Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 10 Sabato calendario

ROMA Una parola dietro l’altra, evitando con cura le trappole della banalità. Fiorentina, trent’anni, padre tedesco e madre umbra, Alba Rohrwacher è diversa da tutte le altre

ROMA Una parola dietro l’altra, evitando con cura le trappole della banalità. Fiorentina, trent’anni, padre tedesco e madre umbra, Alba Rohrwacher è diversa da tutte le altre. E non solo per via del cognome, spesso fatalmente storpiato, o per la maniera attenta con cui si racconta. E’ diversa per il fisico esile e asessuato, per lo sguardo timido e insieme penetrante, per il profilo imperfetto che dice tutto, anche quando la bocca è serrata. Come lei, così bionda, così impacciata, così vulnerabile, non c’è nessuna. Per questo, da quando è apparsa sulla scena del cinema italiano, dopo il diploma al Centro Sperimentale, non ha smesso di girare film e di ricevere premi, oltre che applausi e lodi dal pubblico e dalla stampa. In questo momento, solo per restare al presente e al futuro prossimo, l’attendono tre appuntamenti importanti. Il ruolo di Alice, protagonista del romanzo fenomeno di Paolo Giordano La solitudine dei numeri primi che arriva sullo schermo con la regia di Saverio Costanzo. Quello dell’amante di Pierfrancesco Favino in Cosa voglio di più di Silvio Soldini. Quello di Beniamina nell’Uomo che verrà, il film di Giorgio Diritti sulla strage di Marzabotto in concorso al Festival di Roma che s’inaugura giovedì. «Sono molto fortunata - minimizza lei -. Sicuramente mi piace provare a interpretare cose che mi sono distanti, ma soprattutto è stato importante il desiderio di molti registi di sfruttare aspetti diversi di me stessa. Sia fisici, che emotivi». Con una costante, quel senso di disagio che torna in tutti personaggi ed è parte integrante della sua personalità: «Io sono sempre in difficoltà, anche nella vita vera. Il disagio mi appartiene, cerco di combatterlo, ma è genetico. E come se, essendo nata bionda, cercassi di diventare mora. Potrei tingermi, certo, ma i capelli chiari non smetterebbero mai di ricrescere e venir fuori». Nessuna, meglio di lei, poteva raccontare, nel Papà di Giovanna di Avati, la storia di una ragazza infelice e disturbata che uccide per gelosia la compagna di scuola: «La sceneggiatura partiva da un’affermazione, Giovanna è una ragazza orrenda. Per me è stato uno spunto lavorativo importante. Mi sono sentita, paradossalmente, molto più libera, anche di giocare con i miei difetti». Nessuna, meglio di lei, potrà assorbire i sentimenti difficili di Alice, segnata da un’infanzia terribile che le ha lasciato cicatrici indelebili, nel corpo e nella mente: «Si, ho letto il romanzo, mi è piaciuto molto, e sono naturalmente contenta di essere nel film». Basta? Certo che no, se non fosse per via dell’«omertà totale» che per ora, dice Rohrwacher, caratterizza il progetto, cose da dire ce ne sarebbero eccome: «Ci stiamo preparando. E comunque è sempre difficile parlare di un film prima di averlo fatto perché solo dopo, quando l’hai finito, capisci esattamente che cos’è». Anche stavolta, Rohrwacher farà appello alle sue doti che poi sono anche un po’ maledizioni: «Quello che per un attore può essere un ostacolo, una fatica, per un regista, e quindi dopo, sullo schermo, può invece trasformarsi in un valore aggiunto». Magari è difficile ammetterlo, però spesso è così: «Quando mi rivedo e mi ritrovo, soffro sempre. Noto il difetto, le parti che non mi piacciono, le insicurezze che non amo. Quando, invece, riesco a non pensare che quella lì sono io, mi accetto, e mi piace osservare il modo in cui l’occhio di un’altra persona mi ha trasformata». Nel film di Diritti, Rohrwacher ritrova l’eco della campagna in cui è cresciuta, divisa tra serenità e voglia di scappare. Il respiro della storia è epico, corale: «La prima cosa che mi ha colpito leggendo la sceneggiatura, è stato il fatto che pur ricostruendo una vicenda tragica, era piena di vitalità. Il regista è riuscito a descrivere quei luoghi, quella comunità, in modo concreto e insieme poetico». Come tutti gli altri personaggi, Beniamina parla in dialetto bolognese: «Abbiamo studiato a lungo, soprattutto io e Maya Sansa. Penso che la scelta di girare in bolognese sia stata coraggiosa, ma anche fondamentale per restituire il massimo di autenticità. Il dialetto è una ricchezza che va preservata». Dell’eccidio nazista (29 settembre ”44), l’attrice sapeva, già prima del film: «Le guerre, purtroppo, ci sono anche oggi, così come gli odi e le repressioni efferate. E’ importante raccontare i fatti del passato per non dimenticare, e per far sì che certi orrori non si ripetano».