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 2009  ottobre 09 Venerdì calendario

LA RAGAZZA CHE UCCIDE COL FUOCO


Il vicino in cortile, si picchietta le tempie con un dito: «Quella lì era un po’ matta...». Facile dirlo adesso. Troppo facile ora che Stefania Albertani, geometra di 26 anni, aria da prima della classe, la ragazza che giocava pericolosamente con il fuoco - due volte e una è stata di troppo - è finita in carcere a Como, imbottita di tranquillanti, seppellita sotto i sensi di colpa, inchiodata in una doppia inchiesta che adesso scivola via come olio. Di aver ammazzato con il fuoco la sorella Mary, 39 anni, operaia, un po’ la sospettavano. Di aver quasi ammazzato sua madre, una cintura attorno al collo, l’accendino che sfrigola sulla gonna sintetica, i carabinieri sono più che sicuri. L’accusano ovviamente la madre ricoverata al Sant’Anna di Como ma non è grave, e quelle provvidenziali intercettazioni che hanno salvato la vita alla donna e bruciato il futuro di Stefania.
I primi sospetti su Stefania i carabinieri li avevano avuti lo scorso 14 luglio, quando sotto un telo dietro la casa di famiglia in un comune vicino, a Cirimido, era spuntato il corpo di sua sorella Mary, ammazzata e poi bruciata come in un delitto di mafia. E invece era solo una storia dal finale pulp, iniziata nel modo di sempre, affari di famiglia, liti di famiglia, soldi e veleni. L’epilogo di quasi sempre, arrivato dopo una serie di rovesci economici, il fallimento del padre Luigi, i sigilli messi dal giudice su insistenza dei creditori alla casa che gli Albertani stavano costruendo a Cirimido. Due piani ancora di cemento nudo, i mattoni e la gru ferma in un angolo, la doppia striscia bianca e rossa dei carabinieri a circondare il perimetro del luogo del primo delitto.
Una storia finita con un omicidio e un tentato omicidio per appena 100 mila euro. I risparmi di una vita di Mary, la sorella più grande che faceva l’operaia in un calzaturificio. Con quei soldi Mary sognava di comperare l’appartamento dove viveva in affitto. Con quei soldi Stefania sognava di riscattare la casa di famiglia seppellita dai debiti. «Si sentivano le liti fino al secondo piano», giurano i vicini dall’altra parte della strada, in faccia a questa casa con i panni stesi sul balcone da chissà quanto. «Mary e Stefania si vedevano. Mai insieme però. Nessuno sapeva cosa succedeva in quella famiglia», dice una signora anziana, il telegiornale acceso all’ora di pranzo.
Vista col senno di poi questa storia sembra fin troppo semplice. Mesi di liti. L’11 giugno Mary non va al lavoro. Due giorni dopo il suo telefonino si spegne per sempre. Il 13 sua sorella Stefania la denuncia per truffa. In mezzo ci sono pure un giro di finte mail di sedicenti avvocati. E’ sempre Stefania. La prima a piangere il ritrovamento della sorella dopo un mese dalla scomparsa. E’ ancora lei a tentare il suicidio con una boccetta di barbiturici un paio di settimane dopo. Finisce al Sant’Anna di Como. Gli psichiatri parlano di «un crollo nervoso». I magistrati sospettano pure il resto ma non ci sono prove. In casa Stefania viene difesa dal padre, dalla madre, dal fratello. Almeno in apparenza. Perché i carabinieri hanno seminato di microspie l’appartamento al primo piano di questa casa di ringhiera con un cortile grande così dove tutti conoscono tutti e nessuno sa niente. Dietro la porta chiusa a doppia mandata, il padre Luigi ringhia a chiunque: «Vadi via che non ho niente da dire».
Tanto è tutto registrato nelle intercettazioni. Si sentono le voci di tutti che chiedono a Stefania se è stata lei ad ammazzare la sorella. Si sentono le liti per i soldi la casa gli avvocati. Si sentono bene le voci dell’ultima discussione. Stefania che urla verso la madre Alma che ha più di 70 anni. E poi i rumori di una lotta. Quando la ragazza tramortisce la madre stringendole al collo una cintura. E poi con un accendino cerca di darle fuoco. I carabinieri ci mettono niente ad arrivare fino a qui. Il primo che incontrano è un vicino che ha sentito niente. Poi vedono Stefania con una sigaretta in mano che parla con il padre come se fosse successo niente. «Cercate me?», chiede la ragazza che giocava pericolosamente con il fuoco, prima di entrare nell’auto dei carabinieri che se la porta via per sempre.