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 2009  ottobre 09 Venerdì calendario

Quella richiesta arrivata al Quirinale- Che cosa intendeva Silvio Berlusconi l’altra sera, quando, nell’attacco a Napolitano, ha detto: «Mi sento preso in giro

Quella richiesta arrivata al Quirinale- Che cosa intendeva Silvio Berlusconi l’altra sera, quando, nell’attacco a Napolitano, ha detto: «Mi sento preso in giro...», aggiungendo poi «non ho nulla da modificare delle mie dichiarazioni, che potrebbero essere anche più esplicite»? Su quelle frasi lasciate in sospeso il mondo politico ha almanaccato a lungo, ieri, alla ricerca di messaggi nascosti, di secondo grado. Tra i tanti boatos e letture interpretative, la ricostruzione che sembra più attendibile, e finora segreta, è questa. Mancano pochi giorni alla convoca­zione della Corte costituzionale sul lo­do «immunitario» (come l’hanno bat­tezzato gli inglesi, prescindendo dal no­me del proponente), quando Angelino Alfano chiede udienza al Quirinale. Il ministro della Giustizia si fa portavoce di un messaggio delicatissimo, che sta molto a cuore a Silvio Berlusconi. Chie­de, in sostanza, un intervento del presi­dente della Repubblica sui giudici della Consulta. Infatti, il verdetto è in bilico e la con­tabilità dei voti dentro la Corte sembra via via scivolare verso l’esito più sfavo­revole al Cavaliere. Così nel governo qualcuno decide di giocare l’ultima car­ta. Quella estrema, perché chiunque co­nosca un po’ Giorgio Napolitano sa che considera una proposta del genere qua­si una forma di istigazione a compiere un delitto contro la Costituzione. Inevi­tabile, dunque, il suo secco diniego al­l’appoggio invocato. Come inevitabile si rivela, poco tempo dopo, un passag­gio sul Colle di Gianni Letta, plenipo­tenziario del premier e suo ambasciato­re nelle stagioni difficili, per provare a ricomporre l’incidente e sanare il vul­nus. Una versione che il ministro Alfano smentisce (in un’intervista sul Corriere di oggi), stoppando dal suo punto di vi­sta la rincorsa a ricamare sulle allusio­ni che hanno appunto aperto un’inevi­tabile, e fino a sera non risolta, disputa. Tanto che qualcuno si è perfino sbilan­ciato ad azzardare su basi assai vaghe l’ipotesi, sbagliata, che il premier si rife­risse a un preciso impegno quirinalizio contro la bocciatura del lodo. Meno vago, invece, un riferimento del presidente del Consiglio a Paolo Grossi, unico giudice costituzionale no­minato da Napolitano. Sarebbe stato scelto – sostiene il Cavaliere – secon­do criteri che dimostrerebbero una vol­ta di più «da che parte sta» il capo dello Stato. Quasi a indicare «un consesso di toghe rosse». E questo è un punto – si ragiona in ambienti vicini al Quirinale – davvero incomprensibile delle accuse del pre­mier. Per almeno due motivi: 1) perché Grossi, giurista di fama internazionale, è semmai considerato nella sua Firenze uno studioso di estrazione cattoli­co- tradizionalista; 2) perché, se il Colle avesse voluto puntare davvero su qual­cuno orientato a sinistra, avrebbe sem­mai optato tra Luciano Violante e Giu­liano Amato, i cui nomi sono stati in corsa. Non a caso quando Silvio Berlu­sconi salì al Quirinale per siglare il de­creto che avrebbe ratificato l’insedia­mento del giudice Grossi, pare abbia detto: «Firmo ad occhi chiusi, perché ho visto il suo curriculum straordina­rio ». Sono soltanto alcune controverità che emergono in queste ore sulla crisi senza precedenti apertasi tra il premier e il capo dello Stato. Una situazione di vera e propria «emergenza istituziona­le », che ha spinto Napolitano a convo­care i presidenti di Camera e Senato per «salvaguardare» il lesionato equili­brio tra istituzioni. Non poteva replicare di nuovo, accet­tando un botta e risposta con chi lo ha messo sulla graticola in quanto «eletto da una maggioranza di sinistra che non è più maggioranza nel Paese», in quan­to uomo che «ha radici totali nella sini­stra, e la sua storia lo dimostra». La no­ta congiunta che Schifani e Fini hanno diramato al termine del lungo incontro pomeridiano al Quirinale è dunque un ombrello protettivo offerto dalle due al­te cariche che – insieme a lui – com­pongono il vertice della Repubblica. Una dichiarazione di rispetto che è an­che un provvisorio, e comunque parzia­le, risarcimento rispetto agli attacchi subìti. Certo, resta la ferita verso la Con­sulta. Alla quale è dedicato «l’auspicio» che, assieme a «tutti gli organismi isti­tuzionali e di garanzia» agisca («in ade­renza al dettato costituzionale e alla vo­lontà del corpo elettorale», un cenno, quest’ultimo, di trasparente richiamo all’investitura popolare rivendicata dal premier), «per determinare un clima di leale e reciproca collaborazione nell’in­teresse esclusivo della Nazione». Insomma: un passaggio utile, ma forse non ancora risolutivo, per il ca­po dello Stato. La precondizione per­ché la Corte sia pie­namente rilegittima­ta è che si smetta di definire «politica» la sua sentenza e che, prima di criti­carla ancora, si at­tendano almeno le motivazioni. Que­sto vale per chiude­re la partita istitu­zionale. Per ripristi­nare invece su livel­li accettabili la coa­bitazione con Berlu­sconi, la partita per­sonale tra i due già esposta a intermit­tenti alti e bassi (con più bassi che alti), ci vorrà molto altro. Il giorno dopo la bufera, da Palazzo Chigi non è giunta alcuna telefonata al Quirinale. Dove si è continuato a lavo­rare, tra un’udienza e l’altra, tentando di dare l’impressione di una impossibi­le normalità. In serata, al termine di un concerto al quale ha assistito al fianco di papa Benedetto XVI, a chi gli ha chie­sto come stia vivendo questo travaglia­to momento, Napolitano ha risposto con un sorriso stanco: «Sto bene. Di momenti difficili ne ho passati tanti, su­pereremo anche questo».