Maurizio Molinari, La stampa 5/10/2009, 5 ottobre 2009
Cayman sotto choc Anche in paradiso pagheranno le tasse La crisi manda in rosso le isole britanniche- Oltre 600 milioni di dollari di debiti per meno di 57 mila abitanti paventano il rischio della bancarotta per le Isole CAYMAN e cosi’ il paradiso fiscale dei Caraibi e’ in procinto di compiere la scelta che piu’ aborrisce: imporre le tasse
Cayman sotto choc Anche in paradiso pagheranno le tasse La crisi manda in rosso le isole britanniche- Oltre 600 milioni di dollari di debiti per meno di 57 mila abitanti paventano il rischio della bancarotta per le Isole CAYMAN e cosi’ il paradiso fiscale dei Caraibi e’ in procinto di compiere la scelta che piu’ aborrisce: imporre le tasse. Il governatore locale del territorio britannico, W. McKeeva Bush, e’ alle prese con l’impatto della crisi finanziaria globale: il benessere del piccolo arcipelago dei Caraibi Occidentali nasce dalle entrate finanziarie, dai dazi sui prodotti importati e, in misura minore, dal turismo. Negli ultimi 24 mesi ognuna di queste voci e’ crollata, con il risultato di far impennare il debito pubblico. Determinando anche un deficit di 100 milioni di dollari in un bilancio annuale complessivo di appena 800 milioni. Messo alle strette dai numeri, il governatore si e’ rivolto alla Corona ma il ministero degli Esteri e del Commonwealth non ha mostrato eccessiva sensibilita’ limitandosi a fargli avere un versamento di 60 milioni di dollari condizionando la consegna di un piu’ consistente assegno di 284 milioni alla violazione del tabu’ della tassazione. «Se volete avere piu’ aiuti dalla Corona dovete aumentare le entrate locali» e’ stato il messaggio recapitato dalla madrepatria. In concreto questo significa che il governatore, se vuole scongiurare lo spettro della bancarotta, deve emettere in fretta un decreto che stabilisce per la prima volta nella Storia tasse sui redditi di persone, aziende, banche ed hegde fund residenti nell’arcipelago. Per le CAYMAN e’ uno scenario che prospetta un autentico terremoto. Basti pensare che i 9253 hedge funds internazionali di casa nelle isole - da dove gestiscono un giro di denaro valutato in trilioni di dollari - si limitano a pagare al momento una tassa annuale una tantum di 3000 dollari mentre tutti i residenti non hanno mai versato un dollaro di imposte. Senza contare i numerosi falcoltosi stranieri, imprenditori e professionisti, che hanno preso la residenza locale proprio per proteggere i redditi da capogiro dal rischio delle imposte. Nulla da sorprendersi dunque se quando il governatore Bush ha riunito i piu’ falcoltosi imprenditori delle isole nella sala di un hotel di George Town per metterli al corrente della «scelta inevitabile che incombe su tutti noi» ne e’ scaturita una mezza rivolta. «Al momento non c’e’ accordo sull’imposizione di alcuna imposta ma stiamo valutando quanti e quali sacrifici i residenti sono disposti ad accettare» si limita a far sapere il governatore dalle colonne del New York Times, pur ammettendo che i fondi oramai scarseggiano: il governo locale non e’ riuscito a pagare gli ultimi lavori pubblici eseguiti, e’ inseguito da un consistente numero di creditori ed e’ nell’impossibilita’ di progettare spese future anche sul fronte dell’educazione, orgoglio della popolazione locale riuscita negli ultimi quaranta anni a emanciparsi dalla poverta’. Dietro le pressioni di Londra c’e’ la volonta’ del governo di Gordon Brown di andare incontro alle richieste dell’Ocse - l’Organizzazione per lo sviluppo della cooperazione economica - che sta chiedendo alla Gran Bretagna di ridurre l’autonomia dei paradisi fiscali che ricadono sotto la sua autorita’. Un altro avversario giurato delle Isole CAYMAN e’ il presidente americano, Barack Obama, che durante la campagna elettorale del 2008 defini’ «il piu’ grande scandalo fiscale di cui si ha notizia» l’esistenza a George Town di un palazzo, la Ugland House, nel quale hanno contemporanramente sede circa 19 mila societa’ finanziarie.