Paolo Mauri, la Repubblica 11/10/2009, 11 ottobre 2009
La storia in una stanza A porte chiuse- Quella del Re Sole era un teatro. Virginia Woolf ne voleva una tutta per sé
La storia in una stanza A porte chiuse- Quella del Re Sole era un teatro. Virginia Woolf ne voleva una tutta per sé. Sartre, invece, non l´amava molto La camera da letto è lo spazio dove, solo poco tempo fa, la privacy era sconosciuta, ma anche quello che ha visto nascere molti capolavori. Un saggio uscito in Francia ricostruisce l´evoluzione del luogo più intimo della casa E’ stato Michel Foucault a sostenere la necessità di studiare gli spazi che quotidianamente viviamo e adesso Michelle Perrot, un´illustre storica francese che molto ha lavorato con Georges Duby, firma una singolare ricerca sulle camere (Histoire de chambres, Seuil, 450 pagine, 22 euro) attraverso i secoli puntando lo sguardo, in apertura, su una camera da letto piena di Storia, quella del Re Sole. Come si sa, ogni azione del grande sovrano era regolata da un cerimoniale complesso, sicché l´andare a letto o l´alzarsi avveniva davanti ad un pubblico ristretto e molto selezionato oltre che al personale di servizio. Quasi nessuno aveva il privilegio di restare solo con lui. Alla fine quella camera era una sorta di teatro e in quel letto ufficiale il re dormiva ben poco: finita la cerimonia si rialzava e raggiungeva la consorte o l´amante con cui passava la notte, ma al mattino tornava nel proprio letto per la cerimonia del "lever". In sostanza il re doveva testimoniare al mondo che era in buona salute e tutto procedeva bene per la Francia: la malattia del re, quando c´era, diventava subito un segreto di Stato. Per la gente normale la stanza da letto è il trionfo della privacy, ma ciò che noi oggi diamo per scontato è in realtà costume relativamente recente e non universale: i giapponesi ignorano la camera da letto e ancora nell´Ungheria ottocentesca, per restare in Occidente, la sera si usavano le panche per sedersi trasformate in letti. Comunque il senso è chiaro e persino la Camera parlamentare sostituendo il Foro, l´assemblea popolare in piazza, suggerisce l´idea di un luogo più appartato. Virginia Woolf desiderava ardentemente avere una stanza tutta per sé e anche Kafka si lamentava perché in casa aveva una stanza di passaggio dove veniva di continuo disturbato. Per questo amava gli alberghi. Il diritto alla privacy diverrà un diritto quasi per tutti, ma ancora in pieno Ottocento nelle campagne francesi le famiglie dormono in una stanza comune riscaldata male da un camino. Prosper Mérimée annotava: «In Francia le porte si chiudono male» e Jules Renard parla di «lenzuola fredde, umide». Si andava a letto coperti dai piedi alla testa, ma il gelo non risparmiava nessuno. Una storia dei letti da quelli a baldacchino a quelli chiusi come armadi, accompagna inevitabilmente l´evoluzione della camere, appunto, da letto. Le stanze comuni verranno riproposte in versione aggiornata durante il comunismo sovietico. Ancora nel 1980 a Mosca il 40 per cento degli appartamenti sono condivisi e nessuno ha diritto a veri spazi individuali, nemmeno per dormire. Un disastro, un´utopia fallimentare che in realtà perpetuava i disagi di sempre della popolazione più umile, con tutti gli svantaggi della promiscuità. La camera da letto coniugale si afferma un po´ dappertutto a partire dal 1840. Nelle classi economicamente più deboli i futuri sposi risparmiano per potersi comperare il letto matrimoniale e le cronache raccontano di una giovane che sfregia il proprio uomo con del vetriolo perché ha dilapidato i soldi destinati a quell´acquisto. Il Novecento industriale con i suoi letti di ferro, leggeri