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 2009  ottobre 12 Lunedì calendario

ORO PER VOCEARANCIO

Prezzo quadruplicato in dieci anni e aumentato di un quinto solo da gennaio. Record storici aggiornati a ripetizione, fino a sfondare prima quota 1.000 dollari l’oncia e poi quota 1.050 per puntare dritto a 1.100. Ecco la nuova grande corsa all’oro, così diversa da quella dei mitici cercatori del Klondike ma anche dall’ultima spaventosa impennata del metallo prezioso, datata 1980. Perché, stavolta, dietro alla voglia di oro c’è un dollaro che fatica a resistere all’assedio nelle nuove potenze globali, che ne insidiano il trono al centro del sistema monetario mondiale.
Questo sarà il nono anno consecutivo in cui le quotazioni dell’oro chiuderanno in crescita. Dal 2000 ad oggi, in media, ogni anno l’oro ha guadagnato il 14%. la sequenza di rialzi più lunga dal 1940.
L’ultimo record risale all’otto ottobre. Un’oncia troy d’oro (poco più di 31 grammi) al mercato di New York ha raggiunto un prezzo spot di 1.061,55 dollari, i contratti futures sono saliti fino a 1.062,70 dollari. Entrambi, in chiusura, sono rientrati sotto i 1.060 dollari, ma è un calo da niente rispetto alla tendenza in corso. Si consideri che era il terzo giorno di fila che l’oro aggiornava il massimo storico e che dall’inizio dell’anno il rialzo è del 20%.
Ci sono alcuni elementi da non trascurare. Intanto le serie storiche mostrano che settembre è un mese particolare per il metallo giallo. Negli ultimi 20 anni l’oro ha chiuso in aumento il nono mese dell’anno per ben 16 volte. Poi la domanda reale in questi mesi è sotto pressione. In ottobre in India si tiene il Diwali, uno dei più importanti festival religiosi del Paese, durante il quale la domanda di gioielli subisce un passo avanti. Mentre in Cina, secondo consumatore d’oro al mondo, la richiesta del metallo tende ad alzarsi per vari mesi, dopo il primo ottobre, in previsione dei festeggiamenti del capodanno cinese.
Parliamo di record storici e, in effetti, il valore nominale dell’oro non è mai stato così alto. Ma, se si considera l’inflazione, ai prezzi attuali i 600 dollari raggiunti dall’oncia nel 1980 equivalgono a 1.600 dollari attuali. Ma fu solo una fiammata durata qualche mese, quella di 30 anni fa.
Il rialzo dell’oro ha lo stesso significato dei gabbiani che volano bassi quando si avvicina la tempesta. Tradizionalmente chi compra oro lo fa perché ha bisogno di proteggersi. Non sempre funziona: tra gli anni Ottanta e il 2000 l´aumento del costo della vita ha eroso all’oro l’80% del suo valore. Ma, di solito, è un ”bene rifugio”, il metallo prezioso, che mette gli investimenti al riparo dalle accelerazioni dell’inflazione, dagli scossoni dei mercati finanziari, dalla svalutazione del dollaro. Tre voci che ultimamente mostrano un alto tasso di rischio.
L’inflazione, dopo essere scesa fino a sotto lo zero in quasi tutte le nazioni occidentali, potrebbe impennarsi nei prossimi anni. Sarebbe il risultato delle politiche monetarie anti-crisi adottate dalla Federal Reserve e dalla Banca centrale europea: gli istituti centrali hanno immesso un’enorme mole di liquidità sui mercati per condurre il mondo fuori dalla crisi, tenendo i tassi a livelli bassissimi (azzerati in America, all’1% in Europa). Strategie che saranno abbandonate gradualmente con le varie exit strategy. Ma ritirarle rapidamente potrebbe mettere a rischio la ripresa, che tutte le istituzioni economiche definiscono ”debole e fragile”, aspettare troppo rischia di avere sgradevoli conseguenze inflazionistiche.
I mercati potrebbero essere diretti verso una pesante correzione. Dopo avere guadagnato in media il 60%da marzo ad oggi, le principali piazze finanziarie del pianeta, prevedono molti analisti, nel primo trimestre subiranno una flessione che riporterà i valori a livelli che rispecchino più fedelmente i fondamentali economici. In particolare il sistema finanziario, che ha trascinato i ribassi nella fase peggiore per poi guidare i rialzi nei mesi del recupero, potrebbe avere bisogno di un aggiustamento delle quotazioni.
