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 2009  ottobre 10 Sabato calendario

«Il pomodoro oggi si ritrova in ogni sugo, an­che dove non c’entra nulla, come sul pesce o nel nero di seppia

«Il pomodoro oggi si ritrova in ogni sugo, an­che dove non c’entra nulla, come sul pesce o nel nero di seppia. Il pomodoro è il vero sim­bolo nazionale. Se un italiano ha una mac­chia sulla camicia, è una macchia di pomodoro». La vittoria del pomodoro. Sarebbe stato un buon titolo, perché l’intuizione è secca, brillante e convincente: l’Italia s’è meridionalizzata. Non è un’accusa, un rimpianto o una denuncia, quella del piemontesissimo Aldo Cazzullo, auto­re di L’Italia de noantri (Mondadori): è una constatazio­ne. «I miei nonni non avrebbero mai mangiato una pizza. Non soltanto hanno chiuso gli occhi senza mangiarla; non l’avrebbero mai mangiata, per quanto verso la fine della loro vita, nel centro di Alba, quasi sotto casa, una famiglia di immigrati dal Sud avesse aperto una (ottima) pizzeria, con i tavolini fuori». L’Italia de noantri attacca così, sce­gliendo la pizza, prodotto in­telligente e popolare, come esempio di un fenomeno inarrestabile: ormai siamo tutti meridionali. Il fulcro del libro si trova in un’affermazione a pagina 42: «Roma e il Sud, sempre più simili tra loro, han­no acquisito una centralità, im­posto un’egemonia culturale, innestato sul particolarismo diffuso anche al Nord uno stile di vita rilassato, a volte in­dolente, poco disposto al sacrificio, poco interessato al be­ne comune». Badate bene: Cazzullo non ha soprassalti leghisti – non mostra alcuna indulgenza per il Nord, come vedremo – e prova tenerezza, in fondo, per la società che descrive. Il pie­montese in lui è sedotto dalla passione, dall’inventiva, dal­l’intuizione; ma vede dove ci stanno portando queste cose, slegate dall’onestà individuale e dal senso civico. Allo stes­so modo è attratto, quasi controvoglia, dal fascino escatolo­gico delle tonache, che dentro e fuori il Vaticano riproduco­no molti meccanismi italiani: la generosità egocentrica dei «’pretacci’ di strada», il machiavellismo morbido di alcuni cardinali. L’Italia de noantri è più un pamphlet che un libro, e que­sto non è riduttivo, anzi: l’autore ha un’idea, e cerca di con­vincerci. Il primo capitolo si chiama «Il Diavolo sulle Lan­ghe »: titolo pavesiano, citazioni di Beppe Fenoglio, sapori simili a quelli di un libro di Giorgio Bocca, forse il suo più bello: Il provinciale . C’è molta dolcezza, nel ricordo; c’è tan­ta PULCINELLA (ILLUSTRAZIONE DI LELLO ESPOSITO) amarezza, nel racconto di alcune vicende recenti. Per esempio la gestione del Premio Grinzane da parte di Giulia­no Soria, poi finito in carcere («Scrittori, critici, giornalisti aviotrasportati ai Caraibi, felici come bambini in gita tra una conferenza-stampa, un mojito e un bagno sulla barrie­ra corallina»). Scrive Cazzullo: «Il ’diavolo’ Soria, le cui ma­­lefatte saranno come quasi sempre ridimensionate nei pro­cessi, indica come pure sulle colline è caduta ogni difesa: nel nome delle Langhe e di Cavour, anche il vecchio Pie­monte – come da sempre l’eterna Napoli borbonica, co­me l’infida Roma papalina – oggi può felicemente vende­re pastiglie per trasformare l’acqua in benzina al mondo intero, Nobel inclusi». L’Italia dei noantri è «la famiglia, il campanile, il clan, il partito, la fazione, la corporazione, la curva da stadio, il mandamento mafioso». Un euro su tre che circola nel no­stro Paese è frutto di affari illegali o criminali – e questa, scrive l’autore, «non è l’economia del Sud, è l’economia ita­liana ». Prosegue: «Il degrado dei rapporti umani, la