Francesca Paci, La stampa 9/10/2009, 9 ottobre 2009
I SOLDATI SERVONO MA E’ PIU’ URGENTE AIUTARE L’ECONOMIA
Sebbene godesse inizialmente d’un consenso internazionale maggiore, la campagna afgana non ha mai avuto l’attenzione di quella irachena. Né tantomeno le risorse. Per questo, secondo il giornalista pakistano Ahmed Rashid, massimo esperto di Afghanistan e vincitore del premio Terzani 2009, la coalizione occidentale arranca oggi di fronte alla controffensiva talebana. A Londra per un convegno dell’organizzazione umanitaria Afghanaid, Rashid tira le somme di questi otto anni.
I taleban hanno colpito di nuovo Kabul. A che punto è la guerra?
«La situazione è senza dubbio peggiorata, la Nato ha difficoltà militari e le elezioni hanno minato la credibilità del governo di Kabul. Ma non possiamo ignorare i progressi fatti sul terreno, gli afghani non vogliono il ritorno dei taleban. Lo stallo della coalizione occidentale è il risultato del fallimento dell’amministrazione Bush nei primi quattro anni di conflitto, quando sarebbe stato necessario investire più soldi e, soprattutto, costruire l’economia. Basta pensare che l’elettricità è arrivata nella capitale appena un anno fa».
Il segretario della Difesa americano Robert Gates ha chiesto rinforzi perché «i taleban stanno vincendo». E’ d’accordo?
«La percezione è questa e, sia pur senza reali fondamenti, indebolisce gli americani, la Nato, il governo afghano. Non credo però che i taleban siano in grado di prendere nessuna delle grandi città e arrivare a controllare le aree più popolate. La strategia di controguerriglia americana funziona ma non ci sono abbastanza truppe occidentali e quelle afghane non saranno pronte prima di tre anni. Bisogna ragionare come in Iraq dove Bush mandò militari, soldi, attrezzature, ed ebbe ragione degli insorti».
Quanto ha pesato il voto sulle ultime settimane di conflitto?
«Le elezioni hanno fornito ottimo materiale alla propaganda talebana mostrando un governo inefficiente, disonesto e corrotto. Gli studenti coranici non contestano solo Karzai ma l’idea stessa di democrazia e purtroppo lo spettacolo a cui abbiamo assistito rafforza la loro linea, secondo cui la democrazia è inaffidabile».
Come si vince questa guerra: mandando più truppe, equipaggiando meglio i soldati o ritirandosi?
«Il piano annunciato a marzo da Obama è ancora valido. Servono tre strategie: una coordinata perché lo sforzo militare s’intrecci con quello civile, una globale che convinca la comunità internazionale a investire più risorse nelle forze armate afgane e una regionale per coinvolgere i paesi confinanti nella stabilizzazione dell’Afghanistan. Peccato che a distanza di sei mesi il presidente americano debba ripensare tutto: il congresso statunitense blocca l’invio di nuove truppe, gli alleati titubano, Iran e Pakistan, le principali potenze regionali, sono lungi dal collaborare. Obama aveva aperto a Teheran ma le elezioni e la volontà degli ayatollah di proseguire con il nucleare hanno complicato le cose. Anche con Islamabad, purtroppo, la situazione è in alto mare».
Crede che il Pakistan sia irrecuperabile?
«No, c’è una grande battaglia in corso in Pakistan tra la società civile sostenitrice del sistema democratico e l’esercito che è ancora ossessionato dalla sicurezza nazionale e dalla minaccia indiana al punto da appoggiare gruppi estremisti».
Alcuni villaggi al confine pakistano hanno creato delle milizie d’autodifesa contro i taleban. Ritiene che possano funzionare?
«Credo che la polizia afghana, come l’esercito, sia indispensabile. stata una tragedia che Bush l’abbia tracurato. Si fosse iniziato nel 2002, avremmo ora 120 mila soldati e poliziotti veri invece di quelli corrotti e incompetenti che girano per le città».
Tre settimane fa la morte di sei militari ha riacceso in Italia il dibattito sul senso della missione. Provi a spiegarlo lei.
«L’Italia deve capire che la minaccia è globale. Le intelligence di tutto il mondo sanno che Al Qaeda recluta militanti tra gli immigrati, compresi quelli in Italia. Inoltre i taleban conoscono gli anelli deboli della Nato, Italia, Spagna e Germania, e concentrano l’offensiva al Nord. Tre anni fa non c’erano taleban a Herat mentre oggi è un caos. Dovete restare e combattere, se non possono rispondere al fuoco i soldati sono più esposti».