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 2009  ottobre 10 Sabato calendario

Poche settimane e lo scenario attor­no a Marina Berlusconi sembra essere cambiato ulteriormente. «In peggio» sussurra

Poche settimane e lo scenario attor­no a Marina Berlusconi sembra essere cambiato ulteriormente. «In peggio» sussurra. «Ci siamo visti un mese fa, ri­corda? Al termine di un’estate non tran­quilla. Immaginavo però che si potesse guardare al futuro con un pizzico di otti­mismo in più, pensando a come recupe­rare dopo una crisi economica e mon­diale durissima. Credevo che allora si fosse toccato il fondo, non era così, pur­troppo ». Per un momento nel salotto della sua casa scende il silenzio. Su un tavolino accanto al divano la foto del premier, suo padre. Lei continua: «Non pensavo che l’indignazione di allora po­tesse aumentare. Sbagliavo. Come si fa ad accettare una situazione come que­sta, quasi una caccia all’uomo? C’è un pezzo di Italia, piccolo ma pericoloso, che non riesce a rassegnarsi, ad accetta­re il fatto che la maggioranza degli ita­liani vuol essere governata da Silvio Berlusconi». Lo dica. Anche lei pensa al complot­to, alla grande macchinazione con obiettivo finale la morte politica del presidente del Consiglio? Pensa a que­sto? «Penso che contro mio padre le stia­no provando tutte, da quin­dici anni, ma negli ulti­mi mesi l’attacco si è fatto ancora più violen­to e indecente. Hanno cercato di distruggerlo sul piano personale, con le ca­lunnie. Ora stanno tentando anche di colpirlo sul piano economico, con quel­la scandalosa decisione sul lodo Monda­dori. E ancora, utilizzando la via giudi­ziaria, con la bocciatura del lodo Alfa­no ». Ma quella non è la via giudizia­ria. una decisione della Corte co­stituzionale. «Ma secondo lei che cosa devo­no pensare gli italiani quando la Consulta sostiene l’esatto contrario di quel che diceva cinque anni fa? E poi, non vede che il fronte da cui le critiche, anche dure, normalmen­te dovrebbero arrivare, quello della politica, non dà segno di vita?». A sentire suo padre però la sini­stra è ancora potentissima. «Mi pare evidente, ma non fa un’op­posizione ’politica’. La politica non c’è più, ci sono invece un gruppo editoria­le, qualche tribuno televisivo, un grup­po di toghe, un po’ di professoroni e grand commis : tutte persone che però non hanno avuto alcuna investitura po­polare » . Loro no, ma il Pd sì. E anche Di Pie­tro... «Lasci stare Di Pietro. Ogni volta che parla riesce a compiere un miracolo. Quello di farmi vergognare profonda­mente, per un attimo, di essere italia­na » . Un conto è vergognarsi, un conto è parlare di golpe strisciante. «Nelle dittature mandano i carri ar­mati nelle piazze, in una democrazia co­me la nostra che qualcuno vorrebbe pe­santemente assediare, si colpisce di fio­retto, si usano metodi più subdoli, for­malmente leciti ma per questo ancora più insidiosi. L’obiettivo però è lo stes­so: stravolgere il verdetto degli eletto­ri » . Se permette le sue parole assomi­gliano a un comizio. «No, non faccio comizi e non mi oc­cupo di politica, mi occupo di aziende. Ma guido un gruppo condannato, a di­stanza di vent’anni, a pagare 750 milio­ni di euro da una sentenza che è un ve­ro e proprio scandalo giuridico. E a chi dovrebbe versarli questa montagna di soldi il gruppo che fa capo al presidente del Consiglio? Proprio all’editore del giornale che si è assunto il compito di distruggere il premier, con ogni mezzo. Tutto questo ha a che vedere con la poli­tica? A me pare proprio di sì. E allora che cosa dovrei fare, star zitta?». Certo fa impressio­ne, è come se si fosse fatto un balzo indie­tro di quasi vent’anni, Berlusconi contro De Benedetti. «Direi De Benedetti contro Berlusco­ni. Mio padre è un