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 2009  ottobre 09 Venerdì calendario

Silvio e il Colle, l’equilibrio spezzato - Adesso che lo stato dei rapporti tra i due presidenti è quello che è - inequivocabilmente logorato, se non inesistente - si può forse scriverne con meno ipocrisia

Silvio e il Colle, l’equilibrio spezzato - Adesso che lo stato dei rapporti tra i due presidenti è quello che è - inequivocabilmente logorato, se non inesistente - si può forse scriverne con meno ipocrisia. E dire, per tentare di svelenire il clima, che Silvio Berlusconi a Giorgio Napolitano ha procurato sempre un sacco di guai. A volte perfino involontariamente, e comunque sin da subito: sin da quella stretta di mano, cioè, che il Cavaliere propose all’allora capogruppo Pds alla Camera alla fine dell’intervento col quale Napolitano annunciava il «no» del suo gruppo alla fiducia chiesta da Berlusconi. Era un’afosa mattina del maggio 1994. Il premier era allora al suo esordio a Montecitorio e quando l’attuale Presidente della Repubblica concluse il suo (pacato) discorso in aula, il Cavaliere lasciò i banchi del governo, attraversò l’emiciclo e - ricambiato - andò a stringergli la mano. Per quel gesto di cortesia politica e istituzionale, Napolitano subì un sacco di guai, di polemiche e perfino di pesanti attacchi. Per esempio da Armando Cossutta - leader di Rifondazione - che alzò l’indice e accusò: «Napolitano ha sempre concepito l’opposizione così, una opposizione di Sua Maestà. E’ per questo che piace a Berlusconi». Cose che, a rileggerle oggi, fanno sorridere. Sia come sia, tra i due presidenti era cominciata così: verrebbe da dire, come meglio non si potrebbe. Poi, le loro strade si divisero: per ricongiungersi in un altro maggio di 12 anni dopo, quando Napolitano fu eletto Capo dello Stato. Berlusconi - e con lui tutta Forza Italia - non lo votò. In quella occasione si limitò a dire che il nuovo Presidente non avrebbe avuto il suo consenso perché «appartiene a una parte politica che non è la nostra». Pochi giorni dopo, per il solo fatto di aver conferito un incarico esplorativo a Franco Marini (allora presidente del Senato) per capire se era possibile formare un nuovo governo dopo le dimissioni di Prodi, Napolitano diventa «comunista». Da allora, tra i due presidenti il sereno non è mai più tornato. E in fondo, non può sorprendere: considerando che incarnano due idee della politica (e perfino della vita) che più lontane non si potrebbe. Di scontri e tensioni se ne contano a decine, e vere e proprie leggende di palazzo circondano la difficile comunicazione tra i due, che hanno attraversato anche mesi senza vedersi e parlarsi direttamente (e nelle fasi di grande gelo è a Gianni Letta, naturalmente, che il Capo dello Stato ha fatto e fa giungere le proprie raccomandazioni). Era stato considerato un buon segno il fatto che, dopo averla disertata per anni, Berlusconi era tornato a calcare l’erba dei giardini del Quirinale in occasione della festa della Repubblica: si trattava, invece, solo di un’illusione. Infatti, in questo quasi anno e mezzo di coabitazione, il copione dei rapporti tra i due presidenti non è mai cambiato. Da una parte il premier a decretare, porre fiducie e lamentarsi dei freni impostigli dalla Costituzione; dall’altra il Capo dello Stato a frenare, correggere e adoperare quella che viene definita «moral suasion». Fino a che, dalle scintille su leggi come il lodo Schifani, la Finanziaria o il pacchetto sicurezza, si è passati all’incendio del caso Englaro fino al rogo che è oggi sotto gli occhi di tutti. La vicenda Englaro, in particolare, rappresenta nelle valutazioni del Capo dello Stato una ferita che nemmeno il tempo potrà sanare. Informato del fatto che il premier intendeva affrontare con un decreto la delicatissima vicenda, prima lo sconsigliò e poi - la mattina in cui era prevista la riunione del governo - gli fece giungere una lettera personale nella quale spiegava perché non avrebbe mai potuto controfirmare un eventuale decreto. Una lettera personale tesa a evitare uno scontro aperto tra le due cariche dello Stato, che Berlusconi lesse invece in Consiglio dei ministri e interpretò come una limitazione dei suoi poteri. Partì la sfida e tra mille polemiche il governo varò comunque il decreto, che fu poi presentato alle Camere sotto forma di legge perché il Presidente - come annunciato - non lo firmò. Al centro della contesa c’è sempre stata, insomma, una diversa interpretazione dei limiti che la Costituzione impone ai poteri dell’uno e dell’altro e - come oggi è chiaro - perfino il valore da attribuire alla nostra Carta fondante. E poi, naturalmente, come in tutti i rapporti ad alta tensione, possono giocare anche faccende minori. Secondo alcuni, per esempio, il premier mal sopporterebbe l’alto grado di fiducia di cui gode Napolitano (di molto superiore al suo) fino a scivolare in crisi che, si trattasse di due amanti, si potrebbero definire di gelosia. L’ultimo episodio risale a pochi mesi fa: G8 a L’Aquila e venuta di Obama in Italia. Non solo gli inviati al seguito del Presidente americano trovarono nelle cartelle stampa sette righe di biografia per Berlusconi e tre pagine per Napolitano. Ma Obama ebbe l’ardire di salutare il Capo dello Stato come «un grande leader che gode dell’ammirazione del popolo italiano per la sua integrità morale e la sua finezza». Integrità morale? Berlusconi se ne ebbe a male: perché, effettivamente, dall’«abbronzato» uno scherzetto così proprio non se l’aspettava...