Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 13 Martedì calendario

IMPARARE IL CINESE PER VOCE ARANCIO


«Ni shou zhongwen ma?», ossia: «Parli il cinese?».

Le relazioni economiche tra Italia e Cina complessivamente oggi raggiungono i 38 miliardi di euro. Il 2010, inoltre, sarà l’anno della cultura cinese in Italia, cioè i due paesi, grazie alle numerose iniziative e progetti, rafforzeranno le loro relazioni economiche e punteranno a raddoppiare il valore dell’interscambio. Francesco Boggi Ferraris, coordinatore della Scuola di formazione permanente, appena inaugurata a Milano: «Negli ultimi trent’anni la Repubblica popolare ha compiuto il suo percorso da potenza regionale a superpotenza mondiale. In questo contesto, conoscere la Cina è tanto importante quanto complesso. C’è bisogno di una chiave, e la chiave è studiarne la lingua e la cultura».

I campi in cui è più facile trovare lavoro per chi conosce il cinese: ingegneria, information technology, economia e finanza, marketing.

Al mondo 1.200 milioni di persone parlano cinese. la lingua più diffusa al mondo (l’inglese lo parlano 1.060 milioni di persone).

In Cina negli ultimi dieci anni il numero di studenti stranieri nelle università è passato da 36 mila a 110 mila.

Secondo le statistiche, più di 30 milioni di persone al mondo studiano il cinese.

Quanti studiano il cinese in Italia? Alla Sapienza sono circa 1200, da aggiungere a quelli che frequentano l’Istituto Confucio, circa 350 a semestre (il numero più alto tra gli istituti Confucio europei). A Venezia la stima è di poco inferiore e si aggira intorno alle mille persone. A Torino se ne contano circa 400, mentre in Statale a Milano, dove il cinese si avvia a diventare la terza lingua più studiata dopo inglese e spagnolo, sono 500. Totale: più di tremila. Ma nella somma mancano gli altri atenei italiani e i vari corsi che aprono in tutte le maggiori città.

La lingua cinese sta arrivando anche nelle scuole superiori: dal 1 settembre il Convitto nazionale ”Vittorio Emanuele II” di Roma ha aperto una sezione di liceo scientifico dove si studia il cinese per tutto il quinquennio. Si tratta della prima esperienza di questo genere in Italia e la seconda in Europa (un altro liceo del genere esiste solo a Parigi). I ragazzi hanno nove ore di cinese a settimana. Federico Masini, sinologo, preside dell’Istituto Confucio di Roma: «Il nostro istituto, con la Sapienza, gestisce corsi extracurricolari di cinese in venti scuole del Lazio. Lo scopo non è far parlare cinese a tutti, ma avvicinare i giovani a un mondo lontano. Un ragazzo che ha studiato cinese per due anni in classe non lo parlerà certo alla perfezione, ma guarderà alla Cina come a una realtà meno oscura e nascosta».

Per promuovere la cultura e la lingua cinese il governo di Pechino ha fatto aprire all’estero gli istituti Confucio (Kongzi xueyuan): sono l’equivalente cinese dei Goethe Institute tedeschi, o dei Cervantes spagnoli, però vengono aperti appoggiandosi alle università, attraverso l’accordo tra atenei cinesi e atenei esteri. Per aprire una singola sede il governo di Pechino investe 50-100 mila dollari. In tutto il mondo finora sono stati aperti 350 Istituto Confucio, sparsi in 80 stati. Obiettivo cinese: aprirne 500 entro il 2010. In Italia il primo è stato quello di Roma, nel 2006. Poi sono arrivati quelli di Torino, Pisa, Bologna, Padova, Venezia, Napoli. A novembre aprirà anche a Milano. Alessandra Lavagnino, presidente della facoltà di mediazione linguistica e culturale della Statale e direttrice italiana del Confucio di Milano: «Viste le peculiarità di Milano, che è un grande centro economico e una città con tante anime, qui sperimenteremo una formula nuova. Oltre alla sede centrale, l’Istituto avrà delle ketang, che letteralmente significa ”aule”, in altri due atenei, Bicocca e Bocconi».