uomo incapace di portare rancore. Mentre io credo che nei suoi confronti, al di là di interessi e manovre di potere, giochi anche un sen­timento corrosivo e frustrante come l’invidia». L’invidia? Cosa c’entra l’invidia? «Beh, da una parte c’è un uomo che dal nulla ha inventato la tv commercia­le, dall’altra un signore che ha distrutto uno dei più gloriosi marchi industriali italiani. Da una parte c’è un uomo che entrerà nei libri come il leader più lon­gevo e amato nella storia della Repub­blica, dall’altra un signore che si rigira tra le mani la tessera numero 1 di un partito mai davvero nato». Ma... «E sa che cosa li rende profondamen­te diversi? Mio padre è un imprendito­re vero, che crea ricchezza per tutti; l’In­gegnere rappresenta invece un capitali­smo cannibalesco che ambisce a vince­re solo per sé e a far perdere tutti gli al­tri. In realtà, De Benedetti avrebbe volu­to essere come Berlusconi, solo che non ci è mai riuscito». Non crede di usare parole troppo dure? «Parole che uso solo per chi, da me­si, sta tentando un sistematico linciag­gio nei confronti del presidente del Con­siglio, gridando paradossalmente a mezzo mondo che la libertà di stampa è in pericolo. Tranquilli, non è a rischio, ma per fortuna c’è ancora la libertà di parola e di pensiero, che io rivendico fi­no in fondo». Vada per le parole ma resta sempre la condanna di un giudice sulla vicen­da Mondadori. «Non sono un’esperta di diritto, ma ho passato una notte intera a leggermi la sentenza, l’ho commentata con i no­stri avvocati, e davvero non trovo altro termine per definirla: è un vero scanda­lo giuridico, un verdetto contro ogni buon senso». Dove sarebbe lo scandalo? «Intanto una premessa: nel ”91 l’ac­cordo seguito alla bocciatura del lodo attribuì a un De Benedetti soddisfattissi­mo una parte rilevante della Mondado­ri di allora: la Repubblica , L’Espresso e i 18 quotidiani locali della Finegil». Venga alla sostanza. «Il giudice civile Raimondo Mesiano ha celebrato in realtà un suo nuovo pro­cesso penale, arrivando a conclusioni cui neppure in sede penale si era giun­ti. E così, in base al solito ’non poteva non sapere’, mio padre, mai nemmeno rinviato a giudizio, diventa un corrutto­re, mentre diventa ingiusta la sentenza della Corte d’Appello di Roma del ”91 che dando torto a De Benedetti, di fatto consegnava il controllo della Mondado­ri alla cordata capeggiata da Finin­vest » . Ma poi un giudice di quella Corte è stato condannato per corruzione. «Però i giudici erano tre. E gli altri due hanno testimoniato che di quel ver­detto avevano condiviso il contenuto, in piena autonomia. Insomma la sen­tenza della Corte d’Appello era assoluta­mente giusta». Sta di fatto che Mesiano si è convin­to del contrario. «Non proprio. Tira fuori dal cilindro il calcolo delle probabilità: non sono ne­cessarie prove certe, basta siano proba­bili. E quindi: nonostante i due magi­strati romani dicano di no, ’è assai pro­babile’ che in realtà il terzo giudice del­la Corte d’Appello li abbia influenzati, e ancora, ’è assai probabile’ che se non li avesse influenzati la Corte avrebbe deci­so in modo diverso, dando ragione a De Benedetti. Non è certo, ovviamente, ma ’è assai probabile’». Beh, assai probabile è quasi certo. «Ma andiamo... Proprio questo è il punto più sconcertante. Il giudice civile si mette a fare anche le percentuali del probabile. Quante probabilità avrebbe avuto De Benedetti di vincere? L’80%, stima Mesiano, e non si capisce perché un 80% e non invece un 30 o un 50%. Sta di fatto che concede alla Cir l’80% di quello che aveva chiesto come risarci­mento. Prendendo per oro colato i cal­coli fatti dalla stessa Cir, senza neppure chiedere una consulenza tecnica. Deci­de una condanna da 750 milioni di eu­ro