Carlo Grande, La Stampa 11/10/2009, 11 ottobre 2009
GUIDO RUOTOLO
ROMA
Chissà se arriverà prima la «giustizia» per impedire che qualche (ex) amministratore colluso si ritrovi ricandidato. E già, perché la decisione del Consiglio dei ministri di non sciogliere per mafia il Comune di Fondi ma di prendere atto delle dimissioni volontarie dei consiglieri avrà come conseguenza che a Fondi si andrà a votare a marzo. Con il rischio che i «tribunali» dei partiti non mettano da parte gli amministratori in odor di ”ndrangheta e camorra, i politici che sono soci dei malacarne.
C’è un’intercettazione ambientale nell’inchiesta della Procura di Roma che ha iniziato a far pulizia a Fondi, che lascia senza parole. Carmelo Tripodo - figlio di don Micu, il boss della ”ndrangheta ucciso nel ”76 nel carcere napoletano di Poggioreale - si è trasferito a Fondi dove gestisce, con il fratello Venanzio, rilevanti attività economiche nel settore delle pulizie, dei trasporti, del commercio degli ortaggi. Dunque Carmelo Tripodo (C) parla con il figlioletto Domenico (D).
C: «Hai capito allora cosa vuol dire mafioso? Mi devi comprendere bene quello che dico. Allora esiste la legge, c’è i carabinieri, c’è il Giudice… esiste un concetto di famiglia… mi segui, mi segui bene ?... Allora, la famiglia non si rivolge mai alla legge… ma fa giustizia per conto proprio… hai capito che ti voglio dire? Allora queste persone qua vengono chiamate della ”ndrangheta, ossia… per esempio… se uno ti fa un torto, io non vado dalla polizia a dire… hanno fatto un torto a mio figlio, prendo quello e lo ammazzo perché ti ha fatto un torto a te, hai capito come funziona?».
D: «Ah… ecco che cos’è la Mafia».
C: «Oh vuol dire questo! Poi ci sono, la mafia quella dei mafiosi che possono fare il traffico di droga e possono fare le cose brutte e dei mafiosi che sono uomini di onore. Che cosa vuole dire uomini di onore? Che ognuno invece di rivolgersi al sindaco, al maresciallo o... a tutti quanti si rivolgono a lui… di sapere… c’è mio figlio che non vuole andare a scuola, c’è mio figlio che gli servono i soldi, c’è mio figlio che gli devo trovare un impiego, compratevi qua, compratevi là, quindi fa tutto quanto la legge lui, senza avere nessun incarico».
D: «Quindi ci sono tanti tipi di mafiosi... e i mafiosi che dice la maestra sono quelli che non rispettano la legge!».
C: «Ma nessuno rispetta la legge».
D:: «i mafiosi…».
C: «E’ logico ! Sono contro la legge... perché hanno una forza proprio per farsi giustizia da soli».
D: «Quindi non è un caso che solo in Calabria, in Sicilia…».
C: «No, c’è la mafia russa... greca... ovunque vai c’è la mafia».
Carmelo e Venanzio Tripodo. Il tenente dei carabinieri Mario Giacona, componente della commissione prefettizia che ha indagato sul Comune di Fondi, chiedendo lo scioglimento per mafia, mette a verbale: «Esistono strettissimi rapporti fra i Tripodo e la famiglia Trani. Aldo Trani, pregiudicato sottoposto a misure di prevenzione, convive stabilmente da anni con Gemma Peppe, figlia di Franco, imprenditore nel settore dell’ortofrutta presso il Mercato ortofrutticolo di Fondi. Franco Peppe è stato testimone di nozze di Carmelo Tripodo che si è sposato con la sorella di Aldo Trani. Franco Peppe è cugino di primo grado del sindaco di Fondi Luigi Parisella. Un altro fratello di Franco, Luigi Peppe, è socio in affari con il sindaco e con il senatore Claudio Fazzone».
