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 2009  ottobre 11 Domenica calendario

DAL NOSTRO INVIATO


LEGNANO – «Papà, ma il Bossi è quello con l’elmo?». «No tesoro, quello è Alberto da Giussano». «Appunto: allora è lui il Bossi». «No: è Raz Degan. L’attore che piace alla mamma». «Ma il Bossi, quello che piace a te, quando arriva?». «Arriva, arriva: La Padania ha scritto che ha una particina...».

Tra Legnano e Cerro Maggiore, dove il 29 maggio 1176 la Lega lombarda scon­fisse il centralismo imperiale, oggi c’è un gigantesco cinema multisala, uno dei pri­mi e dei più grandi del Nord Italia; e ov­viamente danno «Barbarossa». Come ve­dere «Baarìa» a Bagheria. La sala 7, tre­cento posti quasi tutti prenotati, è già piena: a mezz’ora dall’inizio il cronista compra il penultimo biglietto, in prima fila, sotto il megaschermo.

All’ingresso si è accolti da armigeri con scudi, lance e tutto: non sono i «vec­chi Galli» citati da Bossi, ma i figuranti del palio di Legnano, dove ogni anno vie­ne messa in scena la battaglia. Chi ha già il biglietto si rilassa con una birra e una fajita di pollo all’American Restaurant Crazy Bull, tra le targhe dell’Interstate Texas 20 e dell’Oklahoma Road 611. Ci sono anche la griglieria argentina «El Gringo», il kebab, la crêperie, il su­shi- bar, il wine-bar e il fast-food cinese «Shanghai Quick». Più che un «non luo­go », la multisala è ormai un «super luo­go », di quelli che sostituiscono la piazza e il paese come posto d’incontro; di pada­no non c’è nulla; tranne, stasera, il film.

«E’ tempo che tutti i comuni lombardi si uniscano in una Lega!» proclama Al­berto da Giussano, e la sala approva: «Sì!». «Questa terra appartiene a noi lom­bardi fin da quando abbiamo memo­ria! ». Applauso. Non è tanto tifo politico, quanto rivendicazione di identità. Visti anche i fazzoletti verdi, ma soprattutto fa­miglie con bambini anche piccoli, come quello che tormenta il padre: «E’ lui il Bossi?». «No, lui è Barbarossa». Gli orga­nizzatori del palio di Legnano sono in giacca e cravatta. Il film è zeppo di allusio­ni politiche, magari non volute, ma che sollecitano i più appassionati. «Roma è debole e malata», infatti si dà al Barbaros­sa – «Sire, Roma è ai vostri piedi» ”, ed è pure devastata dalla peste. Cremona e Ferrara tradiscono: «Comunisti!» sibila una voce nel buio. Delusione per i guer­rieri con gli scudi crociati: praticamente il simbolo della Dc; sollievo all’apparizio­ne del Carroccio trainato da buoi.

Ma la discussione più accanita si ac­cende in sala per stabilire quale sia la chiesa che si intravede dietro le mura di Milano. «E’ Sant’Ambroeus». «No, è san Babila. Sant’Ambrogio ha il portico da­vanti ». Poi il traditore, che ha il volto del cattivo di Hollywood per eccellenza, F. Murray Abraham, apre in effetti «la grata di Sant’Ambrogio» e risolve la questio­ne. «Papà, è lui il Bossi?». Il padre ora si spazientisce: «No, Bossi è buono». Una si­gnora lamenta che gli accenti degli attori non siano lombardi, «con tutte quelle es­se sibilanti da Centro-Sud»; il che è vero. Il film riesce noiosetto, con le frequenti grida di «libertà!» a evocare il Mel Gib­son di Braveheart, ma solletica l’orgoglio settentrionale – «se riuscirai a domina­re il Nord Italia diventerai il sovrano più potente d’Europa» – e gli spettatori lo seguono in tensione crescente. Verona, Novara, Vercelli, Como, Bergamo, Pavia sono schierate allora come oggi con la Le­ga. E ovviamente si giura a Pontida. Un signore in tuta che ha fatto la comparsa a cavallo nella battaglia indica fiero alla fi­danzata: «Io sono quello lì, accanto all’Al­berto ». Qualcuno registra la carica con il telefonino. L’applauso finale sull’ultimo «libertààà!» dopo oltre due ore e mezza non è liberatorio ma convinto.

Mentre scorrono i titoli di coda – «i comuni padani avevano così ottenuto la loro indipendenza...» – i commenti so­no soddisfatti. I più critici sembrano gli organizzatori del palio, apolitici, che pe­rò discettano di costumi, fibbie, finimen­ti, speroni. Raz Degan, confermano le si­gnore, è bellissimo. «A me piace più l’Al­berto da Giussano del Butti» sbotta un marito seccato, che insiste per portare la compagnia a rendere omaggio alla sta­tua che lo scultore romantico eresse sul­la piazza di Legnano. Ma il grosso si ritro­va al piano terra della multisala, in gelate­ria, alla focacceria ligure, alla piadineria, «alla Pizz@Communication», al distri­butore di pupazzi di Hello Kitty, o davanti al menu Poldo della pa­ninoteca. Bossi non si è capi­to bene dove fosse; qualcu­no ipotizza che la Pada­nia abbia fatto uno scherzo; ma un ragaz­zo che spiega di cono­scere bene «il capo» svela il segreto. Bossi è uno dei nobili pada­ni che ha giurato a Pontida; il regista Mar­tinelli non l’ha messo in primo piano, ma a guardar bene si vede che è lui; «il capo» ha pure rac­contato, molto divertito, che alla fine era rimasto incastrato nel costume medievale, e proprio non riusciva a toglierselo. Si vorrebbe concludere la serata al karaoke, ma pur­troppo è già chiuso. Un cartello informa che tutto è pronto per la festa di Hallowe­en. A voltarsi indietro, la scritta lumino­sa che si vede fin dall’autostrada informa che la multisala è della Medusa; pure quella, cioè, di Berlusconi.

Aldo Cazzullo