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 2009  ottobre 10 Sabato calendario

ROMA – C’erano una volta due bimbi inglesi, avevano po­chi mesi e da un orfanotrofio di Londra furono adottati dal­la principessa Orietta Doria Pamphilj e dal marito Frank Pogson

ROMA – C’erano una volta due bimbi inglesi, avevano po­chi mesi e da un orfanotrofio di Londra furono adottati dal­la principessa Orietta Doria Pamphilj e dal marito Frank Pogson. Non erano fratelli, lo divennero. Alla femmina fu dato il nome di Gesine, la mamma di Orietta. Il ma­schietto fu chiamato Jona­than. Orietta era una nobil­donna particolare, aveva il nu­mero di telefono sull’elenco, anche se spesso rispondeva: «No, la principessa non c’è». Si occupava più di cani ciechi che di salotti. Quando, nel 2000, Orietta se ne andò, quei due bimbi furono chiamati principessa e principe e si sco­prirono unici eredi di un’in­commensurabile fortuna. Og­gi Gesine, che ha 45 anni e Jo­nathan, 46, non si parlano più, s’incontrano in tribunale. Questione di eredità, si di­rebbe. Qui c’è di mezzo Palaz­zo Doria a Roma, con 100 ap­partamenti e 50 negozi e uffici affittati e una collezione con Tiziano, Caravaggio, Velázquez, Lotto, Parmigiani­no, Rubens, Bruegel il vec­chio, 650 opere in tutto. Poi, il Collegio Innocenziano di piaz­za Navona e la tenuta di Testa di Lepre. E il Palazzo del Prin­cipe a Genova, con Sebastiano del Piombo e arazzi del ”400. Il problema, però, non riguarda Gesine e Jonathan, ma i loro eredi. Gesine ha quattro figlie, dai 15 ai 5 anni. Jonathan, che ha partecipato al Gay Pride di Genova ed è legalmente uni­to, in Inghilterra, con un brasi­liano, Elson Edeno Braga, ha una figlia e un figlio, di tre e due anni. Ottenuti, a quanto si discute in tribu­nale (il velo è stato squar­ciato ieri dal Secolo XIX ), con la tecnica dell’«utero in af­fitto », proibita e punita in Ita­lia (reclusione da 3 mesi a 2 anni, multa da 600 mila a un milione di euro). Gesi­ne chiede al tribunale di decidere se la paternità di Jonathan sia da disco­noscere e il tribunale dovrebbe decidere en­tro fine ottobre. Il ricorso ai giudici viene spiegato da Gesine con l’esi­genza di tutelare la sua prole, ma anche i nipoti nuovi arriva­ti. Che avrebbero due madri a testa, una che ha «offerto» l’utero e l’altra l’ovulo. Nipoti – Emily e Filippo Andrea (co­me il nonno) – che per la leg­ge italiana non sarebbero di nessuno. O meglio, qui si tute­lano i diritti della madre, non quelli dei donatori. Jonathan – secondo Gesine – avrebbe dovuto adottare i piccoli, dato che in Inghilterra anche i sin­gle o le coppie gay possono farlo. Ma così... Che pasticcio diventerebbe la successione – sostengono i legali di Gesi­ne – con tanta gente a riven­dicare diritti su pinacoteche, biblioteche, terreni, immobi­li? Al giudice si chiede di dire una parola chiara sullo status dei due bambini. Andava tutto bene fra Gesi­ne e Jonathan, fino a tre anni fa. Jonathan raccontava scene d’infanzia: «Da piccolo, con Gesine, ci rincorrevamo e sci­volavamo sul marmo, ma la nostra passione era cavalcare la pecora tardo ellenistica, che nasconde Ulisse da Polife­mo... ». Poi Jonathan ha voluto diventare padre con l’«utero in affitto». Emily è nata in Kansas, Filippo Andrea in Ucraina. E tutto si è rotto, so­no venute in luce differenze di carattere. Gesine è una don­na semplice e devota, somi­glia un po’ alla principessa Orietta. Suo marito è Massimi­liano Floridi, esperto d’arte, ordinato di recente diacono, insegna il Vangelo e dà il Bat­tesimo. Vivono più nella cam­pagna di Guarcino (Frosino­ne), che a Palazzo. Fanno la spesa al supermercato e diffi­cilmente Gesine veste come una principessa. Jonathan ha vissuto con maggior brio. Giacche viola o nere a righe gialle, un ristorantino a Isla Margarita in Venezuela, lau­rea in storia dell’arte, anni di lavoro da Sotheby’s, feste con orchestre messicane o senega­lesi. Il suo compagno, Braga, ha la battuta pronta: «Gioco al Superenalotto, se vinco ti ri­compro Palazzo Doria», ha detto a proposito delle traver­sie giudiziarie. Già, negli ulti­mi tempi Jonathan è stato messo un po’ da parte anche dalla gestione del patrimonio artistico. Resta la sua voce nel­l’audio- guida che accompa­gna i turisti attraverso il per­corso fantastico della Galleria Doria Pamphilj. Andrea Garibaldi «Madre in affitto, ma il legame resta» MILANO – «Una storia complessa, con interferenze di carattere etico». La premessa è d’obbligo per Giovanni Liotta, notaio a Torino, componente della Commissione affari europei e internazionali del Consiglio nazionale del notariato: «Per questo credo che non sia il momento di dare certezze assolute – spiega il giurista ”, ma qualcosa si può delineare». Per esempio? «Innanzitutto va precisato che il legame padre-figlio è innegabile se è accertata la paternità, nel senso del Dna. In tal caso ogni figlio naturale, nato fuori dal matrimonio, è erede». Significa che non conta come i figli sono stati concepiti? «Nella situazione specifica, il caso sollevato nella famiglia Doria Pamphilj, l’essere ricorsi all’utero in affitto, benché in Italia non sia legale, non toglie nulla al legame padre-figlio. Questo è incancellabile». E le conseguenze penali? «Credo che siano due questioni separate. Si può essere sanzionati per il comportamento illecito, ma la procreazione resta, la discendenza è un fatto». Cosa succederà con le madri in affitto? Potrebbero vantare diritti sui bambini, come ipotizza Gesine Doria Pamphilj? «In generale chi offre l’utero in affitto non ha diritti sui figli partoriti. Bisogna sempre vedere che cosa prevede la legislazione dei loro Paesi». Grazia Maria Mottola