GIACOMO GALEAZZI
Finisce un incubo, è stato sventato un micidiale complotto politico contro il centrodestra», esulta il sindaco dimissionario del Pdl, Luigi Parisella. «Lo stato di diritto non esiste più, ormai l’illegalità è diventata la norma», insorgono le opposizioni. In mezzo la gente che discute a bassa voce mentre attraversa corso Appio Claudio per la tradizionale passeggiata del sabato pomeriggio. Il governo ha deciso di non sciogliere il municipio più chiacchierato d’Italia, ma qui neppure Sant’Onorato riesce a pacificare il comune del Sud Pontino accusato di infiltrazioni mafiose dal prefetto di Latina. Nelle stradine del centro ieri i festeggiamenti per il patrono hanno lasciato il posto a malumori, sospetti, opposte valutazioni delle notizie in arrivo da Roma. Sul sagrato dell’imponente chiesa di Santa Maria in Piazza, il giovane parroco don Guerino Piccione si sforza di predicare ottimismo. «Dobbiamo aver fiducia nelle istituzioni, la gente è stanca di sentirsi descrivere come il paese dei clan, abbiamo tante energie sane, pulite, estranee alla criminalità organizzata esportata qui trent’anni fa dai mafiosi al confino - spiega don Guerino -. Ora è meglio per tutti tornare alle urne, non se ne può più di un’atmosfera cupa e sfiduciata. Bisogna ripartire e guardare avanti invece di recriminare e scambiarsi accuse».
Poco lontano Luigi Parisella, primo cittadino uscente, è un fiume in piena, visibilmente sollevato dalla scelta fatta a Palazzo Chigi. «Il Consiglio dei ministri ha ristabilito la verità, cioè che la nostra amministrazione comunale non ha nulla a che vedere con i clan», si affretta a dire con la concitazione di chi si considera «finalmente fuori» da un tunnel angoscioso. «Dei 170 dipendenti comunali mai nessuno ha accennato a pressioni o irregolarità - precisa -. L’unico che mi ha accusato è stato un impiegato lavativo che ce l’aveva con me perché quando sono stato eletto gli ho tolto la dirigenza». Insomma "piccole vendette" strumentalizzate dalla politica. «Da anni la nostra provincia è decisiva nel Lazio per far vincere l’una o l’altra coalizione - punta l’indice il sindaco -. Fin dal 2006, in vista delle elezioni regionali, si è messa in moto una losca macchinazione che presto svelerò e denuncerò carte alla mano». E puntualizza: «La presenza mafiosa è sotto gli occhi di tutti, soprattutto nei settori dei traslochi e delle pulizie ma non ha mai interferito con la vita pubblica. Io non ho mai avuto paura e non ho mai ricevuto intimidazioni». Stavolta l’ex sindaco si tira fuori dalla contesa. «La politica mi ha nauseato, è diventata attacco personale, non intendo ricandidarmi - sbotta -. C’è gente che ha fatto carte false pur di eliminarmi fisicamente. Si sono persino inventati inesistenti connivenze con i figli dei calabresi mandati qui al soggiorno obbligato».
Un’autodifesa che non convince tutti. «La torta da spartire è il primo mercato ortofrutticolo d’Europa» ribatte il dottor Bruno Mattei, 48 anni, dirigente sanitario. E aggiunge: «A luglio ci sono stati 17 arresti eppure non è successo niente, anzi il governo ora fa finta di niente creando un precedente pericolosissimo». Rincara la dose l’avvocato Arnaldo Faiola, 55 anni, promotore di una lista civica vicina all’Italia dei valori. «Il ministro Maroni ha fatto come Don Abbondio, io gli avevo illustrato la tremenda situazione e, malgrado fosse sufficiente un giro per il paese, ha preferito chiudere gli occhi davanti all’evidenza - protesta -. Qui tutti sanno che per far valere un proprio diritto occorre raccomandarsi a un potente, a un amministratore locale, al senatore mammasantissima della zona. Ci si riempie la bocca con la sovranità popolare, però il popolo non è mai sovrano quando non si rispettano le regole, perciò stiamo pensando di ricorrere al Tar».
Da parte sua l’arcivescovo di Gaeta, monsignor Fabio Bernardo D’Onorio ha raccomandato ai sei parroci di far prevalere il senso della comunità. E ora ci spiega: «Ho spronato i miei sacerdoti a non schierarsi politicamente e a tenere un basso profilo, anche perché non si sa come va a finire questa vicenda. Il nostro specifico è predicare il Vangelo, poi tocca ai laici essere maturi nella fede ma anche nelle opere». In serata l’affollata processione religiosa in onore di Sant’Onorato sembra rasserenare gli animi per qualche ora, ma è solo una calma apparente.
I più sfiduciati sono i giovani. Qualcuno prova a reagire. «Limitarsi a prendere atto delle dimissioni di sindaco e consiglieri è un colpo di spugna, è come nascondere la polvere sotto il tappeto» lamenta Francesco Coltorti, 24 anni, assistente sociale e volontario dell’associazione Libera di don Ciotti. La maggioranza degli "under 25", però, è convinta che nulla possa cambiare. «Chi può se ne va, gli altri si abituano», sorride amaro Annalisa, studentessa ventenne con il simbolo pacifista sulla maglia.
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