi». Per Krenz, Schabowski e Mielke non si tratta ovviamente di cambiare davvero il regime, di riformare la Ddr. Si tratta solo, in quel momento, di cacciare il capro espiatorio per eccellenza e assicurarsi il mantenimento del potere. Egon Krenz è l’uomo che ha truffato milioni di elettori tedeschi a maggio, che ha elogiato la repressione della Tienanmen, che è stato per anni un indimenticato capo dei giovani socialisti, della Fdj, che ha oppresso e umiliato come nessun altro e che è stato per anni l’omba di Honecker. I suoi valori erano (e restano, a giudicare dalle dichiarazioni e dagli scritti deliranti che firma ancora oggi) quelli della dittatura. E quando gli errori del suo protettore Honecker si sono accumulati sino a mettere a rischio la sopravvivenza della dittatura, Krenz interviene per evitare il peggio e per sostituirlo. E, come scrive lo storico Wolfgang Schuller, «in base ai principi di un partito marxista-leninista», la sostituzione del segretario generale del partito unico della Ddr «non poteva che avvenire che in modo cospirativo». Il giorno dopo, quando sul Neues Deutschland appare l’articolo in cui appare la parolina magica "dialogo" e viene espresso rammarico per i tedeschi espatriati, l’opposizione capisce al volo. Ci auguriamo, scrive il movimento Neues Forum in un comunicato, che ci siano le premesse «per un vero dialogo». Nella nota si legge anche la richiesta di «libertà di stampa» e per «una corretta esposizione dei fatti». Ma c’è anche chi, come la Vereinigte Linke, la "sinistra unita", rifiuta ogni dialogo e chiede tout court le dimissioni del Politbüro. Una richiesta che a sua volta fa infuriare il Neues Forum, che la bolla come massimalista e antirealistica, vergata in linguaggio "da schiavi" e addirittura "nemica dello Stato". Dunque, anche nell’opposizione, i fronti si dividono.