Raffaele De Cesare, La fine di un regno, Longanesi 1969 p. 763, 8 ottobre 2009
Differenza tra l’esercito di Garibaldi e quello di Francesco II di Borbone (impresa dei Mille): «Da una parte l’ardimento più cieco, la temerità sino all’eroismo e una fede apostolica nella causa per cui combattevano e ala quale salpando da Quarto i Mille avevano fatto sacrificio della propria vita
Differenza tra l’esercito di Garibaldi e quello di Francesco II di Borbone (impresa dei Mille): «Da una parte l’ardimento più cieco, la temerità sino all’eroismo e una fede apostolica nella causa per cui combattevano e ala quale salpando da Quarto i Mille avevano fatto sacrificio della propria vita. Dall’altra un esercito numericamente grosso, ma senza ideali, senza capi, né solida organizzazione e destinato a combattere solo per la causa del re, il quale non era più Ferdinando II. Da una parte un duce, creduto invitto dai suoi soldati e dai suoi nemici, circondato dalla leggenda e il cui nome ricordava, pur troppo, quella fatale Velletri, che non fu una fuga ma ne ebbe tutta l’apparenza: la ritirata, la quale dié all’esercito napoletano il sentimento della propria impotenza a combattere un nemico non pauroso della morte. Dall’altra parte, vecchi generali, brontoloni e scettici, i quali non si stimavano, anzi, come napoletano costume, si diffamavano l’un l’altro, apparendo peggiori di quel che realmente fossero e repugnanti dal fuoco, anzi da ogni periglio. La volontà di Garibaldi non si discuteva dai suoi militi, i quali, pur essendo un’accolita di uomini non tutti adatti alle armi, o che nelle armi facevano le prime prove, consideravano la disciplina militare come una religione. Combattevano con la certezza di avere per sé il favore delle popolazioni di tutta l’Italia e alle loro spalle il Piemonte, nonché le simpatie dei popoli liberi del mondo. I soldati napoletani non solo erano certi del contrario, ma discutevano gli ordini; anzi ne diffidavano, e quasi ogni ufficiale, dal canto suo, cercava di non eseguirli, o di eseguirli di propria testa. Era insomma un immenso disastro morale».