Come funzionano i corsi di lingua cinese? Lo chiediamo a Monica Scarabottini, sinologa, docente dell’Istituto Confucio di Roma.
«I nostri sono corsi collettivi, organizzati in tre livelli: elementare, intermedio, avanzato. Ogni livello è diviso in due moduli. Un livello è costituito da 100 ore di lezione».
Bastano per sapere bene il cinese?
«Sono un buon inizio. Per parlare il cinese occorrono comunque almeno cinque anni».
Anche per imparare il cinese è importante andare a fare pratica in Cina?
« fondamentale, soprattutto per apprendere l’uso dei toni. Il cinese è una lingua dalla fonetica limitata, dove le variazioni del tono danno il significato alla parola».
Un’altra peculiarità della lingua cinese?
«Quello che si insegna è il cinese mandarino, la lingua ufficiale. Ma si deve sapere che ci sono anche i dialetti: alcuni sono semplici inflessioni, come i nostri. Altri sono vere e proprie lingue».
E la scrittura?
«Quella è una sola. A partire dalla Rivoluzione culturale si usano i caratteri semplificati, per rendere più facile la scrittura. Prima c’erano i cosiddetti caratteri classici, che per esempio si usano ancora a Taiwan, o a Hong Kong prima della riunificazione con la Cina».
Qual è la difficoltà maggiore quando si comincia a studiare il cinese?
«Direi che c’è una tripla difficoltà: di una parola si deve imparare la pronuncia, il significato e a disegnare l’ideogramma».
Quanto bisogna studiare?
«Un bravo studente si applica un’ora al giorno».
 faticoso. Perché uno dovrebbe imparare il cinese?
« una lingua ricchissima, millenaria, che come poche altre al mondo ha saputo rinnovarsi. anche divertente e di sicuro tiene la mente allenata, meglio del sudoku».
Si può studiare da autodidatti?
«Direi di no. Serve il confronto con il docente. Può essere tuttavia utile usare dei corsi multimediali con cd e dvd per ripassare, tenersi allenati, rinfrescare la memoria, migliorare la comprensione e la pronuncia».

Ricercatori britannici hanno scoperto che chi ascolta un discorso in cinese usa entrambi gli emisferi cerebrali, mentre con l’inglese se ne impiega solo uno.

Il costo di un corso di cinese è ovviamente molto variabile. Per esempio negli istituti Confucio si aggira intorno ai 300 euro per moduli da cinquanta ore (livelli principiante, intermedio, avanzato, commerciale, per bambini; ogni livello è costituito da due moduli). Alla Scuola di formazione permanente di Milano il corso intensivo da cinquanta ore costa 500 euro, il corso completo di lingua e cultura cinese 800, la preparazione all’esame (HSK) 250 euro. Al Centroriente di Torino un anno di corso (per un totale di 80 ore) costa circa 500 euro.

L’HSK (Hanyu Shuiping Kaoshi o Chinese proficiency Test) è l’unico esame ufficiale volto a valutare il grado di conoscenza della lingua cinese di studenti stranieri. L’attestato è riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione della Repubblica Popolare Cinese e ha validità permanente. Si articola in una serie di test da svolgere entro un tempo stabilito. Ci sono tre livelli: principiante (jichu) per chi ha studiato cinese dalle 100 alle 800 ore e conosce dalle 400 alle 3.000 parole; elementare-intermedio (chu-zhong), per chi ha studiato cinese dalle 400-2000 ore e conosce dalle 2.000 alle 3.000 parole; avanzato (gaodeng), per chi ha studiato più di 3.000 ore e conosce dalle 5.000 alle 8.000 parole. Nel 2006 è stato introdotto un nuovo esame di certificazione denominato Youth Chinese Test (YCT) rivolto ai giovani con meno di 15 anni. Gli esami sono predisposti dalle autorità cinesi, che poi li inviano, sigillati, alle sedi d’esame all’estero.

La prima testimonianza certa di lingua cinese scritta risale invece alla dinastia Shang, del 1700 a.C., ed era composta da 5.000 caratteri. Il numero dei caratteri cinesi non è fisso. Il primo dizionario, chiamato ”Illustrazione dei caratteri”, composto nel II secolo d.C., comprende 9.353 caratteri. Il ”Dizionario di Kang Xi”, compilato nel XVIII secolo, raccoglie 47.043 caratteri. Quelli contenuti nella nuova edizione del ”Grande dizionario della lingua cinese”, sono in totale 56.000. Comunque nella vita quotidiana il numero dei caratteri di cui un cinese deve impadronirsi non sono così numerosi. Secondo le statistiche, i caratteri di uso comune sono 4.000-5.000. Assimilando 3.500 caratteri un cinese può leggere e capire il 90% dei contenuti dei libri e dei giornali.

La Zanichelli vende circa novemila dizionari di cinese-italiano all’anno, acquistati soprattutto dai cinesi.

« più facile vincere otto ori che imparare il cinese...» (il nuotatore Michael Phelps).

La grammatica cinese è più semplice delle grammatiche europee: non ci sono tempi verbali, genere e numero, o concordanza tra soggetto e verbo.

Il calciatore Damiano Tommasi da febbraio gioca nella squadra cinese del Tianjin Teda. I tifosi cinesi lo chiamano ”Tuo ma xi”. «Mi sono arenato nel linguaggio tassinaro... ”buon giorno”, ”grazie”, ”sono italiano…non capisco”, ”destra”, ”sinistra”, qualche spruzzo di campo di gioco... ”solo”, ”arriva l’uomo”, ”vai”, ”vieni”, ”mia” e i numeri, che però sono la cosa più semplice».