Negli ultimi quattro crolli delle Borse – 1987, 1998, 2001, 2008 – l’oro ha sempre guadagnato. Mentre i mercati perdevano, rispettivamente, il 32, il 20, il 50 e il 54%, il metallo prezioso offriva rendimenti del 6, del 2, del 12 e del 24%. La classica dinamica di un bene rifugio come erano, fino a poco tempo fa, anche i Titoli di Stato e il dollaro. Ma la stragrande maggioranza dei migliori Titoli di Stato oggi offre rendimenti molto vicini allo zero.
Secondo uno studio della società di consulenza finanziaria Consultique, al netto di spese e tenendo conto dei rendimenti dell’anno, chi avesse avuto 1.000 euro da investire a ottobre 2008 avrebbe in tasca 17,49 euro in più se avesse puntato sull’oro, 24 euro in meno se li avesse lasciati su un conto corrente, 41 euro in più affidandoli a un conto remunerato e 134 euro in meno giocandoli in Borsa.
L’ex candidata alla vicepresidenza alle presidenziali americane 2008, Sarah Palin, su Facebook criticava così il programma economico di Obama: «Possiamo vedere le conseguenze della situazione nelle quotazioni dell’oro, che ha toccato un record in reazione ai timori sull’indebolimento del dollaro».
Il dollaro è il vero protagonista. Legato all’oro e piazzato al centro del sistema monetario mondiale con gli accordi di Bretton Woods del 1944, slegato dal metallo prezioso da Nixon, nel 1971, il biglietto verde ha vissuto più di mezzo secolo da ”bene rifugio”. Un periodo che appartiene sempre più al passato, dato che oggi il biglietto verde è messo in discussione come non era mai successo prima.
Nella storia del dollaro martedì 6 ottobre 2009 potrebbe restare come una delle giornate cruciali. Quel giorno sul britannico The Indipendent è uscito un articolo di Robert Fisk in cui – con diversi dettagli – si raccontava di incontri segreti tra i paesi del Golfo, la Cina, la Russia, la Francia e il Giappone; sedute dove si sta studiando l’addio al dollaro come valuta di riferimento globale. L’ipotesi sarebbe quelle di sostituirlo con una moneta virtuale prodotto di un paniere che includa il dollaro, l’oro, lo yen giapponese, lo yuan cinese, le valute del Golfo. Una moneta più stabile di un dollaro che non sembra più affidabile. Ci sarebbe anche una data perla detronizzazione del biglietto verde: anno 2018.
La Banca centrale saudita ha smentito la notizia, il governo del Kuwait ha detto che questi negoziati non esistono. Solo il ministro delle Finanze di Teheran, Shamseddin Hosseini, ha detto che l’argomento sarebbe stato discusso «occasionalmente ». Fred Hu, che dirige la divisione Goldman Sachs per la Grande Cina conferma che «delle discussioni informali possono avere avuto luogo».
Chi sta orchestrando l’operazione è la Cina. Prima del G20 di Londra (era il 2 aprile) il governatore della Banca centrale cinese, Zhou Xiaochuan, aveva diffuso un documento in cui chiedeva di utilizzare i Diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale al posto dei dollari per le transazioni internazionali. Un modo di garantire stabilità al sistema e allentarne l’americocentrismo. Attorno a questa posizione – che al G20 non è stata nemmeno discussa, almeno non in via ufficiale – la Cina sta creando un fronte di peso: Brasile, Russia, India, Francia, i Paesi arabi.
L’economista premio Nobel Paul Krugman: «Sarei molto sorpreso – dico sorpreso, non scioccato – se, da qui a dieci anni, il dollaro non fosse più la valuta leader».
Il New York Times: «Praticamente gli investitori vogliono comprare di tutto, purché non siano dollari».
