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 2009  ottobre 11 Domenica calendario

 un lottatore, ti guarda fisso negli occhi e ti rendi conto che sa benissimo come combattere ogni giorno violenze, intimidazioni, pestaggi, uccisioni: «Le mafie sono un problema mondiale», dice Marcelo Freixo, poco più che quarantenne deputato dello Stato di Rio de Janeiro, da anni difensore dei poveri nelle favelas della metropoli brasiliana

 un lottatore, ti guarda fisso negli occhi e ti rendi conto che sa benissimo come combattere ogni giorno violenze, intimidazioni, pestaggi, uccisioni: «Le mafie sono un problema mondiale», dice Marcelo Freixo, poco più che quarantenne deputato dello Stato di Rio de Janeiro, da anni difensore dei poveri nelle favelas della metropoli brasiliana. Freixo, dal 2008 presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla diffusione delle «milicias» - i gruppi criminali paramilitari che controllano e spadroneggiano in vaste aree della città - vive sotto scorta. Nel maggio di quest’anno è stato scoperto un piano per assassinare lui e un suo collaboratore, per loro Amnesty International ha chiesto un’urgente azione internazionale. Il suo viaggio nei parlamenti europei (Spagna, Germania, Francia, Olanda) e per la prima volta in Italia, dove pochi giorni fa ha parlato alla commissione Esteri della Camera (a Torino è ospite di Cinemambiente) è dunque l’occasione per una forte denuncia, ma anche un modo per alleggerire almeno per qualche ora l’enorme tensione provocata dai risultati della sua inchiesta: il rapporto finale della Commissione da lui fortemente voluta ha provato il coinvolgimento a vari livelli dello stato di Rio nelle attività illegali dei gruppi paramilitari e ha evidenziato il loro crescente potere economico. «E’ stata votata da tutti i deputati della città – sottolinea Freixo, - dimostra il coinvolgimento di oltre duecento persone e chiede di indagare su altre novecento. Durante le indagini diversi leader delle milicias sono stati arrestati, alcuni parlamentari sono stati deposti e qualcuno è stato anche condannato». Rio non è un posto qualunque, ospiterà tra l’altro le Olimpiadi del 2016. Figurarsi quanto Marcelo sarà simpatico a certi gruppi di potere, conniventi (a dir poco) con la delinquenza organizzata: «A Rio c’è la mafia - ribadisce Freixo -. Fino a qualche anno fa, diciamo fino al 2004, i capi delle milicias, che sono strutture mafiose composte da gruppi di agenti di polizia, guardie carcerarie e vigili del fuoco che hanno occupato il posto delle bande di narcotrafficanti dalle favelas adducendo come motivo l’offerta di sicurezza, cercavano l’appoggio dei politici; poi alcuni degli stessi capi delle milizie si sono candidati come consiglieri comunali, e uno, nel 2006, è stato eletto deputato». Le milicias, spiega Marcelo Freixo, dominano militarmente ed economicamente duecento territori di Rio de Janeiro, non solo le favelas. In genere vampirizzano le aree più povere (non certo quelle turistiche), ad esempio monopolizzando il trasporto alternativo (metro e autobus non sono molto efficienti in periferia), gestendo la rete di furgoncini e microbus usati dai poveracci per andare a lavorare. Grazie al solo trasporto alternativo fatturano ad esempio 60 mila euro al giorno. Ma controllano anche la tv via cavo e la distribuzione del gas in bombole. Senza contare il classico «pizzo», la tassa sulla sicurezza degli abitanti, che in Italia conosciamo fin troppo bene. La «milizia» più famosa, nel quartiere di Campo Grande (area Est di Rio de Janeiro), fattura quasi due milioni di euro al mese. Assegna posti negli enti pubblici, dalle scuole al commissariato. I guadagni, naturalmente, sono reinvestiti in armi, droga, nel finanziamento delle campagne politiche. Un cancro per la democrazia che mira al controllo del territorio, dei voti, delle risorse economiche. Suona familiare, vero? «Sì – spiega Freixo - in Italia mi sono reso conto più che in altri Stati europei di essere capito. D’altra parte la mafia di Rio, come quella siciliana, come la corruzione a Teheran o in Cina o in Brasile non è solo un problema dei singoli Stati. Il Brasile, in ogni caso, ha gravissimi problemi di sviluppo proprio perché non risolve i problemi di giustizia e disuguaglianza sociale. Lula, in questi anni, non è riuscito a fare la riforma agraria. Mi sembra molto più vicino all’agro-business, a un modello di sviluppo sbagliato». E alla violenza della forza pubblica, piuttosto «tradizionale» in Brasile, si deve aggiungere quella - nelle aree rurali – contro i senza terra e le popolazioni indigene, costrette a sgomberi forzati da parte dei proprietari terrieri. Per inciso, chiediamo anche cosa pensa della vicenda Cesare Battisti: «Non deve essere estradato», dice, perché lo ritiene un perseguitato politico. Il suo coraggio e la sua determinazione hanno indotto più persone ad ascoltarlo: «E’ triste – dice riferendosi al parlamento di Rio de Janeiro – che le nostre richieste siano state accolte solo nel giugno dell’anno scorso, dopo che erano stati torturati e uccisi due giornalisti del quotidiano ”O dia” che stavano investigando sulle milicias. Solo allora la stampa ha cominciato a esigere dal governo più attenzione. Finché ad andarci di mezzo erano i poveri o la gente comune non se ne preoccupavano affatto». Ora qualcosa si sta muovendo. E Freixo è in prima linea. Gli auguriamo buona fortuna, lui ci stringe la mano e sussurra: «Ce n’è bisogno». Stampa Articolo