scorte­sia dilagante, la mercificazione dei valori sono forse esclu­siva di una porzione del territorio nazionale? Non avete avuto sentore che a Bolzano come a Lecce, in Basilicata co­me in Valle d’Aosta (la regione che ha il record dei presi­denti arrestati per corruzione: quattro di fila) la politica sia diventata la prosecuzione degli affari con altri mezzi?». La politica: nel libro c’è, ma non domina. Come se l’auto­re fosse consapevole che è un riflesso dell’ Italia de noan­tri , non la causa. A Berlusconi è dedicato uno dei sette capitoli («Il Cavaliere di Napoli»): un modo di dichiararlo un meridionalissimo settentrionale, qual è. Scrive Cazzullo: «Berlusconi, a differenza di Mussolini, non ha mai preteso di cambiarci. Lui ha aderito agli italiani. Ha interpretato lo spirito profondo del Paese, ha dato al linguaggio goliardico da spogliatoio maschile la dignità di linguaggio pubblico, ha detto le cose che i democristiani osavano a malapena pensare, ha rivendicato ciò che prima si taceva, ostentando quello che si faceva di nascosto. Libero il lettore di decidere se sia una conquista o una caduta». E la Chiesa, cosa pensa di lui? «La maggioranza dei prelati – spiega Cazzullo con amabile perfidia – lo vede come un moderno Eliogabalo, imperatore pagano con cui venire a patti». Avere una tesi di fondo – la meridionalizzazione galoppante – non impedisce all’autore escursioni felici nell’Italia che incontra. Roma, dove l’autore vive da undici anni, è protagonista di alcune delle pagine più indovinate. Roma che giocherella col fascismo. Roma che «sulla Nomentana, alle 8 del mattino, pare Jaipur». Talvolta sono citazioni, co­me quelle iniziali, appaiate e memorabili, di Lucio Anneo Seneca e Fabrizio Corona, i due estremi dello stile italiano. Talvolta è uno scatto d’indignazione, a dimostrazione che ci si può accorgere di una tendenza, ma non è obbligatorio accettarla. «A Roma i permessi per handicappati sono 63mila, associati a 170mila targhe. Praticamente, ci sono più disabili nella capitale che in tutta l’Italia alla fine della Grande Guerra». Per erigere la sua costruzione, per spiegare che i mecca­nismi del Sud (buoni e meno buoni, inquietanti e angelici) hanno ormai segnato la convivenza italiana, l’autore cerca mattoni dovunque. E li trova. Dall’alimentazione agli affari, dalla storia alla religione, che nel libro ha un peso impor­tante («Padre Pio è ormai il patrono-ombra d’Italia»). Re­sta la questione di fondo, quella che molta brava gente e alcuni successi non possono cancellare: «Tutti i Sud nel mondo ce l’hanno fatta (l’Irlanda, la Spagna, il Sudamerica di Lula e della Bachelet); soltanto il nostro Sud non riesce a farcela, e si è convinto che non ce la farà mai». Il libro non è disperato. brillante e amaro. L’editore aveva proposto come titolo L’Italia s’è desta , ma l’autore – saggiamente – ha rifiutato. L’Italia de noantri , qua e là, mostra motivi di speranza. Cazzullo, nelle ultime pagi­ne, li elenca: «I preti sociali, i medici, i ricercatori; i nuovi italiani, giovani o immigrati che siano; gli imprenditori che reggono il peso della crisi e i loro dipendenti che colti­vano il gusto di una lavoro ben fatto. Il Sud in cerca di ri­scatto e in genere i tanti italiani che non si sono rassegnati al corso delle cose. Molti sono donne». Ma la sensazione è che l’autore voglia mostrarsi ottimista; e debba , invece, constatare che le cose non vanno molto bene. Riassumen­do. Aldo Cazzullo ha prodotto un trattato di antropologia culturale, uno dei migliori di questi complicati anni Zero. Ma guai a dirlo, altrimenti gli demoliamo le vendite, e sa­rebbe un peccato.