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 2009  ottobre 11 Domenica calendario

MIMMO, WIM E IL CIELO SOPRA RIACE


Ramadullah è un bambino afgano di nove anni con due occhi neri che corre per i viottoli di Riace con le braccia aperte, un aeroplanino in carne e ossa che fende l’aria carica di ossigeno di questo paesino ionico. Otto giorni al buio dentro un container con l’acqua razionata e un po’ di biscotti, Ramadullah scappa verso l’Italia con uno "zio" conosciuto durante il lungo viaggio, una di quelle parentele acquisite che i fuggiaschi sanciscono istintivamente in nome della sopravvivenza reciproca: i genitori di Ramadullah sono seppelliti in uno dei tanti cimiteri afgani e il figlio sopravvissuto mostra a chiunque glielo chieda la cicatrice sul fianco, il ricordo di una scheggia che avrebbe potuto spedire anche lui al Creatore. A Riace, un pezzo di Calabria ionica con le case ipnotizzate dal mare viola dei greci e le morbide colline di argilla che s’inseguono fino in cima al paese, ci sono 17 bambini come Ramadullah. Mohamed, Moustafà, Ann, Sabir e tanti altri: sono etiopi, curdi, afgani, serbi, somali, palestinesi, eritrei. I primi 300 curdi irakeni e del Turkistan sbucarono dal mare una mattina del primo luglio del 1998. Quel giorno gli occhi di Mimmo Lucano, da sei anni sindaco di Riace e allora professore di chimica all’istituto tecnico di Roccella jonica, furono abbagliati da uno spettacolo che gli avrebbe cambiato la vita: «Sembravano pesci in una stiva. Le donne, con i loro bambini in braccio, erano avvolte in coloratissimi abiti verdi, gialli e rossi, gli stessi della bandiera curda». La prima destinazione temporanea è la Casa del pellegrino che sorge accanto al santuario di San Cosimo e Damiano, due chilometri da Riace, il luogo dove ogni fine settembre si riuniscono i rom di Calabria e Sicilia. Una festa che da decenni lega i Rom agli abitanti di Riace, che in quei giorni aprono le loro case agli zingari e, in nome di un comune destino segnato dall’emigrazione, ci si scambia i prodotti delle due diverse culture: i rom l’artigianato in ferro, la gente di Riace l’olio, i pomodori, le conserve.
Mimmo Lucano passa l’estate del 1998 facendo la spola tra casa sua e il santuario. Diventa così amico dei migranti che da allora lo chiamano "Mimmo il curdo". così immerso nella loro cultura che dopo qualche settimana riesce a distinguere dall’odore un curdo irakeno da uno del kurdistan. «In loro riconosco l’antropologia di noi calabresi:dal mare arrivano i miei antenati, i fondatori della Magna Grecia, dal mare arrivano i bronzi e dal mare arrivano i migranti. Mio fratello è emigrato in America, un altro a Santena, nella cintura di Torino, dove ci sono più riacesi che a Riace. Noi e i migranti siamo la stessa identica cosa. Cacciarli sarebbe un gesto inutilmente crudele, un po’ come cacciare noi stessi». Il mare, insomma, come portatore di ricchezza.
Asad, un giornalista iraniano che parla spagnolo diventa amico di Mimmo. Una sera, tra un bicchiere e l’altro, gli dice: «Riace non ha avuto guerre ma è come se la guerra ci fosse stata. Qui è un deserto come il Kurdistan». Per Mimmo è come una scudisciata. A Riace le case sono vuote, i bar non esistono, le scuole sono chiuse e per comprare il pane si deve scendere fino a Riace Marina. E se i curdi, gli etiopi, gli eritrei, gli afgani e i serbi lo ripopolassero? Se si trasformassero in artigiani, commercianti, albergatori e rianimassero un’economia morta e sepolta? una pensata degna di Muhammad Yunus, il banchiere dei poveri che nel Bangladesh ha inventato il microcredito. Mimmo, che nel 1998 è un semplice consigliere comunale, nel 2004 si candida alle elezioni comunali a capo di una lista civica e un programma scarno scarno: trasformiamo i rifugiati politici e i migranti in cittadini di Riace. Stravince, e il giorno dopo corre a Napolie a Roma dove vivono i discendenti dei latifondisti di Riace, e gli chiede di cedere i loro palazzi nobiliari abbandonati e le vecchie cantine ormai conquistate dai topi a prezzi politici. I Pinnarò, una delle dinastie più altolocate del paese, offrono al Comune i loro beni al prezzo simbolico di un euro al mese. La Banca etica di Padova finanzia la ristrutturazione con 51mila euro e il Viminale iscrive Riace nel programma Sprar, Sistema protezione rifugiati richiedenti asilo, 20 euro al giorno a testa che arrivano nelle casse esangui del comune di Riace (i malfamati centri di identificazione espulsione, dove gli immigrati rimangono anche sei mesi, costano ai contribuenti 120 euro al giorno per ogni immigrato). Nel 2008 per i suoi 75 immigrati Riace ha ottenuto 120mila euro dal Viminale. Piccole cifre con le quali Mimmo il curdo risolleva l’economia di questo piccolo borgo ionico e trasforma le vecchie cantine abbandonate in laboratori con il cotto a terra e le volte con i mattoni rossi a vista.
