Rocco Cotroneo, Corriere della Sera 09/10/09, 9 ottobre 2009
Il capitalismo colpisce Cuba. In fumo il business dei sigari - 
Prima la guerra salutista contro il fumo, poi la crisi economica globale
Il capitalismo colpisce Cuba. In fumo il business dei sigari - 
Prima la guerra salutista contro il fumo, poi la crisi economica globale. Quando Fidel Castro decise di togliersi l’eterno sigaro Cohiba dalla bocca, ormai un paio di decenni fa, l’idea era dare il buon esempio ai cubani, il popolo più fumatore (e malato di tumori polmonari) del mondo intero. L’immagine iconica della Revolucion spariva, a fin di bene. Mai però Fidel avrebbe pensato che le sorti della principale industria manifatturiera dell’isola sarebbero state così legate ai guai del nemico capitalista. L’allarme lanciato dal governo del fratello Raúl pochi giorni fa racconta invece di un problema serio. Il consumo di sigari di qualità sta calando ovunque, causa tagli al superfluo, e le esportazioni di Cuba ne risentono. Come conseguenza, Cuba sta riducendo le superfici coltivate a tabacco di oltre il 30 per cento, senza previsioni per una ripresa. L’ufficio nazionale di statistica sostiene che quest’anno verranno coltivati solo 19.600 ettari contro i 28.000 del 2008, che a loro volta erano già diminuiti abbastanza rispetto al 2007. Nell’economia pianificata, ciò significa che la meta del raccolto non verrà rispettata: il governo prevedeva per quest’anno 26.800 tonnellate di foglie, invece dovrà fermarsi a 22.500. Quanto alle motivazioni, si parla genericamente di «restrizioni finanziarie che hanno reso impossibile contare sulle risorse necessarie». Ma che esista soprattutto una crisi della domanda è innegabile. 

Chi ama un buon sigaro sa da tempo quanto sia difficile fumarlo in un locale pubblico, a ogni latitudine, e ormai persino a casa propria. Nei pochi luoghi dove le sigarette sono consentite, resta praticamente impossibile accendere un cubano di qualità, che può superare i 20 centimetri di lunghezza e sprigionare dieci volte più fumo. Se aspirare tabacco è fuori moda, soprattutto nelle classi più abbienti del Nord del mondo, l’immagine nel banchiere o dello squalo di Wall Street con un Montecristo tra le dita durante una riunione d’affari resta nell’immaginario. Sarà davvero la sua débâcle la causa del taglio alla produzione di Cuba? In realtà le cose appaiono un po’ più complesse. Cuba detiene il 70 per cento delle vendite mondiali di sigari «top». Ufficialmente, a causa dell’embargo, nemmeno una scatola dovrebbe arrivare negli Stati Uniti. Anzi, agli americani, in teoria è persino proibito fumare o comprare un sigaro cubano in un’altra nazione. Nella pratica, stimano gli esperti del settore, almeno venti milioni di pezzi finiscono ogni anno tra le labbra della nazione nemica, che finisce per essere il primo mercato dei prodotti. Infilato in valigia dai turisti, smerciato di contrabbando o, assai più banalmente oggi giorno, comprato via Internet attraverso rivenditori di altri Paesi. E qui entrano in gioco vari fattori, tra cui l’effetto cambio, perché il dollaro è da anni molto debole e l’acquisto di un cubano ancora più un lusso negli Stati Uniti.

 Comunque sia, non sono buone notizie per l’economia cubana, che negli ultimi tempi ha già sofferto uragani devastanti, il calo dei prezzi delle materie prime, la stagnazione del turismo, mentre l’inefficienza del sistema economico resta elevata. L’impatto sulla popolazione potrebbe essere notevole. Duecentomila sono i cubani occupati nei campi di tabacco o nelle fabbriche di sigari, dove la lavorazione avviene ancora in buona parte a mano. Poiché il salario ufficiale, come in tutta Cuba, è simbolico, il lavoratore del puro arrotonda, vendendo sul mercato nero i due sigari al giorno che il governo gli assegna legalmente. Una buona quantità di pezzi, viene poi «sottratta» lungo il ciclo produttivo, come avviene nella catena di distribuzione dei generi alimentari o della benzina. Se il problema, come pare, è la domanda dall’estero, non sarà solo la bilancia commerciale ufficiale a soffrirne ma la quantità di dollari che circola nelle tasche dei molti cubani che in un modo o nell’altro hanno rapporti con gli stranieri.