Giorgio Carbone, Libero 9/10/2009, 9 ottobre 2009
UN KOLOSSAL "GRAN MILAN"
Da oggi nelle sale italiane è in programmazione ”Barbarossa” di Renzo Martinelli, film definito ”leghista” dalla veterana (del giornalismo, non della critica cinematografica) Natalia Aspesi, e da una delle interpreti, la francese Cecile Cassel, che tra l’altro è una cretina: s’è lamentata del film e del regista che le ha dato la più bella parte della sua vita.
La storia parte dalla periferia di Milano, verso la metà del XII secolo, quando un ragazzotto del posto salva la vita a un imponente cavaliere tedesco, che stava per essere triturato da un cinghiale. Il cavaliere poi è Federico di Svevia, famoso (o famigerato) come l’imperatore Barbarossa. Grato al fanciullo per il pronto intervento, gli elargisce una pacca paterna e un pugnale con i fregi imperiali. Non può sapere, Federico, che quel piccolo milanese una ventina d’anni dopo, gli darà parecchie grane.
Il ragazzotto è infatti Alberto da Giussano, passato alla storia come vincitore della battaglia di Legnano del 1176, combattuta appunto contro Barbarossa. Vent’anni dopo i due si ritrovano, e non per scambiarsi pacche. L’imperatore, ringalluzzito dalle nozze con una giovanissima e pepata aristocratica francese, è intenzionato a passare alla storia come un Carlo Magno del Secolo XII. In altre parole, vuol rifare l’impero carolingio. Dalle coste del mare del Nord a quelle mediterranee della Sicilia. L’unico intoppo è costituito dalla Lombardia, da Milano. Dove i comuni son diventati ricchi con i loro commerci e vogliono badare da soli ai fatti loro. Il che vuol dire farsi comandare dai loro capi democraticamente eletti e non da un sovrano straniero che decide per diritto ereditario, e non per il diritto esercitato per il proprio lavoro e le sue opere.
Milano si ribella. Ma senza l’appoggio degli altri comuni non può altro che opporre una breve (ancorché strenua) resistenza alle armate imperiali. Barbarossa ci va giù pesante. La città è distrutta. I superstiti della battaglia costretti a errare raminghi per la Lombardia.
Tra i superstiti però c’è Alberto da Giussano, che si dà subito da fare per la rivincita. Non dovrà aspettare molto. I comuni lombardi hanno capito la lezione, si sono costituiti in Lega (il film non fa diretto riferimento al giuramento di Pontida, però vediamo i leghisti giurare e la location non può essere che Pontida, sia pure ricostruita in Romania). Insomma, mettono su un esercito che è in grado di fronteggiare le armate imperiali con discrete possibilità di vittoria. Anche perché le armate sono meno numerose che al primo round.
Federico s’è logorato con un inutile assedio alla città di Alessandria. L’esercito bavarese su cui contava ha dato forfait all’ultimo minuto. Si arriva dunque a Legnano, dove Barbarossa (che, inter nos, vien mostrato più volte come un mediocre stratega) riceve una suonata gigante dai negozianti e dagli artigiani milanesi (per dirla con la poesia del Carducci «dai mercatanti che avvinsero pur ieri ai loro mal pingui ventri l’acciar dei cavalieri»).
Il film piacerà a chi la leggenda di Legnano la imparò bambino sui banchi di scuola delle elementari, e anche sui giornaletti del ”Vittorioso” e del ”Corriere dei piccoli”. Giornaletti, fra l’altro, illustrati benissimo con ”tavole” che facevano sognare. Anche ”Barbarossa” appaga parecchio gli occhi. E così le sequenze dell’assedio e distruzione di Milano. Si capisce subito perché tanti mercanti di cinema dopo averle visionate al Marchè del cinema di Cannes hanno aquistato per i loro paesi, il resto del film a scatola chiusa.
’Barbarossa” appagherà non poco anche parecchi spettatori entro la cerchia dei Navigli. Più che un film ”leghista”, come è stato annunciato da varie parti, la pellicola è ”milanista”. Nel senso che illustra per la prima volta al cinema, il ruolo giocato dalla futura capitale morale nell’evoluzione democratica europea. Milano, come ”gran Milan”, come primo baluardo dei diritti degli uomini contro i poteri dei re. Grande quando Roma contava solo come ”città di transito” (per far visita al Papa). E pestilenziale pure.
Curiosamente, i punti alti del film arrivano non quando è di scena l’eroe (Raz Degan, che non cambia espressione per oltre due ore, stessa faccia quando sgozza i nemici e quando fa l’amore con Kasia Smutniak). ”Barbarossa” ha veramente la scossa quando è in scena Barbarossa. Cioè Rutger Hauer. Ritornato a grandi livelli, dopo 15 anni di deprimenti marchette.