Elen, una ventiseienne eritrea, tesse sciarpe coloratissime con la sua bimba accanto che dorme nel passeggino. Poco più avanti, nel laboratorio di ceramica, Issa, un quarantenne afgano ci accoglie offrendoci un grappolo d’uva. Issa modella lampade e soprammobili in esposizione a quattro euro l’uno. Altri dieci passi e si entra in una bottega dove una ragazza serba, Zumleta, fa l’uncinetto con le donne del paese, ancora qualche passo è al limite del paese c’èla riacese Irene che insegna a Shugri, una somala di 23 anni, a soffiare il vetro. Irene ha imparato il mestiere da Dimitri, un ragazzo bulgaro che ha regalato al sindaco tutti gli attrezzi necessari per trasformare il vetro.
Sapienza, manualità, passione, volti di giovani donne con le facce serene dei mille colori del mondo che s’incrociano nelle viuzze di questo minuscolo paese riasfaltate con la pietra dell’Aspromonte.
Riaprono le scuole, i bar, i ristoranti. I riacesi riparati a Torino rientrano in Calabria per lavorare con gli immigrati. Alla scuola elementare ci sono 17 bambini immigrati e nove indigeni. Se non fosse per gli occhi tristi di molti bambini stranieri che hanno perso i genitori, Riace sarebbe il paese più bello d’Italia. L’accoglienza dolce, come la chiama Mimmo il curdo, funziona così bene che il prefetto Mario Morcone che coordina il programma Sprar decide di allargare l’esperimento ai comuni confinanti di Stignano e Caulonia, altri 180 immigrati che hanno rinsanguato paesi fantasma. Mimmo è scatenato: trasforma i palazzi nobiliari in un albergo diffuso con un centinaio di posti letto e organizza la raccolta differenziata con due asinelli che agli ordini di una coppia di immigrati somali ed eritrei bussano ogni mattina alle porte dei riacesi per raccogliere carta, plastica e vetro: «Duemila euro per la coppia di asinelli invece che migliaia di euro per assicurazione, benzina e manutenzione di veicoli inquinanti», dice entusiasta Mimmo.
Non è un processo indolore, la Calabria è sempre quel paradiso popolato da diavoli di cui parlava Benedetto Croce: e da queste parti i diavoli rispondono al nome della famiglia ’ndranghetista Ruga Metastasio, il clan di Camini che non ama i melting pot newyorkesi. Due anni fa hanno avvelenato i cani di Mimmo e il 16 marzo del 2009 hanno sparato una raffica di lupara alla porta della Taverna Donna Rosa. Una guerra strisciante, quotidiana che ha avuto il suo epilogo il 27 settembre,l’ultima notte di festeggiamenti dei rom nel santuario di San Cosimo e Damiano. Un’altra scarica di lupara che ha ucciso sul colpo Bruno Vallelonga, esponente di una cosca rivale.
Mimmo tira dritto e replica agli atti intimidatori cambiando i nomi delle vie di Riace. Ora un esponente dei Ruga Metastasio abita in una stradina intitolata al sindacalista siciliano Placido Rizzotto: «Il nome di Rizzotto questo signore lo deve tenere stampato sulla carta d’identità!».
Piccole soddisfazioni di un sindaco combattente che in settembre ha stretto la mano a Wim Wenders, il regista tedesco sceso in Calabria per girare un cortometraggio in 3D sceneggiato da Eugenio Melloni e coprodotto dalla regione Calabria. Il corto si chiama Il volo, una storia ambientata a Badolato, un grappolo di case appiccicate sul cocuzzolo di una montagna a una dozzina di chilometri da Riace, e racconta di un bambino calabrese che a causa dello spopolamento del suo paese non trova più dei compagni con cui giocare a calcio. Almeno fino a quando non arrivano un gruppo di migranti con i loro figli che ripopolano le case, le scuole e i campetti di Badolato. Il bambino protagonista del cortometraggio è il piccolo Ramadullah, ormai riacese purosangue, che durante le riprese prende Wenders per mano e gli dice in inglese: «Tu non sei un uomo se non vieni a Riace». Il regista tedesco non conosceva la storia di Mimmo il curdo, del suo progetto di microeconomia locale, degli immigrati afgani e africani che parlano in dialetto calabrese. Appena mette piede a Riace, Wenders cambia sceneggiatura e rivoluziona il casting: si scusa con le comparse reclutate in defatiganti sedute a Cosenza e Reggio e ingaggia come attori gli immigrati di Riace. L’ultima scena del
Volo ha come sfondo il cuore del paese di Mimmo Lucano: tutte le donne con i neonati attaccati al collo, i bambini, gli uomini di ogni razza e nazionalità sparsi a raggiera intorno alla piazza che corrono verso lo stesso punto riunendosi in un caleidoscopio di facce, di colori, di sorrisi. Un atterraggio perfetto del lungo volo di Mimmo il curdo e Ramadullah l’afgano, i due simboli di una rinascita possibile che sotto lo sguardo commosso di Wenders contemplano il cielo sopra Riace.