Egidio Bandini, Libero 7/10/2009, 7 ottobre 2009
IL MITO CONSERVATORE CADUTO NELL’OBLìO
Che fine ha fatto Leo Longanesi? La risposta sarebbe sin troppo facile: il 27 settembre 1957 morì d’infarto al suo tavolo di lavoro. In realtà di Leo Longanesi non si parla né si scrive da ormai quattro anni, da quando, cioè, si volle celebrarne il centenario della nascita. Di lui si sono dimenticati quasi tutti, nonostante, forse con malriposta speranza, lo stesso Longanesi avesse detto: «Sulla mia lapide funeraria scrivete: ”Torno subito”».
Morto a soli 52 anni, dopo aver segnato un’epoca creando non solo il modo di fare giornalismo politico-letterario in Italia, ma aver anche inventato il rotocalco come modulo di informazione e di critica di costume, Longanesi rimane, nell’immaginario collettivo, più per i suoi aforismi o le battute graffianti che non per tutto ciò - ed è veramente tanto - che ha dato alla cultura italiana della prima metà del Novecento. Tanto che oggi si contano, purtroppo, sulle dita di una mano i libri di Longanesi ancora in catalogo.
Toni da strapaese
Aderì, studente, al fascismo, che criticò poi aspramente nella sua evoluzione, non risparmiò però la democrazia che succedette al regime mussoliniano: non la considerava migliore di ciò che aveva sostituito. Diresse, per un certo periodo, il periodico ”L’Assalto”, organo della Federazione fascista bolognese, ma ne fu estromesso allorché pubblicò un pezzo satirico sul senatore Giuseppe Tanari. Terminata l’esperienza di giornalista di regime, fondò nel 1926 ”L’Italiano”, periodico artistico-letterario che sopravvisse, pur rinunciando a una regolarità delle uscite, fino al 1942. Una rivista dai forti toni di ”strapaese” (un accento del costume italiano molto caro anche a Guareschi), cui collaborarono nomi di tutto rispetto: da Vincenzo Cardarelli ad Alberto Moravia, da Giuseppe Ungaretti a Luigi Barzini jr., da Vitaliano Brancati a Emilio Cecchi e a Riccardo Bacchelli. Longanesi curava personalmente la veste grafica della rivista, obbedendo a una delle sue più grandi passioni: quella per il disegno, nel quale era indiscutibilmente un maestro.
Nel 1937, trasferitosi a Roma, fondò ”Omnibus”, il primo rotocalco italiano, settimanale di stampo politico-letterario, che ebbe fra i collaboratori Alberto Moravia, Aldo Palazzeschi, Elio Vittorini, Mario Pannunzio e Alberto Savinio. Anche ”Omnibus”, però, venne sospeso, causa i sospetti del regime su aperture della rivista, davvero poco conformista, verso Paesi come Francia e Inghilterra. Ancora satira nell’attività longanesiana ad ”Index”, supplemento alle ”Cronache d’attualità” edito dalla Casa d’arte Bragaglia: Longanesi teneva la rubrica ”Misteri della cabala”, dove si esprimeva con disegni satirici, profili, schizzi e brevi annunci su personaggi molto noti. In questo straordinario contenitore di calembour, figurano le caricature di Giorgio De Chirico, Giovanni Papini, Piero Gobetti, Curzio Malaparte, Giuseppe Borgese, Italo Svevo e Achille Campanile.
Indiscutibilmente anticonformista, pur convinto assertore delle proprie idee, per alcuni versi conservatrici, nell’immediato dopoguerra Longanesi fondò a Milano la sua casa editrice, che pubblicò grandi autori italiani come Giuseppe Prezzolini, Giovanni Spadolini, Giuseppe Berto, Ennio Flaiano, Mario Soldati e Indro Montanelli.
Il 15 marzo 1950 uscì a Milano il primo numero de ”Il Borghese”, la nuova rivista creata da Longanesi: un osservatorio di costume, colmo di giochi polemici sugli intellettuali militanti, e basato su una granitica e incrollabile triade di riferimento: Dio, Patria e Famiglia (guarda caso la stessa di Guareschi), al punto che ”Il Borghese” divenne ben presto sinonimo di galantuomo.
Fotografie sferzanti
Il successo fu immediato, grazie alla netta presa di posizione contro la partitocrazia (quanta attualità in quelle pagine e in quelle fotografie, a dir poco sferzanti). Con la veste tipografica del ”Borghese”, Longanesi dimostrava, ancora una volta, quale importanza andasse attribuita al ruolo dell’immagine nella comunicazione: Leo fu un vero precursore dei tempi, anche nella sua collaborazione, poco o nulla conosciuta, al ”Candido” di Giovannino Guareschi, tenendo la rubrica ”Diario di un italiano”, uscita su 9 numeri del settimanale della Rizzoli durante l’anno 1951, con lo pseudonimo, appunto, di ”il borghese”. La pungente critica longanesiana partiva sempre proprio da una fotografia e da questa ricavava un’osservazione, acuta e ben poco indulgente, sulla società di quegli anni che in realtà scopriamo somigliare in modo inquietante a quella di oggi.
Un Longanesi praticamente inedito, come sconosciuti, o quasi, sono i suoi libri, da quel Parliamo dell’elefante (tutt’oggi in catalogo), che pubblicò nel 1947, diario di anni difficili e straordinari, ricco di spunti e di frasi destinate a entrare nel linguaggio comune, ma anche di brevi aforismi, degni del grande Montaigne: «15 marzo. Vissero infelici perché costava meno»; «11 dicembre: Sono un carciofino sott’odio»; «14 dicembre. I versi che più mi toccano sono i seguenti, scritti per la morte di Umberto primo: Nella stazione di Monza – entra il treno che ronza – Hanno ucciso il re, - con palle tre». E si potrebbe continuare all’infinito, alternando a queste brevi perle, lunghi racconti di vita, intrisi di malinconia, di piccole felicità, di riflessioni fra il triste e lo spensierato.
Ma quando torna?
Poi lo scapestrato Ci salveranno le vecchie zie?, ritratto delle cariatidi su cui pare poggiare l’intero Paese, ma che, alla fine, non ci potranno nemmeno loro, granitiche maestre, salvare: saranno «messe in soffitta come busti impagliati, spodestate dal progresso e da nipoti coi sogni a colori». Quindi In piedi e seduti ormai fuori catalogo e lo struggente romanzo Una vita, vero e proprio racconto per immagini, fatto di 73 incisioni di Longanesi, accompagnate, sulla pagina a fronte, da brevissimi scritti. E Il Generale Stivalone (stampato per la prima volta in occasione del centenario): volume per bambini che presenta una serie di acquerelli accompagnati da didascalie che narrano la buffa storia di un militare ”all’italiana”. Sotto questa apparente semplicità, che pare affidare all’immagine tutto il senso del racconto, c’è una creatività emozionante.
Si specchia, in Una vita e nel Generale Stivalone il vero Longanesi: scrittore dalle brevi frasi capaci di suscitare pensieri lunghissimi, che si mescolano con le immagini e le parole a costruire un ritratto tormentato ma entusiasta, un sogno spezzato troppo presto, anche se, con tanti altri appassionati, speriamo che, una volta o l’altra, Leo tenga fede a quel «Torno subito» che voleva sulla sua tomba.