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 2009  ottobre 15 Giovedì calendario

VITTORIO FELTRI PER PANORAMA, 15 OTTOBRE 2009, PAG. 11

Vogliono la libertà. Di dettar legge.
Due o tre ricordi personali sulla libertà di stampa nei cosidetti grandi giornali indipendenti. Nel 1977, dopo una esperienza nei quotidiani del pomeriggio La Notte e Il Corriere di informazione, diretti rispettivamente da Nino Nutrizio e Gino Palumbo, grandi timonieri e inventori del genere popolare, fui assunto al Corriere della sera in qualità di redattore ordinario, settore politico. Mi fecero accomodare al tavolone simil Times nella sala oggi dedicata a Indro Montanelli. Il caposervizio era Carlo Galimberti, un fuoriclasse. Sapeva tutto. E proprio per questo non scriveva mai una riga, ma controllava ogni parola, dai titoli ai testi. Non apriva bocca se non per segnalarti un errore; spesso invece di parlare scuoteva la testa per farti capire quanto fossi asino. Il direttore era Piero Ottone, famoso per aver consegnato la lettera di licenziamento a Montanelli perchè non era allineato alle mode dell’epoca: eskimo, assemblee, barricate, dominio sindacale. In redazione regnavano il silenzio e la vaselina. Il direttore non aveva bisogno di comandare per farsi ubbidire. Era noto come la pensasse. Le sue idee erano identiche a quelle del comitato, ossia la commissione interna formata da colleghi di sinistra, i quali vi entravano soldati semplici e ne uscivano con i galloni da ufficiali. Le assunzioni e le promozioni passavano, per il gradimento, al vaglio dei sindacalisti. Il parere dei quali sulla carta non era vincolante, ma in pratica decisivo: o piacevi a loro o eri bocciato. Per piacere a loro dovevi essere cattocomunista. La tessera del Pci contava più di un paio di lauree. Fu grazie a questo tipo di selezione che in pochi anni il Corriere della sera si tinse per tre quarti di rosso. A quel punto i giornalisti, inquadrati militarmente, si sentirono finalmente liberi non tanto di esaudire i desideri del soviet bensì di anticiparli. Chi sgarrava non finiva in un lager e neppure per strada, figuriamoci. Veniva accantonato. Poteva ancora usare la penna ma solo per grattarsi le orecchie, oppure per compilare notizie e titoli a una colonna. Lavoretti marginali e frustanti, soprattutto educativi o, meglio, rieducativi. La rivoluzione culturale produsse una generazione di redattori privi di dubbi, perfettamente consapevoli di come fosse necessario comportarsi per fare carriera: nuotare nelle acque tiepide del controriformismo di sinistra. Nuotavano da dio. Gli inabili al nuoto sincronizzato annegavano nella libertà di stampa e propaganda progressista. Poi alla direzione del Corriere giunse per sbaglio Piero Ostellino, sacerdote del liberalismo. Durò poco, meno di tre anni. Sufficienti però al direttore per togliermi dalla palude e affidarmi il ruolo di inviato. Una breve parentesi che mi diede l’opportunità di segnalarmi e di essere chiamato alla direzione dell’Europeo. Lontano dal Corriere ho sperimentato che la libertà di stampa non è una gentile concessione dell’editore, ma una conquista col rischio di perdere il posto. Oggi non manca la libertà di stampa, ma la capacità di usarla senza cadere nella tentazione dell’autocensura, anticamera del conformismo.