Alessandro Alviani, La Stampa 10/10/2009, 10 ottobre 2009
LIPSIA
Keine Gewalt, nessuna violenza. Vent’anni fa a Lipsia furono due parole a mettere in ginocchio la Ddr e a gettare le basi per l’apertura, un mese dopo, del Muro di Berlino. Keine Gewalt, lo slogan di quella «Rivoluzione pacifica», Christian Führer se lo porta dietro ancora oggi, appiccicato sull’immancabile valigetta nera, tra un adesivo contro gli ogm e uno contro la guerra. lui, un pastore che pastore non sembra - gilet di jeans quasi come abito d’ordinanza e capelli a spazzola imbiancati dal tempo - l’icona di quella rivoluzione condotta a colpi di candele. Se il 9 ottobre 1989 settantamila persone poterono dimostrare pacificamente a Lipsia - la più grande manifestazione non autorizzata mai vista fino ad allora nella Germania dell’Est - lo si deve anche a lui. E alle sue prediche centrate su quelle due parole: nessuna violenza.
«Sapevamo che se qualcuno avesse provocato i poliziotti o lanciato anche solo una pietra sarebbe andata a finire come in Ungheria nel 1956 o a Piazza Tienanmen nel 1989: in un bagno di sangue».
«Avevo paura, non c’era scelta»
A Lipsia, invece, andò diversamente. E a ricordarlo, ieri, nella città sassone sono arrivati a migliaia, compresi il presidente tedesco Horst Köhler e la cancelliera Angela Merkel. «Grazie. Potete essere per sempre orgogliosi di quello che avete fatto - ha scandito Köhler -. Quello fu un grande giorno». Christian Führer si spinge oltre: «Fu un miracolo di proporzioni bibliche». Quel 9 ottobre 1989 a Lipsia, ex grande che di grande, sotto la Ddr, aveva mantenuto solo la Fiera, in molti temevano una «soluzione cinese» per reprimere le manifestazioni che da settimane seguivano le preghiere della pace organizzate sempre nello stesso luogo (la Nikolaikirche, la Chiesa di San Nicola) e alla stessa ora (il lunedì alle 17).
Il numero dei partecipanti era salito rapidamente dal 4 settembre. Quel lunedì, uscendo dalla Nikolaikirche, Katrin Hattenhauer srotolò sotto gli obiettivi delle telecamere occidentali arrivate a Lipsia per la Fiera uno striscione: «Per un Paese aperto con delle persone libere». «Avevo paura ma non avevo scelta, visto che non vedevo un futuro: non potevo più studiare né lavorare a causa della mia attività politica», ricorda oggi la Hattenhauer, che la settimana dopo sarebbe stata arrestata e avrebbe passato il 9 ottobre in prigione. Quella sera le immagini del suo striscione, trasmesse dalla tv pubblica della Germania Ovest Ard, rimbalzarono però nei salotti tedesco-orientali (molti nella Ddr ricevevano Ard). Ed ebbero effetto. A fine settembre alle «dimostrazioni del lunedì» c’era già qualche migliaio di persone, il 2 ottobre erano ventimila.
I vertici della Ddr avevano fatto capire di voler bloccare con ogni mezzo la «controrivoluzione». «C’era un clima di paura: si parlava di riserve aggiuntive di sangue per le trasfusioni e di reparti ospedalieri liberati per far spazio ai feriti da arma da fuoco», racconta Führer. Poi, però, accadde «il miracolo»: il 9 ottobre nella Nikolaikirche entrarono 2400 persone, in strada alla fine se ne contarono 70 mila.
«La polizia fu spiazzata»
La polizia, che si aspettava al massimo 25 mila dimostranti, fu spiazzata, anche perché da Berlino gli ordini tardavano ad arrivare. Così i manifestanti poterono marciare lungo tutto il centro di Lipsia, quel centro che, visto oggi, non ha più nulla dell’atmosfera di abbandono del 1989: non più facciate scrostate, non più aria appestata dai fumi industriali. «Quella sera la Ddr non era più la stessa», riassume Führer.
«Grazie a quella rivoluzione ho avuto un futuro: se non avesse avuto successo probabilmente sarei rimasta in carcere per anni - prosegue la Hattenhauer, che è diventata pittrice ed espone anche in Italia -. Ho uno dei lavori più insicuri al mondo, ma sono contenta perché l’ho potuto scegliere io: senza quel 9 ottobre e senza il crollo della Ddr non sarebbe mai stato possibile».
Führer, invece, è andato in pensione da un anno, ma non si ferma. Ieri ha presentato una nuova fondazione sulla Rivoluzione pacifica. «Le richieste di libertà del 1989 - spiega - sono state esaudite. Ora abbiamo bisogno di cambiamenti nell’economia, perché questo capitalismo globalizzato distrugge la società. La rivoluzione deve andare avanti».