così, e tutto da solo. Che questo sia definito con due termini, ’giustizia’ e ’civile’, mi suona davvero paradossale. Per usare un eufemismo». Tutto politico anche qui? «Mio padre tra processi e indagini è stato chiamato in causa 26 volte. Ma a suo carico non c’è una sola, dico una so­la, condanna. E se, come si dice, basta­no tre indizi per fare una prova, non le sembra che 26 accuse cadute nel nulla siano la prova provata di una persecu­zione? ». Ma si sta parlando della magistratu­ra. Non possono essere tutte toghe rosse. «Nella magistratura ho grande fidu­cia, e per questo, sapendo che la Finin­vest ha sempre agito correttamente ed è nel giusto, non ho dubbi sul fatto che in appello ci daranno ragione. So bene che la stragrande maggioranza dei ma­gistrati fa il suo lavoro senza pregiudi­zi, spesso tra mille difficoltà, un lavoro che non porta ai talk show o alle carrie­re di partito». E allora dov’è la persecuzione? « fuor di dubbio che tutto questo viene oscurato da un gruppetto di ma­gistrati che usano la toga per fare politi­ca. Una minoranza, certo, che però si occupa solo di cose che fanno clamore, e che può provocare danni gravissi­mi » . Però la Fininvest non ha problemi, è in salute, è liquida. «Mi colpisce la superficialità di certe analisi: in fondo, sento dire, questi sol­di la Fininvest ce li ha in cassa, e poi ba­sterebbe vendere qua, racimolare lì, ri­sparmiare là... Ma qui non stiamo par­lando delle tasche di Silvio Berlusconi o della sua famiglia, stiamo parlando di un gruppo che è una delle realtà im­prenditoriali più importanti del Paese, che dà lavoro a ventimila persone, che ha sempre pagato fior di tasse e che ha importanti presenze all’estero». Resta quella sentenza e i 750 milio­ni di risarcimento. «Non voglio nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi scellerata di dover tirare fuori una cifra del genere. Stiamo parlando di una holding cui fan­no capo società quotate del calibro di Mediaset e Mondadori, società solide e ben gestite, ma una mazzata da 750 mi­lioni di euro farebbe tremare chiun­que. L’improvvisa mancanza di risorse finanziarie così importanti metterebbe a rischio le nostre possibilità di svilup­po » . E allora? «Pensi a Mediaset, ai suoi notevoli impegni nelle tecnologie e nei contenu­ti, al suo sviluppo internazionale. Tanto per non dimenticarlo, Mediaset sta sfi­dando un colosso come Murdoch e ne ha già incrinato il monopolio. Pensi a Mondadori, che in questi 18 anni ha scritto una storia di successi e libertà, e che oggi sta crescendo all’estero espor­tando il made in Italy. Tutto questo vuol dire una sola cosa: investimenti e ancora investimenti e ancora investi­menti ». Questo significa che ridurrete gli in­vestimenti? « ovvio che faremo di tutto per so­stenere al massimo le aziende e la loro crescita, ma non posso non dire con for­za e anche con tanta rabbia che questo provvedimento sconcertante e del tutto ingiusto ci crea serissimi problemi. E il termine rabbia è proprio quello corret­to: non sta né in cielo né in terra che il lavoro di ventimila persone sia colpito in modo così vile, così sleale, così pe­sante ». E suo padre? Questi sono stati gior­ni difficili e tesi. «Proprio con lei, un mese fa, avevo parlato di colpi sotto la cintura, di pu­gnalate alle spalle e del fatto che mio pa­dre avesse per fortuna i riflessi pronti. Beh, in queste settimane si è visto anco­ra di peggio. Ma chi sogna la spallata si deve proprio rassegnare: mio padre non solo ha i riflessi pronti, ha anche nervi d’acciaio». L’ha sentito anche in queste ore, im­magino. Che cosa vi siete detti? «Ogni volta che lo chiamo per tener­lo su, per consolarlo, alla fine è sempre lui che consola me. Come sanno fare so­lo i grandi uomini». Daniele Manca