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 2009  ottobre 09 Venerdì calendario

C’E’ SANGUE BIANCO IN MICHELLE


C’è del sangue bianco anche nelle vene di Michelle Obama, la moglie del presidente con il papà nero ma la mamma del Kansas. La genealogista Megan Smolenyak, che ha fatto una lunga ricerca d’archivio sulle radici della First Lady per conto del New York Times, ha rintracciato una sua antenata lontana, Melvinia Shields, giovanissima schiava che a 15 anni fu messa incinta da un uomo di cui si sono perse le tracce, ma che era di sicuro di razza bianca. Dolphus, il nome del figlio nato dalla relazione, è stato infatti registrato come mulatto nei documenti anagrafici del tempo, e ciò è la prova della paternità bianca, avvalorata inoltre dal cognome, Shields, che è lo stesso della famiglia dei padroni della piantagione.
Il lungo viaggio genealogico che da Melvinia porta a Michelle comincia con il testamento di un proprietario di schiavi della Carolina del Sud, David Patterson: la ragazzina, allora di soli sei anni, vi appare con la valutazione commerciale di 475 dollari, una tra i 21 schiavi della tenuta. Nel 1852, la morte di Patterson consegna però la proprietà di Melvinia a sua figlia Christianne e al genero Henry Shields, che vivono in Georgia, in una piccola proprietà vicina ad Atlanta. Melvinia, adolescente, lì è una dei soli tre schiavi, ed il lavoro abbonda: grano, patate dolci e cotone nei campi, oltre ai tre cavalli, alle cinque mucche, ai 17 maiali e alle 20 pecore da accudire, secondo il censimento agricolo del 1860.
Un anno prima, nel 1859, quando aveva circa 15 anni, Melvinia ebbe la sua prima gravidanza. Non ci sono prove che il babbo sia stato il padrone Henry, allora quasi cinquantenne e con quattro figli tra i 19 e i 24 anni. Potrebbe essere stato uno di loro, oppure uno dei lavoranti bianchi che andavano e venivano dalla fattora. Si sa solo, per certo, che nel censimento del 1870 il primogenito, di nome Dolphus, viene indicato come mulatto, al pari di tre dei quattro figli che ebbe in seguito Melvinia: per tutti, il cognome era Shields, quello dei padroni. Poiché uno dei mulatti nacque quattro anni dopo l’emancipazione della donna, ciò porta pure a pensare che la relazione sia stata duratura, anche dopo la fine della schiavitù.
Liberata, la donna continuò per un po’ a vivere come contadina in una fattoria vicina a quella di Charles Shields, uno dei figli di Henry. Poi cambiò aria, riunendosi ad una coppia di ex schiavi della proprietà di Patterson, Mariah e Bolus Easley: e suo figlio Dolphus sposò Alice, una figlia degli Easley. Alice, trisnonna di Michelle, si spostò a Birmingham (Alabama) con Dolphus attorno al 1888: di carnagione chiara, religiosissimo cofondatore della First Ebenezer Baptist Church, in 20 anni Dolphus si comprò una casa propria e aprì una piccola impresa di falegnameria. La coppia finì per separarsi, e Dolphus ebbe altre tre mogli. Ma è Robert Lee Shields, figlio di Alice, che è destinato a diventare il bisnonno della First Lady: sposò nel 1906 Annie Lawson, che negli Anni Venti si trasferì a Chicago, dopo aver dato alla luce, nel 1910, Purnell Shields. Le radici di Chicago di Michelle partono da qui, con il nonno Purnell che fa l’imbianchino nel South Side della città del destino per gli Obama. Dal matrimonio con Rebecca Jumper, la nonna, nasce nel 1937 Marian L. Shields. E’ il penultimo gradino nella scala materna: Marian, classe 1937, si sposa con Fraser Robinson III, classe 1935, operatore di pompe idrauliche, e nel 1964 dalla coppia nasce Michelle Robinson.
Durante la campagna elettorale Michelle aveva riferito i racconti di nonne e bisnonni che facevano cenno ad un avo bianco, ma non era andata oltre, stando sul vago. E anche adesso si è rifiutata di commentare la scoperta: ha motivato il riserbo, ha fatto dire dal suo staff al New York Times, «anche in parte per la natura personale dell’argomento». Eppure, l’intreccio di razze e di rapporti tra padroni e schiavi nelle ascendenze lontane di tanti americani, dai personaggi pubblici a chiunque non sia immigrato o figlio di immigrati dal 1900 in poi, è tutto meno che una sorpresa. Il richiamo ai trisavoli schiavi, anzi, è stato usato nei pedigree di politici di colore come un marchio di autenticità. Per esempio dal reverendo Al Sharpton, candidato democratico alla presidenza, che scoprì nel 2007 di essere il discendente di Coleman Sharpton, schiavo posseduto dalla famiglia Thurmond, cui appartenne il noto senatore segregazionista senatore Strom. E nell’America pre-guerra civile Thomas Jefferson, che ebbe figli con la concubina nera Sally Hemings.