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 2009  ottobre 08 Giovedì calendario

RICERCA, ITALIANI PRIMI MA IN FUGA


Siamo i più premiati nell’European Research Council: oltre la metà va all’estero

PISA – Evidentemente, non è solo questione di soldi. Per­ché i giovani ricercatori che si sono appena portati a casa i fi­nanziamenti dello Starting Grant 2009, l’ambitissimo ban­do dello European Research Council, hanno solo l’imbaraz­zo di come spendere quel milio­ne e 200mila euro (in media) di borsa. Su un punto, però, sem­brano concordare: mai in Italia, o quasi. Anche quando è il Pae­se in cui hanno studiato e spes­so vissuto finora. Qualche dato, tra quelli che saranno presenta­ti oggi a Pisa, in una giornata di studi alla Scuola Normale: su 2.503 domande, per un budget disponibile di 325 milioni (i grant vanno dai 500 mila ai 2 milioni di euro; oggi, in Italia, l’ordine di grandezza dei finan­ziamenti «tradizionali» più cor­posi si aggira sui 100mila euro all’anno), quelle provenienti da ricercatori italiani erano 513, e in 434 casi era italiano l’istituto di ricerca candidato ad «ospita­re » il progetto. I vincitori (età media, 36 anni) sono stati 237: tra questi, 32 studiosi italiani – ma solo 16 istituti di ricerca del nostro Paese.

L’Italia è dunque la prima na­zione per numero di premiati, a pari merito con la Germania. Peccato che 18 di loro abbiano già la valigia pronta: le loro ri­cerche non si svolgeranno in la­boratori del nostro Paese, bensì di Regno Unito (8), Francia (4), Spagna (3), Germania (2) e Sviz­zera (1). I candidati inglesi, per dire, vincono «solo» 18 borse, ma negli atenei britannici – il meccanismo dell’Erc prevede che si possa anche decidere di sviluppare la propria ricerca in istituzioni straniere – saranno ospitati ben 43 progetti. Nel­l’elenco dei centri premiati in Italia, per contro, solo due «ospiteranno» cervelli stranie­ri: all’Istituto di oncologia mole­colare (Ifom) di Milano lavora già Dana Branzei, 34enne rome­na con dottorato in Giappone, mentre a Padova hanno assun­to il chimico olandese Leonard Jan Prins, 35 anni. Un po’ poco, per controbilanciare la fuga ver­so l’estero dei 18 di cui sopra.

Consola, forse, che il nostro Paese sia primo per il numero di donne premiate. Così come constatare che le qualità per competere ci siano, eccome. Chi le possiede, però, spesso non abita più qui; e dall’estero, non li rimpiazza nessuno. «Il punto su cui riflettere – inter­viene Salvatore Settis, direttore della Normale – è che nono­stante la cifra ricevuta, italiani e soprattutto stranieri non vo­gliono lavorare in Italia, perché non hanno fiducia nella nostra ricerca». «L’elemento scatenan­te di questa fuga – concorda Claudio Bordignon, direttore scientifico del San Raffaele di Milano – non è una carenza di strutture: se si cerca l’eccellen­za, in Italia la si trova. Il proble­ma è non sapere cosa succede­rà quando i soldi dell’Erc saran­no finiti». «In tutto il panorama Ue – incalza Settis – non esi­ste un Paese in cui i concorsi per cattedra siano bloccati da 4 anni». La chiave, dunque, è la scarsa «affidabilità» di un siste­ma che non offre garanzie di carriera (ragionevolmente) ra­pida e livelli retributivi dignito­si. Non stupisce, quindi, che la giornata di oggi sia intitolata «Erc: una sfida per l’Italia»; a fa­re gli onori di casa, Settis e Bor­dignon, unici italiani del Consi­glio scientifico dell’Erc. «Nel no­stro Paese – chiude Settis – ci sono i soldi per il Ponte sullo Stretto e per la Tav, non per la ricerca. Eppure, soprattutto in tempo di crisi, è l’unica priori­t à: lo dicono la Merkel, Sarkozy, Obama. O sbagliano lo­ro, oppure chi ci governa deve prenderne atto».