Non è che il dollaro si possa abbandonare rapidamente, e gli stessi paesi che stanno lavorando alla sua detronizzazione non possono permettersi di provocare involontariamente un’eccessiva svalutazione della moneta americana visto che nei governi di tutto il mondo ci sono circa 3.000 miliardi di dollari, di cui quasi 2.000 solo in Cina, altri 700 in Giappone e 125 miliardi nei Paesi del Golfo.
Però, nell’attesa, le loro Banche centrali si stanno sbarazzando dei biglietti verdi, sostituendoli con oro. L’iraniano Ahmadinejad, per ritorsione contro le sanzioni economiche minacciate dagli Stati Uniti, ha annunciato l’avvio della conversione dei 54 miliardi di dollari tenuti nelle riserve di Teheran in oro e altre valute. Già a maggio la Cina si è liberata di 25 miliardi di dollari delle sue riserve valutarie – e Mosca di 20 miliardi – per comprare oro. Cifre basse, rispetto all’enormità delle riserve cinesi, ma capaci di tracciare la tendenza.
Comprare oro, oggi, è più facile di un tempo. L´avvento di Etf (Exchange Traded Fund) ed Etc (Exchange Traded Commodity) ha fatto sì che l’investimento nel metallo prezioso – come per molte altre materie prime – non riguardi più solo le industrie che producono e acquistano o le banche centrali. L’oro in questo modo è entrato stabilmente nei portafogli degli investitori istituzionali di tutto il mondo. Etf ed Etc sono normali fondi di investimento, con il vantaggio di commissioni minime, grande liquidità perché negoziabili in Borsa, e una quota che rispecchia fedelmente l´andamento del prezzo dell´attività che rappresentano.
Proprio Cina e Russia stanno comprando più oro possibile. Negli ultimi sei anni Pechino ha già incrementato le sue riserve auree del 76%, toccando quota 1.054 tonnellate al 30 giugno 2009. Avendo in cassa precisamente 2.134 miliardi di dollari di riserve valutarie, secondo qualche calcolo il governo cinese potrebbe spenderne meno della metà (il 43,2%) per acquistare tutto l’oro detenuto dagli altri governi e dalle istituzioni economiche internazionali.
Sono ipotesi per assurdo, ma in tanto cinesi e russi comprano. Il Fondo monetario internazionale ha annunciato che venderà una parte delle proprie riserve d’oro per aumentare i fondi a disposizione dei paesi più poveri. L’Istituto di Washington sta mettendo sul mercato un ottavo delle sue riserve, cioè 403 tonnellate d’oro, per un controvalore valutato sui 13 miliardi di dollari. Cina e Russia si sono dette disponibili a comprare tutto quell’oro. Nel frattempo nell’arco di cinque anni le Banche centrali europee smaltiranno altre 400 tonnellate.
E chi sta comprando non è ingenuo. Le maggiori società minerarie hanno annunciato la sospensione delle vendite a termine, che abitualmente effettuano per stabilizzare i ricavi futuri: evidentemente non vedono ribassi all´orizzonte. Gli analisti confermano che la crescita dell’oro non è finita qui. Le previsioni danno l’oro a 1.150 all’oncia entro la fine dell’anno. Deutsche Bank prevede che nell’ultimo scorcio del 2009 il prezzo dell’oro si manterrà sui livelli attuali per poi arrivare a 1.125 dollari nei primi tre mesi del prossimo anno e chiudere il 2010 oltre i 1.170 dollari. Più ampia l’escursione stimata da Standard Chartered, che si attende quotazioni attorno ai 1.200 dollari nel terzo trimestre del 2010, mentre l’esperto di materie prime, Jim Rogers, prevede nel giro dei prossimi dieci anni un picco di 2.000 dollari.
Tra quelli che ci guadagnano c’è la Banca d’Italia, che ha le quarte riserve auree del pianeta, dopo quelle di Stati Uniti, Germania e Fmi. Neutralizzata la tassa sul suo oro che era stata teorizzata dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti – nel testo definitivo è rimasta un’aliquota al 6% sulle plusvalenze su un massimo però di 300 milioni di riserve e solo dopo il parere della stessa Via Nazionale e della Bce – ora a Palazzo Koch si godono la crescita del valore delle riserve, che a fine agosto ammontavano a 52,775 miliardi di euro, in crescita di 420 milioni di euro rispetto alla fine del mese di luglio.