e poco costosi, renderà molto più semplice l´allestimento della camera matrimoniale. I mobili, più o meno in serie, impongono l´armadio guardaroba con gli specchi. Le trasformazioni riguardano anche le pareti, che conoscono presto l´arte popolare delle tappezzerie dipinte per poi tornare a colori più tenui e, si pensa, riposanti. Sulla camera coniugale veglia la Chiesa, ossessionata dal sesso fine a se stesso e prodiga, nel tempo, di consigli e manuali di comportamento. Michelle Perrot non lo cita, ma a noi torna in mente il poema di Attilio Bertolucci intitolato proprio La camera da letto (1984 e ´88) metafora ed emblema della storia della famiglia e dell´autore stesso. Col passare del tempo le famiglie destinarono anche camere apposite ai bambini, dei veri e propri bazar, e agli adolescenti. In particolare le camere delle ragazze si ispiravano alla stanza della Vergine raccolta in preghiera in attesa dell´Annunciazione raccontata dai pittori del Quattro e Cinquecento. @_TITOLETTO nero sx:Vita in albergo @_AR Tondo al VIVO:Ma se la maggior parte delle famiglie borghesi cercava la privacy delle proprie camere c´era anche chi detestava la vita borghese. Sartre e un po´ anche Simone de Beauvoir, per esempio, preferivano lavorare nei caffè. Sartre disse esplicitamente che non avrebbe mai sopportato di possedere un appartamento con dei mobili e tutto il resto. Restavano dunque gli alberghi. La storia degli alberghi e degli hotel raccontata dalla Perrot, somiglia a quella delle case contadine e borghesi: all´inizio sporcizia, promiscuità e servizi igienici assolutamente inadeguati, poi, pian piano, il confort e il decoro si diffondono e nascono addirittura, nell´Ottocento, per i più ricchi, i grandi alberghi come il Ritz. C´era chi sceglieva di vivere in albergo e anche chi sceglieva di morirci. Il capitolo dei suicidi che si chiudono in una stanza d´albergo per mettere fine ai propri giorni è piuttosto lungo, ma l´autrice preferisce limitarsi a qualche esempio, citando Walter Benjamin, Joseph Roth e il nostro Pavese, ma tralasciando Raymond Roussel che uscì di scena al Grand Hotel et des Palmes di Palermo. Il Ritz aveva un´uscita secondaria per eventuali defunti: l´immagine vitale del grande albergo non doveva essere turbata. In realtà l´albergo, nelle sue varie categorie, serve egregiamente i viaggiatori (peccato non aver citato il Forster di Camera con vista, titolo che la Perrot usa per Stendhal viaggiatore) e naturalmente gli innamorati di ogni specie. Freud fu sospettato d´aver portato in un albergo dell´Engadina sua cognata Minna e il New York Times pubblicò anche una foto della camera incriminata. Poi gli studiosi scoprirono che la camera non era affatto quella e che Freud aveva preso per sé e la cognata una suite con due camere separate, ma comunicanti. Il rapporto quasi incestuoso era solo una maligna fantasia? Sul tema, scabrosetto, si è tenuto un seminario. Fin quando non divenne celebre, Jean Genet viveva in alberghi di infimo ordine tenendo la stanza in un disordine e in una sporcizia spaventosi e lasciando avanzi di cibo e buchi di sigaretta nel materasso. Spesso prendeva un treno a caso e dormiva nell´albergo della stazione. Quando diventò ricco non disdegnò però il Lutetia, un hotel di gran lusso. Genet era disordinato ed eccessivo dentro e le sue stanze lo dimostrano. Il viaggio intorno alla camera, per parafrasare il titolo di Xavier de Maistre, è un viaggio intorno ad un universo. una camera anche la cella del frate e quella, sovraffollata, del carcerato. Nel suo discorso per il Nobel Orhan Pamuk ha ricordato che per lui scrivere è innanzitutto chiudersi in una stanza e tuffarsi dentro se stesso.