Andrea Garibaldi, Corriere della Sera 10/10/2009, 10 ottobre 2009
ROMA – C’erano una volta due bimbi inglesi, avevano pochi mesi e da un orfanotrofio di Londra furono adottati dalla principessa Orietta Doria Pamphilj e dal marito Frank Pogson
ROMA – C’erano una volta due bimbi inglesi, avevano pochi mesi e da un orfanotrofio di Londra furono adottati dalla principessa Orietta Doria Pamphilj e dal marito Frank Pogson. Non erano fratelli, lo divennero. Alla femmina fu dato il nome di Gesine, la mamma di Orietta. Il maschietto fu chiamato Jonathan. Orietta era una nobildonna particolare, aveva il numero di telefono sull’elenco, anche se spesso rispondeva: «No, la principessa non c’è». Si occupava più di cani ciechi che di salotti. Quando, nel 2000, Orietta se ne andò, quei due bimbi furono chiamati principessa e principe e si scoprirono unici eredi di un’incommensurabile fortuna. Oggi Gesine, che ha 45 anni e Jonathan, 46, non si parlano più, s’incontrano in tribunale. Questione di eredità, si direbbe. Qui c’è di mezzo Palazzo Doria a Roma, con 100 appartamenti e 50 negozi e uffici affittati e una collezione con Tiziano, Caravaggio, Velázquez, Lotto, Parmigianino, Rubens, Bruegel il vecchio, 650 opere in tutto. Poi, il Collegio Innocenziano di piazza Navona e la tenuta di Testa di Lepre. E il Palazzo del Principe a Genova, con Sebastiano del Piombo e arazzi del ”400. Il problema, però, non riguarda Gesine e Jonathan, ma i loro eredi. Gesine ha quattro figlie, dai 15 ai 5 anni. Jonathan, che ha partecipato al Gay Pride di Genova ed è legalmente unito, in Inghilterra, con un brasiliano, Elson Edeno Braga, ha una figlia e un figlio, di tre e due anni. Ottenuti, a quanto si discute in tribunale (il velo è stato squarciato ieri dal Secolo XIX ), con la tecnica dell’«utero in affitto », proibita e punita in Italia (reclusione da 3 mesi a 2 anni, multa da 600 mila a un milione di euro). Gesine chiede al tribunale di decidere se la paternità di Jonathan sia da disconoscere e il tribunale dovrebbe decidere entro fine ottobre. Il ricorso ai giudici viene spiegato da Gesine con l’esigenza di tutelare la sua prole, ma anche i nipoti nuovi arrivati. Che avrebbero due madri a testa, una che ha «offerto» l’utero e l’altra l’ovulo. Nipoti – Emily e Filippo Andrea (come il nonno) – che per la legge italiana non sarebbero di nessuno. O meglio, qui si tutelano i diritti della madre, non quelli dei donatori. Jonathan – secondo Gesine – avrebbe dovuto adottare i piccoli, dato che in Inghilterra anche i single o le coppie gay possono farlo. Ma così... Che pasticcio diventerebbe la successione – sostengono i legali di Gesine – con tanta gente a rivendicare diritti su pinacoteche, biblioteche, terreni, immobili? Al giudice si chiede di dire una parola chiara sullo status dei due bambini. Andava tutto bene fra Gesine e Jonathan, fino a tre anni fa. Jonathan raccontava scene d’infanzia: «Da piccolo, con Gesine, ci rincorrevamo e scivolavamo sul marmo, ma la nostra passione era cavalcare la pecora tardo ellenistica, che nasconde Ulisse da Polifemo... ». Poi Jonathan ha voluto diventare padre con l’«utero in affitto». Emily è nata in Kansas, Filippo Andrea in Ucraina. E tutto si è rotto, sono venute in luce differenze di carattere. Gesine è una donna semplice e devota, somiglia un po’ alla principessa Orietta. Suo marito è Massimiliano Floridi, esperto d’arte, ordinato di recente diacono, insegna il Vangelo e dà il Battesimo. Vivono più nella campagna di Guarcino (Frosinone), che a Palazzo. Fanno la spesa al supermercato e difficilmente Gesine veste come una principessa. Jonathan ha vissuto con maggior brio. Giacche viola o nere a righe gialle, un ristorantino a Isla Margarita in Venezuela, laurea in storia dell’arte, anni di lavoro da Sotheby’s, feste con orchestre messicane o senegalesi. Il suo compagno, Braga, ha la battuta pronta: «Gioco al Superenalotto, se vinco ti ricompro Palazzo Doria», ha detto a proposito delle traversie giudiziarie. Già, negli ultimi tempi Jonathan è stato messo un po’ da parte anche dalla gestione del patrimonio artistico. Resta la sua voce nell’audio- guida che accompagna i turisti attraverso il percorso fantastico della Galleria Doria Pamphilj. Andrea Garibaldi L’esperto di diritto «Madre in affitto, ma il legame resta» MILANO – «Una storia complessa, con interferenze di carattere etico». La premessa è d’obbligo per Giovanni Liotta, notaio a Torino, componente della Commissione affari europei e internazionali del Consiglio nazionale del notariato: «Per questo credo che non sia il momento di dare certezze assolute – spiega il giurista ”, ma qualcosa si può delineare». Per esempio? «Innanzitutto va precisato che il legame padre-figlio è innegabile se è accertata la paternità, nel senso del Dna. In tal caso ogni figlio naturale, nato fuori dal matrimonio, è erede». Significa che non conta come i figli sono stati concepiti? «Nella situazione specifica, il caso sollevato nella famiglia Doria Pamphilj, l’essere ricorsi all’utero in affitto, benché in Italia non sia legale, non toglie nulla al legame padre-figlio. Questo è incancellabile». E le conseguenze penali? «Credo che siano due questioni separate. Si può essere sanzionati per il comportamento illecito, ma la procreazione resta, la discendenza è un fatto». Cosa succederà con le madri in affitto? Potrebbero vantare diritti sui bambini, come ipotizza Gesine Doria Pamphilj? «In generale chi offre l’utero in affitto non ha diritti sui figli partoriti. Bisogna sempre vedere che cosa prevede la legislazione dei loro Paesi». Grazia Maria Mottola Il museo La Galleria Doria Pamphilj di Roma ospita un gran numero di capolavori seicenteschi: opere di Caravaggio (sopra, la Maddalena penitente ), Annibale Carracci, Guido Reni, Guercino, Jan Bruegel, Jusepe Ribera, Velázquez, Claude Lorrain, Gaspard Dughet. La Galleria raccoglie anche molti pezzi rinascimentali di grande valore (Tiziano, Raffaello, Garofalo, Lorenzo Lotto, Pieter Bruegel, Correggio, Parmigianino) Il pezzo forte Uno dei dipinti di maggior pregio della collezione è il ritratto di Giovanni Battista Pamphilj, papa dal 1644 al 1655 con il nome di Innocenzo X (foto sopra) . Il capolavoro fu realizzato da Diego Velázquez, probabilmente fra la fine del 1649 e il gennaio del 1650. Il quadro è stato sistemato nel 1927 in una piccola stanza dedicata interamente al papa: c’è esposta infatti anche una scultura di Bernini che ritrae Papa Innocenzo X L’apertura al pubblico La Galleria fu aperta al pubblico da Orietta Pogson Doria Pamphilj, che con il marito si impegnò nel restauro della collezione e del palazzo fino alla loro scomparsa